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Crescita lieve ma costante per il Private Equity, che nella prima parte dell’anno registra numeri in aumento: 196 operazioni, rispetto alle 194 dello stesso periodo del 2023. Un incremento comunque sufficiente per renderlo il miglior primo semestre analizzato dall’Osservatorio, in termini di numero di operazioni concluse. «Stiamo riducendo gradualmente il gap con gli altri Paesi, perlomeno rispetto alle economie dell’Europa continentale significativamente comparabili», dice Francesco Bollazzi, Coordinatore Osservatorio Private Equity Monitor della LIUC Business School. Outlook positivo, dunque, ma non senza una precisazione. «Magari cresciamo più degli altri perché siamo più indietro. Abbiamo ancora strada da fare per avere un’industria di Private Equity allineata a quella di Stati e nazioni che sono comparabili con la nostra».

Nel mese di giugno, l’osservatorio rileva 38 deals, in aumento rispetto ai 30 del 2023. Nei primi mesi del 2024, le operazioni di buyout hanno rappresentato il 78% del totale, in aumento rispetto alla media dei primi sei mesi del 2023 (75%); una buona presenza si rileva anche per il comparto infrastrutture, che nella prima metà dell’anno rappresenta il 12% del Mercato. La quota delle attività di aggregazione aziendale (add-on) resta stabile con il 48%. A livello regionale, il Nord Italia continua a confermarsi il principale polo catalizzatore, con la Lombardia che copre il 33% delle operazioni. A seguire il Veneto, con il 14%, chiude il podio il Lazio, con il 9%. Prodotti per l’industria (21%) e terziario (14%) sono i settori con il maggior numero di operazioni, seguiti da alimentare, ICT, beni di consumo e cleantech (11%).

L’attività di investimento degli operatori internazionali nelle imprese del nostro Paese ha rappresentato il 52% delle operazioni concluse, dato ormai consolidato negli ultimi anni.Per l’attività all’estero, invece, l’osservatorio ha mappato 6 operazioni di investimento diretto all’estero da parte di operatori domestici (in linea rispetto al primo semestre 2023) e 17 operazioni di add-on (in calo rispetto al primo semestre 2023) aventi quali target aziende europee.

Cosa portiamo a casa da come è andato finora il 2024?

«È stato un primo semestre molto positivo: con 196 operazioni totali, di fatto va a spodestare il risultato migliore precedente, quello dello scorso anno. Poi ci sono 8 operazioni in più rispetto al 2022, l’anno che si è chiuso col numero più alto di operazioni a livello complessivo. Un ottimo primo semestre che conferma lo stato di piena maturità che ormai l’industria del Private Equity ha raggiunto nel nostro Paese. Domanda e offerta sicuramente sono il primo driver indicativo riguardo al funzionamento del Mercato. E mi pare che ci siamo da entrambe le parti».

Qual è lo stato del Private Equity?

«Nonostante le varie situazioni che ormai perdurano, cioè legate all’incertezza a livello sociopolitico, di scenario, a livello economico per quanto riguarda le tematiche connesse ad approvvigionamenti, costi dell’energia e tutto ciò che è connesso agli elementi di incertezza – quanto di peggio ci possa essere in economia – il PE si conferma assolutamente come un’industria ormai avviata e in salute in Italia. Quindi il bilancio non può essere che positivo, come del resto nell’ultimo quinquennio, dove la crescita è stata importante e quasi esponenziale».

Quali sono le principali evoluzioni del settore negli ultimi anni?

«Ricordiamo che anche solo fino a sei anni fa mappavamo 100 operazioni, mentre sono ormai tre anni che arriviamo a oltre 400. Sicuramente è un’industria in pieno sviluppo, nonostante il contesto. Se l’anno scorso l’unica critica era stata quella dell’assenza di operazioni di dimensione medio-grande, c’è un’ulteriore segnale di positività all’interno del Mercato. Quest’anno, come nel 2022, nel PE italiano, tenendo comunque conto di un tessuto imprenditoriale che rimane focalizzato sul midmarket, sono riapparse delle operazioni interessanti anche da un punto di vista di dimensione».

A cosa è dovuto il nuovo record stabilito in questo primo semestre?

«Essenzialmente al fatto che ormai il Private Equity è un comparto maturo nel nostro Paese. Tanto per cominciare, pervade tutti i settori dell’economia, il che è già un primo elemento di rilievo. Fino a pochi anni fa, il comparto raggiungeva il 60% prodotti per l’industria e beni di consumo. Oggi invece abbiamo una pervasione di tutte le aree dell’economia, comprese quelle assolutamente rilevanti a livello strategico nel presente e nel prossimo futuro. Cioè quei comparti che sono maggiormente investiti da tutte le tematiche e i finanziamenti connessi al PNRR, penso ad esempio alla transizione digitale e a quella ecologica».

Come cambia la distribuzione a livello nazionale?

«È un settore che prima si trovava per il 50% in Lombardia. Oggi di fatto in tutte le regioni ci sono operazioni di Private Equity. Poi è chiaro, la Lombardia, il Veneto,  l’Emilia Romagna, il Piemonte, la Toscana e il Lazio sono quelle maggiormente investite. Ma lì pesa anche un discorso di numero di imprese. Ma a livello geografico c’è una diffusione su tutto il territorio nazionale, a differenza di un tempo».

Qualcosa si è mosso anche nelle dinamiche interne al settore?

«Il Private Equity è un Mercato come tutti gli altri, funziona con il meccanismo di domanda e offerta. Sicuramente la prima è aumentata perché c’è maggiore consapevolezza da parte del sistema imprenditoriale verso questo strumento finanziario. Di contro, c’è però anche un tema di offerta. Fino a pochi anni fa noi avevamo sessanta o settanta operatori attivi (che nel corso dell’anno hanno concluso almeno un’operazione), oggi sono oltre duecento. Assieme alla maggiore diffusione a livello settoriale e regionale, è il terzo elemento alla base dei numeri che il PE ha cominciato a manifestare nell’ultimo quinquennio, nell’ultimo triennio in particolare, e che continua a manifestarsi nonostante i problemi a cui facevo riferimento».

Cosa emerge dagli ultimi cinque anni?

«Non ci sono particolari evidenze, se non il fatto che abbiamo quadruplicato la crescita, aumentando il livello di pervasione geografica e nei settori economici. Probabilmente tutto è dovuto a una crescita di domanda-offerta, assieme a una conoscenza del sistema imprenditoriale verso lo strumento, senza scordare l’incremento nel numero di operatori attivi. Poi certamente il lavoro svolto dall’Associazione Italiana del Private Equity e del Venture Capital, l’AIFI, ha contribuito via via a creare un ecosistema che rendesse sempre più interessante e appetibile questo strumento. Non dimentichiamo anche l’attività che sempre AIFI ha svolto a livello di diffusione della cultura finanziaria. Oggi, salvo rare eccezioni, agli imprenditori è chiaro di che cosa si sta parlando quando si fa riferimento al Private Equity».

Qual è il ruolo delle influenze esterne?

«Il fatto che ci siano più operatori è comunque legato alla creazione di un ecosistema favorevole. E il fatto che il sistema Italia abbia recuperato positività nel suo apparire anche al di fuori dei confini nazionali è certamente dovuto al contributo degli ultimi due governi, specie in termini di stabilità. Penso al governo Draghi prima e al governo Meloni oggi. La stabilità e la non incertezza sono elementi di grande rilevanza per qualsiasi industria e in particolare per quella finanziaria, dove si lavora con i soldi e ovviamente è tutto molto più delicato».

Come si posiziona l’Italia rispetto al Mercato estero e internazionale?

«Il Mercato del PE italiano da un lato presenta una crescita. D’altra parte, rispetto a economie europee significativamente comparabili (escludendo il mondo anglosassone e americano, che rappresentano un’eccezione), quindi Francia, Spagna e Germania, rimane indietro. Dal punto di vista del rapporto tra industria del PE ed economie di riferimento sicuramente possiamo fare un passo in avanti».

Quali sono le previsioni per i prossimi sei mesi?

«Si confermano le aspettative positive che avevamo già all’inizio dell’anno. In particolare, se si liberano un paio di snodi a livello di scenario internazionale e soprattutto se alcuni elementi di carattere prettamente economico vedranno una schiarita, ecco allora che potremmo chiudere l’anno ancora meglio di quanto abbiamo fatto nel precedente, già incredibilmente soddisfacente. Mi immagino un trend assolutamente in linea con il biennio precedente».

In vista delle elezioni americane, quale sarà l’onda lunga per il nostro Paese?

«Direi che per quest’anno non avremo una risposta immediata, ma per il PE italiano rimane tutto sommato una tematica abbastanza marginale, non credo che possa avere né in un caso né nell’altro effetti drammaticamente positivi o negativi. È stata molto più importante invece la guerra in Ucraina, con il tema delle difficoltà di approvvigionamento per alcune industrie e il tema dei costi energetici».                                    

©

📸 Credits: Canva.com

Articolo tratto dal numero del 15 settembre 2024 de il Bollettino. Abbonati!



 

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