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La conferma arriva direttamente dalla premier Giorgia Meloni al termine del Consiglio dei ministri. È il ministro salentino Raffaele Fitto il commissario europeo indicato dal suo esecutivo. Il governo perde un pezzo importante, e la stessa Meloni non fa fatica a riconoscerlo. «È una scelta dolorosa per me, credo anche per lui, e per il governo, ma è necessaria», dice la premier, che spiega di non aver motivo di dubitare che all’Italia sarà riservato «un ruolo adeguato» nella nuova squadra di Ursula von der Leyen, «nonostante molti italiani che tifano contro».

Il ringraziamento

Nel pomeriggio, una breve nota di ringraziamento da parte del diretto interessato: «Ringrazio il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Consiglio dei ministri per la fiducia accordata nell’indicarmi a ricoprire il ruolo di membro della Commissione europea. Nei prossimi cinque anni, la Commissione guidata da Ursula Von der Leyen avrà un ruolo fondamentale per il rafforzamento dell’Unione europea, del benessere e della sicurezza dei suoi cittadini nonché per favorire la soluzione delle maggiori crisi internazionali. Sono pronto a dare il mio contributo per raggiungere questi obiettivi».

La partita a Bruxelles non è chiusa, e Meloni (che sabato prossimo volerà a Parigi per le Paralimpiadi, dopo l’intervento a Cernobbio) insiste per una vicepresidenza esecutiva. Non è una questione di «simpatia o antipatia verso il nostro governo», all’Italia spetta in quanto «nazione fondatrice, seconda manifattura e terza economia europea, terzo Stato membro per popolazione, con primati in tantissimi campi», che inoltre «oggi può contare anche su una ritrovata stabilità politica e una solidità economica che pochi altri hanno nel resto d’Europa». Fitto ha un’ultima missione a Roma, la riforma delle concessioni balneari. Si rischia di scontentare gli imprenditori, è il tenore del ragionamento condiviso dalla premier e dal ministro, ma o ci si adegua adesso alla direttiva europea (magari con indennizzi e prelazioni) o poi arriva la sentenza della Corte di giustizia e partono subito le gare. Potrebbe bastare una decina di giorni per un decreto. Invece la nuova gestione del Pnrr post Fitto (il ministro ha le deleghe su Affari Ue, Politiche di coesione, Pnrr e Sud) si definirà più avanti: ogni soluzione è aperta, dall’interim di Meloni allo spacchettamento delle deleghe, anche se continuano sullo sfondo voci di un rimpasto a novembre. «Andiamo avanti senza paura», l’esortazione della premier ai ministri, «saranno gli italiani a giudicarci, a fine legislatura». «Dobbiamo continuare a portare avanti il programma votato dagli italiani», aggiunge, e suona come un avvertimento agli alleati.

Tutti i riflettori sono ora inevitabilmente su Fitto. Governatore, parlamentare, ministro, commissario europeo: Raffaele Fitto ha iniziato da ragazzo ed è spesso arrivato prima. Figlio d’arte (suo padre Salvatore fu presidente della Puglia negli anni ‘80), dna democristiano, lunga militanza berlusconiana, infine regista della svolta che ha condotto Giorgia Meloni nei Conservatori europei. 55 anni, nato a Maglie (stessa città di Aldo Moro), sposato e padre di tre figli, juventino, Fitto scende in politica giovanissimo: a 19 anni entra nella Dc e diventa consigliere regionale. Nel 1999 viene eletto per la prima volta a Bruxelles, ma resta in carica solo un anno perché nel 2000 si candida alla guida della Puglia vincendo e diventando a 31 anni il più giovane governatore di una Regione nella storia della Repubblica. Ma non finisce qui: a 35 anni è eletto deputato e, nel quarto governo Berlusconi, alla soglia dei quarant’anni (39 per la precisione) assume l’incarico di ministro per gli Affari Regionali. Giusto qualche anno in più di Giorgia Meloni che di anni ne aveva 31 quando, sempre nello stesso governo del Cavaliere, ricopriva l’incarico di ministro per la Gioventù. Che Fitto abbia bruciato le tappe non c’è dubbio, ma nell’ascesa che lo porta ai palazzi d’Europa non mancano le sconfitte: nel 2005 alla guida della Puglia, battuto da Nichi Vendola, poi nel 2020 da Michele Emiliano. E ancora, l’uscita traumatica da Forza Italia, la fondazione di un suo gruppo e una sua forza politica, fino alla rinascita: entra in Fratelli d’Italia e in pochi anni diventa punto di riferimento in Europa del partito di Meloni. Grazie alla fiducia della premier, gli viene affidato il ruolo più delicato dopo Mario Draghi: la gestione del Pnrr e del Sud. Il Pnrr si è rivelato sin da subito il dossier più impegnativo. Ideatore delle cosiddette “cabine di regia” Fitto ne ha presiedute diverse aprendo confronti con le parti sociali e, soprattutto, con gli enti territoriali. Moltissimi sono stati i tavoli e, appunto, le cabine che hanno costellato il percorso di valutazione e la sollecitazione alla realizzazione degli obiettivi nei tempi prefissati. Profondamente radicato nella sua regione, Fitto ha curato anche la delega sul Sud. Tra i progetti portati a termine c’è l’avvio, a partire dall’inizio di quest’anno della Zes unica, la Zona economica speciale per il Mezzogiorno che ha ripensato gli interventi sul Meridione.

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