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L’emiro, i lingotti d’oro nella valigetta e la finta vendita di Villa d’Este – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Reggio Emilia, 11 ottobre 2024 – Attorno allo splendore di Villa d’Este, la dimora settecentesca che si erge nel verde al centro di un lago a Rivalta, si innescò tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 una trattativa da film: un emiro come potenziale acquirente, valigette riempite di lingotti d’oro e mazzette di contanti.

Da tempo una coppia di reggiani, marito e moglie, proprietari dello stabile al 50% (l’altra metà era della Fondazione Guatteri), aveva messo in vendita la propria parte e sembrava aver trovato finalmente un compratore: un ricco arabo. Ma la favola da mille e una notte si dissolse e restò solo un incubo: l’affare si rivelò una truffa di oltre 200mila euro, reato del quale due reggiani, un 60enne promotore finanziario e un 69enne barbiere, sono chiamati a rispondere nel processo con rito ordinario.

Davanti al giudice Silvia Semprini, ieri è stato sentito l’uomo raggirato, un 77enne costituito parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Nizzoli. Ha raccontato di aver ricevuto metà della villa in eredità, che avrebbe dovuto vendere “in cambio di 3 milioni e 600mila euro: l’avrebbe comprata un austriaco, di cui un uomo di Dubai mi presentò il passaporto”. Riferendosi agli imputati, dice che il 69enne “fece da intermediario”, mentre il 60enne “era il mio consulente finanziario da mezzo secolo, curava i miei soldi e lo chiamai – puntualizza – per non essere truffato. Quando avrei riscosso il corrispettivo per la villa, sarebbe stato lui a gestirlo”.

Secondo la sua ricostruzione, uno straniero, non imputato, che avrebbe rappresentato il fantomatico emiro, chiese per sé un compenso per la mediazione non in contanti, ma in oro per un valore di 215mila euro: “Lui lo domandò al ristorante, dove c’erano anche il 69enne e il 60enne”.

Qualche tempo prima dell’incontro dal notaio per il compromesso (“la caparra prevista era di 1 milione e 200mila euro”), il 77enne reggiano e l’imputato 60enne andarono a Valenza (Alessandria), la città dell’arte orafa: “Comprammo sei lingotti d’oro, del valore di 215mila euro, da dare all’intermediario straniero. Consegnai il materiale prezioso al mio consulente (cioè il 60enne, ndr), perché ci pensasse lui”.

Nel giorno dell’appuntamento dal notaio, il 77enne si ritrovò altrove: “Il mediatore straniero salì sulla mia auto, il 69enne imputato era dietro con mia moglie. Non andammo dal notaio, ma in un hotel a Reggio, dove a tavola poi arrivò pure il 60enne”. Secondo il presunto truffato, il suo consulente e il mediatore straniero scesero in una sala sotterranea, poi risalirono e il 60enne annunciò: “C’è una valigetta con il lucchetto, abbiamo fatto tutto”.

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Il proprietario di Villa d’Este racconta lo scambio: “Io diedi i lingotti e il mio consulente mi consegnò una valigia coi soldi che dovevano essere equivalenti al valore dell’oro”. Poi la coppia e gli altri andarono dal notaio, insieme a un agronomo che si interessava di Villa d’Este (così come il figlio architetto, per i vincoli), ma il mediatore straniero non arrivò. Il 60enne disse che sarebbe arrivato, ma non fu così e si accomiatarono dal professionista. Al 77enne che aveva la valigetta con i soldi – il suo consulente finanziario gli avrebbe assicurato di aver controllato che tutto fosse a posto – fu detto di aspettare 40 giorni ad aprirla, perché l’interessato all’acquisto si sarebbe presentato successivamente. Ma ci furono numerosi rinvii, e alla fine il proprietario reggiano aprì la valigetta in garage: “C’erano tre pacchi di soldi, ciascuno con 500 euro sopra. Ma solo quelle tre banconote erano originali, per un valore di 1.500 euro: tutte le altre erano fotocopie false”.

L’avvocato Michele Gatti, difensore degli imputati, da noi interpellato, preferisce al momento non rilasciare dichiarazioni. Si proseguirà in febbraio.



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