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ROMA. La trattativa tra le banche e il Tesoro per individuare una sorta di «contributo di solidarietà» da destinare all’economia reale va avanti da tempo. Contatti c’erano già stati prima dell’estate quando dai Palazzi erano filtrate voci per una riedizione della tassa sugli extraprofitti. Sgomberato il campo da ipotesi che prevedono imposte straordinarie, a settembre esponenti del Mef e dell’Abi si sono già incontrati due volte. Un accordo non è ancora stato trovato, ma si lavora su tre fronti. Il primo – come ha scritto ieri questo giornale – riguarda le Dta (deferred tax asset), ovvero le imposte differite anticipate dagli istituti che poi vengono recuperate sotto forma di credito d’imposta. Il mercato delle svalutazioni e delle perdite sui crediti ha un valore di circa 40 miliardi, uno stock che le banche portano in compensazione. Una eventuale intesa su questo punto consentirebbe allo Stato di rimborsare le deduzioni più avanti nel tempo, una dilazione che garantirebbe dunque maggiore liquidità al bilancio pubblico. Il vantaggio di questa operazione è che è ben rodata, è già stata utilizzata in passato e avrebbe un impatto «non rilevante sul sistema creditizio», evidenzia un report della banca d’affari Equita. Dello stesso avviso gli analisti di Mediobanca: «Sarebbe molto gestibile». Insomma, uno sforzo quasi a costo zero.

Un altro ragionamento sul tavolo, invece, riguarda il ruolo delle banche come sostituti d’imposta. Stiamo parlando delle trattenute che gli istituti effettuano sui loro dipendenti e fornitori. Risorse che, secondo i banchieri, potrebbero essere destinate a interventi per le fasce deboli, l’istruzione o la ricerca. Le prime stime indicano in 15 miliardi il volume intercettabile, ma si tratta di individuare una quota da anticipare.

Discorso analogo si può fare sugli F24, ovvero i versamenti che le banche effettuano allo Stato dopo aver incassato da contribuenti, famiglie e imprese tutte le imposte che si pagano attraverso i loro canali. La massa sulla quale agire, in ragione di una percentuale da definire, spiega una fonte, è pari a 32 miliardi.

Tutte queste ipotesi hanno come punto di partenza l’idea di rafforzare gli acconti e sfruttare i flussi di denaro più a lungo: decine di miliardi di euro che gli istituti di credito iniettano già all’Erario a vario titolo. E soprattutto sono misure che hanno poco impatto sul patrimonio e il bilancio delle aziende. Il governo ha bisogno di soldi freschi da mettere a copertura di alcune norme (non strutturali) della legge di bilancio, aver abbandonato l’idea di colpire gli utili degli istituti consente di non aprire uno scontro con i manager, e con Forza Italia. È per questo che mercoledì sera il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri, uscendo da Palazzo Chigi al termine dell’incontro con il ministro Giancarlo Giorgetti, aveva parlato di «prestito, di carità da parte dell’Abi». Le banche non ci perdono un euro, semplicemente i loro crediti d’imposta verranno rimborsati più tardi. Insomma, la strategia pensata dal governo ha avuto il via libera dai vertici dell’associazione bancaria perché gli esborsi non saranno a fondo perduto, non avranno effetti retroattivi né un impatto sulla solidità patrimoniale. Dal Tesoro precisano che il contributo chiesto dall’esecutivo non riguarda solo le banche, ma tutte le imprese che hanno beneficiato dell’inflazione e dei tassi alti: colossi dell’energia, brand del lusso, compagnie assicurative, aziende farmaceutiche. Anche per quel che riguarda questi settori, se si vuole escludere un aumento della tassazione, si può agire sullo slittamento dei crediti d’imposta. Il dossier verrà esaminato con dei tavoli ad hoc nelle prossime settimane, intanto, oggi il governo farà fare un secondo passaggio in Consiglio dei ministri al Piano strutturale di bilancio, dopo quello del 17 settembre scorso. Il Piano indicherà per il 2024 una crescita del Pil all’1% e dell’1,2% nel 2025. Taglio netto al deficit che scende al 3,8% quest’anno, al 3,2% nel 2025 e sarà sotto il 3% nel 2026. Il debito si riduce al 134,8% nel 2024 (dal 137,3% stimato nel Def di aprile), ma dovrebbe risalire di oltre due punti nel 2025.

Il ministro Giorgetti conferma «una linea prudente e responsabile. Il peso del debito è cresciuto a causa del Superbonus, l’impegno del governo sarà quello di non caricarlo sulle nuove generazioni».

 

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