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L’ultima legislatura prima di questa ci è costata più o meno 30 milioni di euro. Tanto ha speso la Toscana per pagare i politici del consiglio regionale. Circa 5,7 milioni all’anno se si distribuisce il mandato su cinque anni, anche se in realtà non è mai così, dato che quello precedente all’attuale cominciò a metà 2015 per terminare a settembre 2020, e anche quella che ha visto l’elezione di Eugenio Giani potrebbe avere una versione extensive e durare fino al 2026.

Lo raccontano stipendi e dichiarazioni dei redditi dei consiglieri (relative al 2022) da poco pubblicate dagli uffici del parlamentino toscano sul sito ufficiale. Numeri che incrociati fanno emergere una discrasia fra “emolumenti” percepiti dagli eletti nell’assemblea e i redditi dichiarati al fisco. In sostanza – e basta guardare le cifre – a prima vista i membri del consiglio percepiscono uno stipendio molto più alto di quello che dichiarano. Il guadagno medio fra 2022 e 2023 è stato di circa 130mila euro a consigliere, ma l’imponibile medio poi dichiarato al Fisco è stato 104mila eurio.

Perché? Semplice: gli eletti non hanno l’obbligo di dichiarare tutti gli “emolumenti” incassati durante il mandato. Sul 730 finiscono infatti soltanto le somme relative alle indennità di carica e alle indennità di funzione; la prima è fissa e vale circa 7.334 euro lordi al mese (in un anno diventano 88mila), la seconda varia a seconda del ruolo e si va dai 2640 euro lordi mensili del presidente del consiglio ai 1.128 di un capogruppo ai 902 di un presidente di commissione fino a zero per i consiglieri semplici. A seconda del ruolo si va dai 5mila ai 33mila euro lordi all’anno in più.

Tutti i rimborsi invece sono esentasse. Non una cosa da poco, perché si tratta di una quota variabile dal 20 al 30% di ciò che un consigliere incassa ogni mese. Lo prevede proprio una legge regionale che la politica in Toscana si è costruita ad hoc nove anni fa, la legge regionale 3 del 2009. All’articolo 9 stabilisce che i «rimborsi spese rientrano tra i redditi» di cui parla «l’articolo 52 del decreto del presidente della Repubblica del 22 dicembre del 1986», il testo unico sulle imposte sui redditi degli italiani. E lì la norma dice che «non concorrono a formare il reddito le somme erogate ai titolari di cariche elettive pubbliche, nonché a coloro che esercitano le funzioni stabilite dalla Costituzione per magistratura e enti locali, a titolo di rimborsi spese, purché l’erogazione delle relative somme e i relativi criteri siano disposti dagli organi competenti a determinare i trattamenti dei soggetti stessi».

Insomma, basta che l’ente si faccia la legge. Nulla di eccezionale se non fosse che questo vale per i politici, non per figure istituzionali non elettive e nominate dal presidente della Regione o dal Consiglio come il garante dei detenuti o quello dei diritti dell’infanzia. Loro, seppure non percepiscano indennità, ma solo gettoni e rimborsi, su quei soldi le tasse devono pagarle.

Ma come sono calcolati i rimborsi ai politici del parlamentino regionale? C’è una parte (fissa) concepita come una sorta di incentivo alla presenza, anzi alla partecipazione, visto che la legge del 2009 eliminava i gettoni di presenza veri e propri: per un assessore vale 2.523 euro al mese, per i capigruppo 2.100, per un consigliere 1.925. A seconda della funzione, in un anno può oscillare fra i 23mila e i 33mila euro netti. Ma non finisce qui, perché alla quota fissa si aggiunge anche un bonus variabile, un gettone forfettario che la legge assegna agli eletti come ristoro dei costi di trasferimento. Nel 2020 finì perfino nel mirino della Corte dei conti perché i consiglieri regionali continuarono a percepirlo sebbene Palazzo Pegaso fosse chiuso per lockdown e le sedute dell’aula si svolgessero in remoto.

Il caso sollevò talmente tante polemiche che costrinse i consiglieri a una restituzione in forma di beneficenza. Ma la parte variabile è invece «parametrata» su 18 giornate di lavoro «presunte» e calcolata sulla base della distanza tra il comune di residenza e la sede del consiglio. Insomma, si suppone che i consiglieri vadano almeno 18 volte al mese a lavorare a Firenze. Chi vive a meno di 20 chilometri non ne ha diritto, ma c’è chi percepisce cifre sostanziose. Risiedere a Livorno aumenta lo stipendio di circa 1.400 euro al mese, a Grosseto o Carrara di 1.600-1700, a Pisa di 1.000.

Anche qui si tratta di una quota che, a seconda della distanza, va da 3.500 a 21mila euro all’anno. Fra quota fissa e variabile c’è chi riesce a incassare anche 43mila euro in più. Puliti. Nella legislatura 2015-2020 servirono 28,5 milioni per pagare gli stipendi dei 40 consiglieri. A questi si aggiunse un totale di 1 milione di indennità di fine mandato: dai 22mila euro di Claudio Borghi (lasciò per lo scranno alla Camara) ai 105mila di Enrico Rossi. Per un totale, appunto, che sfiorò i 30 milioni.

 

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