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«Gentile signor Rossi, abbiamo tra le mani la sua dichiarazione dei redditi ma dai dati in nostro possesso sulle sue attività e sul suo stile di vita ci risulta che le sue entrate sono ben maggiori. Si metta subito in regola versando un po’ di tasse in più o ci costringerà a farle un accertamento che potrebbe costarle piuttosto caro». Le parole non sono proprio queste ma il senso assolutamente sì. Due milioni di lavoratori autonomi stanno ricevendo attraverso il cassetto fiscale, la piattaforma online con la quale si dialoga con l’agenzia delle entrate, una lettera a metà tra bastone e carota con la quale il fisco avverte il mondo degli autonomi che, se si evade, può essere conveniente ravvedersi, almeno un po’, e aderire al concordato biennale. Una mossa che costerà un po’ di imposte in più da versare ma che eviterà ai morosi di finire su liste ad hoc nelle quali si andrà a pescare per effettuare controlli mirati.

Il governo va dunque in pressing sulle partite Iva sperando così di dare una spinta alle adesioni al patto con il fisco dal cui esito dipende la possibilità di estendere anche ai ceti medi il taglio delle aliquote Irpef. Il concordato preventivo, da cui si attende un incasso di 2,5 miliardi, è la carta su cui l’esecutivo scommette per allargare nel 2025 la platea degli sgravi Irpef. L’obiettivo è di abbassare dal 35% al 33% per i redditi tra 28mila e 50mila euro e «magari spingerci un po’ in là con l’aliquota del 43%, portandola sopra 60.000 euro di reddito», ha spiegato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo in queste ore. Ma, ha aggiunto l’esponente del Tesoro, «tutto dipende dalle risorse»: servono «tra 2,5 e 4 miliardi di euro».

Per questo si sta spingendo l’acceleratore per rendere lo strumento ancora più attrattivo: dopo i correttivi approvati a luglio, che hanno introdotto la flat tax incrementale e concesso quindici giorni in più per l’adesione (c’è tempo fino al 31 ottobre), Leo ha già annunciato che verranno valutati «interventi migliorativi». L’ultima novità è spuntata con un emendamento della maggioranza al decreto Omnibus che allarga ulteriormente le maglie con un ravvedimento speciale avanzato per il pregresso. «Sarà il Parlamento a decidere», dice Leo. Intanto per aderire al concordato resta ancora poco più di un mese e sono circa 4 milioni le partite Iva che possono siglare il patto con il fisco che congela per due anni le tasse e i controlli. «C’è grande interesse», ha assicurato Leo, «ma se il contribuente non considera congrua la proposta e non aderisce entrerà in una lista selettiva» e «se non ha correttamente dichiarato i propri redditi sarà sottoposto ad accertamento». I contribuenti sono avvertiti. Ma possono anche essere ingolositi dal prossimo arrivo di un altro condono.

Chi aderirà al patti con le Entrate accettando il concordato, avrà un bonus: potrà infatti regolarizzare i mancati versamenti per gli anni dal 2018 al 2023 pagando un’imposta sostitutiva calcolata in base al punteggio di affidabilità fiscale e, altro regalo, su un imponibile ridotto. La base imponibile sarebbe infatti costituita da una percentuale della differenza tra il reddito già dichiarato e l’incremento svelato ex post tramite concordato: il 5% per chi ha un Indice di affidabilità fiscale pari a 10 (il più elevato), il 10% per chi naviga tra 8 e 10 ed è quindi ritenuto «affidabile» dalle Entrate, il 20% in caso di Isa «pari o superiore a 6 e inferiore a 8», il 30% per Isa tra 4 e 6, il 40 se l’Isa è tra e 4 e il 3, il 50% se si ferma sotto il 3.

Sulla cifra che risulta dall’applicazione della percentuale, la partita Iva sarebbe poi chiamata a versare al fisco per ogni annualità una «imposta sostitutiva», con aliquota del 10% se quell’anno ha ricevuto un voto Isa che lo inserisce tra gli affidabili, del 12% se il punteggio è stato pari o superiore a 6 ma inferiore a 8 e del 15% in caso di affidabilità fiscale sotto il 6. Non solo: per tener conto dei danni causati dal Covid, per i soli periodi di imposta 2020 e 2021, l’imposta sostitutiva verrebbe anche diminuita del 30 per cento.

Enormi i vantaggi per chi si autodenuncia: una partita Iva che abbia dichiarato 40mila euro ricevendo un voto Isa pari a 5, insufficiente, e intenda mettersi in regola riconoscendo di aver in realtà incassato 20mila euro in più, potrà sistemare le cose pagando il 15% su 6mila euro (30% di 20mila). In pratica con il versamento di 900 euro si metterebbe una pietra tombale su 20 mila euro di evasione fiscale. Chi aderisce sarebbe chiamato alla cassa “in un’unica soluzione entro il 31 marzo 2025“. Chi regolarizza il periodo di imposta più lontano, il 2018, dovrebbe pagare ancora prima, entro il 30 novembre 2024. Ma c’è, ovviamente, anche la strada della immancabile rateizzazione: 24 tranche mensili a un interesse del 2%. Chi non paga dopo la prima tranche decadrebbe dal beneficio e vedrebbe però iscrivere a ruolo gli importi ancora dovuti più sanzioni e interessi.

 

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