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Il Venture Capital (VC) ha sempre avuto un ruolo marginale nella nostra economia, ma sembra stia finalmente guadagnando terreno, guidato in particolare dalle imprese tecnologiche.

Ma il percorso non è esente da ostacoli: l’equity gap nelle fasi iniziali, la necessità di coinvolgere maggiormente i micro VC e le sfide poste dalla percezione internazionale del nostro paese sono solo alcune delle questioni che richiedono attenzione e strategie mirate.

Allo stesso tempo, i second time founders stanno emergendo come un elemento chiave nel ciclo virtuoso del reinvestimento, contribuendo a colmare il gap strutturale nell’innovazione italiana. Come affrontare questi temi complessi? Quale potrebbe essere una strategia efficace per una crescita sostenibile del VC italiano?

Il panorama del Venture Capital in Italia nel 2023

Nel 2023, il venture capital europeo ha sperimentato una fase di rallentamento, con una significativa contrazione degli investimenti. Tuttavia, l’Italia, secondo diversi studi, tra cui quello presentato da Bain & Company attraverso il Venture Capital Scanner Italia 2023, ha mostrato una performance meno negativa rispetto al resto d’Europa, registrando una diminuzione del -20% rispetto all’anno precedente, in netto contrasto con la media europea che ha segnato un -41%. Nonostante le sfide, gli investimenti in Italia hanno raggiunto 1,1 miliardi di euro, con una riduzione legata soprattutto al numero di mega-deal tipici dei round late stage (Series A+), ma con una lieve crescita del valore medio delle operazioni, soprattutto nel Seed e nel Pre-Seed.

Il settore Tech traina il VC italiano

Secondo il Venture Capital Scanner il settore Tech si conferma come trainante nel panorama del venture capital italiano, rappresentando il 31% del valore totale degli investimenti nel 2023, con un totale di 61 deal. Segue il segmento di startup B2C, che ha attratto il 27% del valore degli investimenti con 60 deal complessivi. Da notare che il settore dell’EnergyTech si distingue invece per il valore medio dei singoli deal, raggiungendo i 10,8 milioni di euro rispetto alla media complessiva di 5,1 milioni di euro. Questo dato riflette la natura capital-intensive delle soluzioni innovative per la transizione energetica, particolarmente attenzionate negli ultimi mesi insieme a quelle sull’intelligenza artificiale.

Le sfide dell’early stage e l’equity gap

L’early stage, soprattutto nel pre-seed e nel seed, rimane una fase critica e complessa per gli imprenditori alla ricerca di capitali nel Belpaese. L’equity gap, ovvero la mancanza di finanziamenti disponibili per le startup in questa fase, costituisce una delle principali sfide più difficili da vincere per i founder italiani. Le ragioni sono molteplici ma sicuramente la forte avversione al rischio da parte degli investitori retail e dei family office, uniti alla totale assenza per anni di fondi VC dedicati a queste fasi, non hanno permesso all’ecosistema di evolvere rapidamente.

Ovviamente sono diversi i fattori che contribuiscono alla difficoltà di raccolta di capitali in queste fasi iniziali. Tra essi, la natura intrinsecamente rischiosa degli investimenti early stage scoraggia molti investitori istituzionali e tradizionali dal credere sin dagli inizi nella stragrande maggioranza dei progetti. Inoltre, la mancanza di track record e di dati finanziari consolidati può rendere difficile per le startup dimostrare il proprio potenziale agli investitori. Ebbene sì, perché molto spesso il venture capital nostrano è molto più simile ad un private equity su micro aziende innovative, rispetto al reale profilo di investimento che dovrebbe adottare.

Proprio per questo motivo, per anni, i portali di equity crowdfunding, i club di angels (IAG e Club degli Investitori su tutti) e i principali acceleratori (LVenture, Digital Magics e Nana Bianca per citarne solo alcuni) sono stati gli unici sostenitori delle startup nelle fasi iniziali. Questi operatori continuano ad essere un’importante fonte di capitali e competenze (smart money) per tutto il panorama di startup italiane. Questi lentamente stanno cercando di unire le forze con gli operatori a valle che pian piano, finalmente, stanno prendendo piede: syndicate, holding di investimenti e micro VC verticali.

La dinamica dei micro VC e il supporto di CDP Venture

Il 2023 infatti ha portato nuova linfa grazie alla nascita o al consolidamento di alcuni operatori di questo settore, tra cui alcune holding di investimento, family office e micro VC. Ciò ha portato, nonostante la flessione negli investimenti complessivi nel 2023, alcuni segnali promettenti per il futuro del Venture Capital in Italia. Oltre alla consueta attività di raccolta portata avanti da importanti fondi di VC, che evidenzia un rinnovato slancio nel settore, la dinamicità dei micro VC, concentrati su ambiti settoriali specifici, e il supporto di CDP Venture a tutto l’ecosistema, sia con la creazione degli acceleratori settoriali, in partnership con importanti player italiani ed esteri, sia con il finanziamento di micro fondi verticali, conferma la vitalità e l’impegno continuo verso la specializzazione e l’innovazione, nonché l’incremento di opportunità di finanziamento per tutti i founders italiani, ormai rassegnati al fatto che il “campionato italiano” è uno dei più difficili in questa disciplina.

Il 2023, per tali ragioni, ha segnato una certa stabilità degli investimenti nella fase early stage indicando non solo resilienza, ma anche un’innata capacità di adattamento e crescita del sistema imprenditoriale italiano, che in ogni modo cerca di portare fieno in cascina, sfruttando le opportunità migliori.

La percezione internazionale dell’Italia e la crescita dell’International VC

Inoltre, con la prospettiva di un possibile miglioramento del panorama macroeconomico mondiale, che porterebbe ad una diminuzione dei tassi di interesse e una stabilità dell’inflazione, si può prospettare anche un più facile e più ampio accesso per le startup italiane anche a finanziamenti da parte di player internazionali. Ciò le posizionerebbe favorevolmente sulla scacchiera globale, aumentando le possibilità di emergere come future aziende di successo.

Infatti, già oggi, l’aumentata percezione di stabilità e crescita del mercato italiano da parte degli investitori internazionali sta stimolando un maggiore interesse verso le opportunità offerte dal Paese, preannunciando un’integrazione sempre più marcata nel tessuto economico globale, che porterà non solo maggiori capitali ma anche più ampie prospettive di crescita internazionale e competenze preziosissime per tutto l’ecosistema.

L’importanza dei second time founders nel ciclo virtuoso del reinvestimento

Un altro elemento significativo, che può e deve portare valore per risolvere l’attuale impasse, è l’ascesa dei “second time founders”, imprenditori che, dopo aver guidato con successo una startup, si lanciano in nuove iniziative imprenditoriali o reinvestono la propria esperienza e capitali in startup emergenti. Questo fenomeno non solo testimonia un ciclo virtuoso di reinvestimento, ma indica anche l’avanzamento e la sofisticazione dell’ecosistema. Inutile dirlo, per farsi che tutto ciò acceleri servono sempre più exit, ma quelle vere, che portino capitali e consapevolezza ad un numero sempre più ampio di imprenditori ed investitori, accrescendo la fiducia nell’asset class. Se lo scorso anno abbiamo visto alcuni importanti round early stage con raccolte a 7 e 8 zeri, è stato perché a guidarle c’erano (e ci sono tuttora) founder seriali con alcune exit alle spalle, quindi non è teoria, è un dato di fatto.

Il gap strutturale nell’innovazione italiana e la carenza di fondi VC

Infine, nonostante i progressi nel panorama complessivo del venture capital italiano, persiste un gap strutturale nel tessuto dell’innovazione del Paese. Questo si riflette nella relativa carenza di fondi VC rispetto ad altri principali Paesi europei e nella capacità limitata di trasformare la ricerca in impresa. Il cammino verso una dimensione del venture capital italiana allineata ai principali mercati europei richiede non solo una maggiore disponibilità di capitali, ma anche una crescita quantitativa e qualitativa del numero di startup nel Paese. Per sostenere questa crescita e favorire l’innovazione, è essenziale promuovere la collaborazione tra diversi attori dell’ecosistema, tra cui imprese, centri di ricerca, istituzioni finanziarie e policy maker.

Le strategie per una crescita sostenibile del VC italiano

Il panorama del venture capital in Italia mostra segni positivi di crescita, con il settore Tech in evidenza. Tuttavia, l’early stage rimane una fase critica, caratterizzata dall’equity gap e dalle sfide di raccolta di capitali. Affrontare queste sfide richiede un impegno collettivo da parte degli imprenditori, degli investitori e delle istituzioni per promuovere un ambiente più favorevole alla crescita e all’innovazione delle startup italiane, favorendo la nascita di fondi ed innescando il circolo virtuoso delle exit e dei give back, grazie all’ingresso poderoso delle corporate alla a metà e alla fine della catena del valore, con investimenti e acquisizioni.

Conclusioni

È molto importante per tutti i founder che iniziano a pianificare e a lavorare al fundraising della propria azienda, analizzare le tesi di investimento e le principali caratteristiche dei fondi e in generale degli investitori con i quali vogliono interloquire, scegliendo quelli più in target rispetto al proprio stage di maturità, mercato di riferimento e dimensione del round. Preparare un kit documentale ben organizzato, sintetico e chiaro, avere la giusta vision unita ad un mercato, anche se di nicchia, interessante ed ad un team cross funzionale composto da gente pragmatica, è tutto ciò che chi investe per professione (e non solo) sta cercando.

 

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