La capo dipartimento difende le misure che prevedono un percorso alternativo per gli insegnanti di sostegno
*Capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
La lettera della professoressa Catia Giaconi, pubblicata sul sito corriere.it il 18 luglio scorso, dopo una analisi delle disposizioni del decreto-legge n. 71/2024, conclude con considerazioni che non tengono in conto il contesto da cui sono scaturite le scelte contenute nel decreto, non potendone, in tal modo, cogliere il senso.
Innanzitutto, corre l’obbligo di segnalare le imprecisioni relative alle misure del decreto, dalle quali, in buona parte, deriva il giudizio, non positivo, di cui è permeata la lettera.
Alcune precisazioni. Il percorso formativo degli insegnanti di sostegno precari con almeno tre anni di servizio non sarà ridotto “a meno della metà” dell’attuale TFA: la norma non dice questo, si limita a stabilire una soglia minima quantitativa, “di almeno 30 *crediti formativi* ”, ai nuovi percorsi, i cui contenuti saranno stabiliti da un successivo decreto. Peraltro, a differenza dei contenuti del TFA, il decreto che stabilirà i nuovi contenuti vedrà il coinvolgimento, tra gli altri, anche dell’Osservatorio per l’inclusione *scolastica* , in modo da partire dalle esigenze concrete degli alunni con disabilità e definire, anche grazie al loro contributo, percorsi più innovativi ed ambiziosi.
Non è vero, poi, che i titoli acquisiti all’estero verranno riconosciuti attraverso un percorso ulteriormente abbreviato: la norma dispone, anzi, che il soggetto che è in possesso di un titolo estero debba rinunciare alla istanza di riconoscimento e potrà partecipare ad un percorso che – lungi dal poter essere standardizzato – dovrà essere costruito, di concerto con il MUR e, di nuovo, con il contributo dell’Osservatorio per l’inclusione *scolastica* , in modo tale da offrire i contenuti formativi specificatamente mancanti nel percorso svolto all’estero.
Detto questo, occorre dare informazioni più dettagliate e corrette in ordine al contesto dal quale sono scaturite le scelte del decreto-legge.
Viene detto che la carenza di docenti specializzati sarebbe solo una “scusa” e che, invece, pure a fronte di una offerta formativa delle università di oltre 30 mila docenti specializzati, il Ministero ne ha assunti solo 3 mila.
L’osservazione coglie un punto fondamentale della questione, alla quale la professoressa sembrerebbe porre rimedio solo con un possibile “appello” ai docenti specializzati, che sono intanto transitati sul “posto comune” nel rispetto delle regole della mobilità professionale, di fare un percorso inverso, che sarebbe, in ogni caso, rimesso alla loro personale e generosa disponibilità.
I dati di fatto reali sono i seguenti: pur a fronte di un lieve miglioramento negli anni dell’offerta formativa universitaria del TFA, questa è distribuita sul territorio nazionale in modo marcatamente disomogeneo.
Basti pensare che negli ultimi tre anni l’offerta formativa di tutte le regioni del nord è pari, rispettivamente, al 15,58% (VII ciclo), al 14,04% (VIII ciclo) e al 13,38 % (IX ciclo) del totale nazionale; l’offerta delle regioni Calabria, Campania e Sicilia rappresenta, invece, da sola, rispettivamente il 36,91%, il 37,7% e il 37,67% del totale nazionale.
E’ da questa situazione che si determina il dato del sostanziale “insuccesso” delle ultime procedure concorsuali sul sostegno: al nord, infatti, 10.897 posti su 13.133 non saranno assegnabili per carenza assoluta di candidati specializzati; opposta la situazione nelle tre regioni del sud prese in esame dove i candidati che risulteranno assumibili saranno solo l’1,29% degli aspiranti iscritti, con un’eccedenza di 29.063 concorrenti.
A fronte di ciò, peraltro, il Ministero ha prontamente posto rimedio con una misura straordinaria, volta a consentire le assunzioni, sui posti lasciati liberi dal concorso, a beneficio dei docenti specializzati inseriti nelle graduatorie per le supplenze anche di altre regioni.
Il TFA universitario, dunque, concentra i 4/5 della propria offerta formativa al Centro-Sud. Ciò significa che gli aspiranti docenti del Nord non sono messi in condizione di specializzarsi, e, conseguentemente, di partecipare al concorso ed entrare nei ruoli della scuola a tempo indeterminato, assicurando, in tal modo la continuità didattica agli alunni con disabilità.
A conferma di ciò basterebbe incrociare il dato, su base regionale, dei posti dell’offerta formativa universitaria con quello dei precari, privi di specializzazione, che già svolgono supplenze annuali sul sostegno: il sistema sul quale siamo intervenuti, infatti, consentiva che, ad esempio, in Emilia Romagna, Lombardia o Piemonte vi fossero – dati del IX ciclo TFA – 845, 1220 e 590 posti a fronte di – rispettivamente – 5.036, 12.272 e 7.462 docenti precari “triennalisti” privi di specializzazione.
A tutti questi docenti, dunque, si offre finalmente una possibilità concreta di specializzarsi, che altrimenti non avrebbero: e lo si fa tenendo nel debito conto la professionalità già acquisita da anni di insegnamento svolti specificamente sul sostegno. Chi dice che è come se ad un professore di matematica si dimezzasse il proprio percorso formativo per abilitarsi dimostra di non conoscere che è la stessa, ambiziosissima, riforma del PNRR a riconoscere ai precari “triennalisti” sul posto comune l’esperienza precedentemente acquisita, immaginando per loro percorsi da 30 CFU: ciò anche in linea con la stessa giurisprudenza comunitaria che è arrivata a dare un valore quasi pienamente abilitante all’aver svolto la professione di docente per più di tre anni.
Anche sul tema dei titoli esteri, la professoressa dimostra di non conoscere la recente giurisprudenza comunitaria e nazionale, che ha imposto alle amministrazioni nazionali di valutare tali titoli nel complesso del percorso formativo svolto dal docente, che può richiedere, al più, l’integrazione di ulteriori contenuti formativi.
Con le norme del decreto-legge, dunque, noi facciamo proprio questo: individuiamo, insieme al MUR, quella parte di contenuti formativi tipici del sistema italiano (ci si riferisce, in particolare, ai temi dell’inclusione e dell’integrazione con il gruppo classe) che, in effetti, non sono rinvenibili nella gran parte dei percorsi di abilitazione conseguiti all’estero.
Anche con questa misura, dunque, a fronte di docenti che comunque continuerebbero ad essere chiamati nelle supplenze sul sostegno, creiamo le condizioni per una loro maggiore qualificazione, in modo da poter offrire un servizio di ancora maggiore qualità a beneficio degli studenti con disabilità.
A fronte di ciò, il nostro intervento è volto proprio a declinare questo principio rapportandolo alla nostra legittima esigenza di assicurare un livello di qualificazione superiore a quello presente in altri Paesi europei: per questa ragione le norme da noi introdotte prevedono una valutazione e un “filtro” dei titoli ammissibili, l’individuazione dei contenuti formativi mancanti rispetto al percorso svolto all’estero e, ovviamente, un esame finale.
In questo modo, dunque, garantiamo l’allineamento della formazione di questi docenti agli standard più elevati che caratterizzano il nostro sistema dell’inclusione.
23 luglio 2024
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