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Chi avesse visto nei numeri diffusi lunedì dall’Istat l’archiviazione dei colpi del Superbonus sui conti dello Stato si dovrà ricredere quando leggerà le cifre del Piano strutturale di bilancio. Nel nuovo programma di finanza pubblica, che ovviamente tornerà in Consiglio dei ministri domani nonostante le voci contrarie dei giorni scorsi, il quadro programmatico indicherà un debito pubblico in salita ancora più rapida del previsto nel suo rapporto con il Pil per altri tre anni. Il 2024 si dovrebbe chiudere con un passivo al 134,8% del Pil, solo due decimali più alto (invece dei cinque previsti dal Def di aprile) rispetto al 134,6% calcolato dall’Istat per il 2023, grazie alla corsa delle entrate. Ma presto le lancette del debito torneranno a salire in modo deciso, e dovrebbero portarsi al 137,1% nel 2025 e al 138,3% nel 2026. Poi il decollo termina, e dal 2028 ricomincia la discesa.

Le cifre finite ieri sul tavolo del confronto a Palazzo Chigi fra il Governo, rappresentato dal ministro dell’Economia Giorgetti e dal sottosegretario Mantovano, e le parti sociali sono appunto figlie di Superbonus e affini. Che nei calcoli aggiornati dal ministero dell’Economia peseranno sul debito pubblico per circa 40 miliardi l’anno fino al 2027, quando inizierà il dimagrimento deciso di quell’eredità. Proprio il fatto di essere figlia del passato rende questa nuova risalita del passivo, più decisa rispetto a quella indicata dal Def dove nel 2024-26 cumulava 2,5 punti contro i 3,7 che totalizzerebbe nel nuovo quadro, digeribile agli occhi della Commissione Ue, che nell’esame del nuovo Piano di bilancio strutturale si concentrerà sul deficit, frutto invece delle scelte di oggi e di domani. E lì la discesa appare netta.

Il disavanzo si dovrebbe fermare quest’anno al 3,8% del Pil, molto più giù del 4,3% messo a preventivo dal Def ancora grazie alla vivacità delle entrate, per poi planare al 3,2% nel 2025 e al 2,7% nel 2026. Sotto, non di poco, al 3%, come anticipato dal Mef nei giorni scorsi. L’architettura poggia su un obiettivo di crescita che rimarrebbe al +1,2% sia il prossimo anno, tasso già scritto nel quadro tendenziale dell’ultimo Def, sia nel 2026 quando invece la vecchia tabella riportava un +1,1 per cento.

L’ambizione al momento non può andare oltre. Perché la congiuntura internazionale non aiuta e perché l’esigenza di non spingere ulteriormente il debito e di rientrare in fretta nei parametri più ordinati di deficit determinerà in autunno una manovra correttiva (nell’ordine dei 12-13 miliardi l’anno, com’è ormai chiaro con l’allungamento a 7 anni del percorso di aggiustamento) fondata su tagli di spesa, come ha spiegato Giorgetti alle parti sociali. La spesa primaria netta, il nuovo parametro cardine dei vincoli comunitari riformati, salirà nel 2025 solo dell’1,2%, per crescere dell’1,5% e dell’1,6% nei due anni successivi centrando così la media triennale del +1,5% anticipata nei giorni scorsi. Nel confronto di ieri il Governo ha confermato l’obiettivo di far mantenere il ritmo del Pil alla spesa sanitaria, che quindi dovrà crescere più della media imponendo ad altre voci cure più drastiche. Anche la spending review entrerà insieme a fisco, giustizia civile, concorrenza e Pa nel pacchetto degli impegni sulle riforme indispensabili a ottenere il via libera alla correzione dei conti in 7 anni anziché nei 4 ordinari.

Oltre alla correzione dei conti, lo sforzo principale della manovra in arrivo sarà la conferma di decontribuzione e Irpef a tre aliquote, in forma non più temporanea ma strutturale come già spiegato da Giorgetti e come imposto dalle regole Ue. Qualche risorsa in più dovrebbe arrivare anche per il pubblico impiego, portando al 6% gli aumenti offerti dal rinnovo contrattuale 2022/24 ora sul tavolo negoziale, mentre sulle pensioni si punta a confermare tutto il sistema attuale, con i meccanismi di flessibilità in uscita ma anche con le fasce di indicizzazione che altrimenti sarebbero tramontate a fine anno. Le prospettive, insomma, appaiono parecchio impegnative: ma non contemplano aumenti di tasse perché la crescita delle entrate, ha spiegato Giorgetti, sarà affidata solo alla lotta a evasione ed elusione, oltre che naturalmente alle performance dell’economia reale.

 

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