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Poche luci e tante ombre nell’artigianato della Tuscia. Dati di Movimprese-Infocamere alla mano, il segretario della Cna, Attilio Lupidi, traccia i contorni di un settore che arranca in tutta Italia. Anche nel Viterbese sono centinaia le imprese chiuse negli ultimi anni ma, rispetto all’andamento complessivo, a Viterbo qualche piccola inversione di tendenza di avverte: “Nel 2023, il saldo delle imprese artigiane iscritte all’apposito albo della Camera di commercio è stato positivo, con un più 28”, sottolinea il responsabile dell’associazione di categoria. Significa che lo scorso anno in provincia si sono registrate 488 iscrizioni e 460 cessazioni di attività. Ma a guardare dentro i numeri si vede un tessuto economico che cambia e, con esso, anche quello socio-culturale.

Dal 2012 al 2019 ogni anno le imprese artigiane chiuse nel Viterbese hanno superato quelle aperte. Un impoverimento continuo che ha comportato una sequela di saracinesche abbassate e storie anche decennali di attività a conduzione familiare finite con le luci spente. L’inversione, seppur flebile, di tendenza è avvenuta a partire dal 2020: 488 nuove iscrizioni contro 471 cessazioni, con un saldo positivo pari a 17. Poi, nel 2021, 576 iscrizioni e 410 cancellazioni (più 166) e nel 2022 475 contro 462, per un computo finale di più 13. 
Troppo presto per sbilanciarsi sull’anno in corso. “Nel primo semestre del 2024 – rivela Lupidi – il saldo è stato positivo con un più 33. Ma le nuove iscrizioni avvengono sempre all’inizio dell’anno mentre alla fine si registrano le cancellazioni. Bene che andrà, il saldo finirà per essere invariato”, prevede. 
Ma al di là dei dati è interessante capire chi tiene e chi affossa. Nel 2023, complice la scia lunga del 110 e i vari bonus è stata l’edilizia a trainare il settore con 52 imprese in più (230 quelle chiuse e 282 quelle nuove di zecca).

E se i cantieri del Pnrr consentiranno nel breve termine di mantenere in attivo il comparto, per Lupidi anche qui nel lungo termine la tendenza sarà alla riduzione (fatte salve, certo, nuove politiche incentivanti). Crescono poi tutte le attività legate al mondo del beauty: tatuatori, parrucchiere, estetiste reggono bene ormai da molti anni (lo scorso anno, hanno chiuso con più 14 imprese). Più recente l’espansione dell’informazione e della comunicazione digitale, con un incremento di social media manager e creatori di siti. Nei primi sei mesi del 2024, confermate queste tendenze con una novità: l’incremento di attività legate alla gestione e cura del verde, nonché delle aree forestali. 
Male invece il manifatturiero che tra i settori artigianali è quello più in crisi. Falegnami, tipografi, calzolai arrancano: nel 2023 in 71 hanno detto basta e appena 48 hanno invece aperto bottega (meno 23).  Difficile trovare anche chi ripara elettrodomestici così come stanno scomparendo le lavanderie artigianali a favore di quelle automatiche a gettone che, invece, aumentano. Difficoltà anche per i trasporti e l’autotrasporto (- sei imprese). 

“In molti casi – spiega Lupidi – questi numeri vengono da lontano. Tra i giovani c’è spesso la convinzione errata che quelle artigiane siano attività di serie b, ritenute poco attrattive. Come Cna stiamo avvicinando il mondo scolastico con iniziative rivolte agli studenti dell’ultimo triennio delle superiori per prospettare le reali opportunità del comparto”.
Con la chiusura di molte piccole attività a conduzione familiare, si spopolano anche i centri storici “con evidenti ricadute anche sulla sicurezza delle zone interessate. Perché le botteghe – sottolinea – sono dei veri e propri presidi di comunità che stanno scomparendo”. Che fare per rallentare un trend ormai consolidato? “Servirebbero agevolazioni mirate. Ma – rimarca – occorre anche un cambio culturale: i percorsi professionali nelle scuole non sempre sono aggiornati ai cambiamenti tecnologici. Offerte formative al passo coi tempi significherebbero reali opportunità di impiego”. Perché anche quando la domanda c’è, è l’offerta che manca.

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