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I primi a sorridere rispetto al taglio dei tassi deciso dalla Bce saranno tutti coloro che hanno acquistato una casa con un mutuo a tasso variabile ma anche quelli che hanno intenzione sia di chiedere un finanziamento che di pagare ratealmente qualcosa. E questo perché il costo del denaro sta calando, ed è la prima volta dal 2019. Un taglio non molto ampio, lo 0,25% in meno (quindi ora siamo al 4,25%), ma che rappresenta un segnale importante, soprattutto in chiave futura, visto che la Banca Europea lo ha annunciato come il primo di una serie di tagli.

In tempi ancora da quantificare quindi, si dovrebbe arrivare alla metà del tasso attuale anche se tutto dipenderà da tutto ciò che in questi sei anni ha provocato il progressivo rincaro del costo del denaro. A questo punto le domande sorgono spontanee: l’inflazione sarà domata? Il Pil dell’eurozona prenderà vigore o no? E se dovessero verificarsi nuovi fatti “esogeni” (pandemie, guerre, rincari violenti delle materie prime) come in questi anni?

Dato che la nostra sfera di cristallo è appannata, proviamo a fermarci e a riflettere almeno sulle conseguenze attuali. Anzitutto chi è titolare di un mutuo a tasso variabile, pagherà sicuramente una rata leggermente inferiore. I finanziamenti sugli acquisti poi (le cifre vicino a Tan e Taeg) saranno più convenienti, stimolando gli stessi. E con gli acquisti, quindi, si spera in una ripresa dell’economia, in particolare di quella legata alla produzione di tali beni e servizi.

Semplice? Per niente. Altre domande si impongono. E se i maggiori consumi dovessero far partire nuovamente la malefica inflazione? E se a beneficiare di questi tagli non fossero le aziende dell’eurozona? E se quell’inflazione, di cui sopra, che divora lentamente la nostra capacità di spesa, dovesse scatenare – come già sta accadendo – la richiesta di salari e stipendi più alti?

Non solo, probabilmente godranno meno i risparmiatori, perché caleranno i tassi sui depositi, oggi abbastanza generosi; caleranno anche i rendimenti offerti dalle nuove sottoscrizioni di titoli di Stato. In compenso aumenterà il valore di quelli già detenuti. Considerazioni a parte, solleva lo spirito sapere che almeno lo Stato italiano pagherà meno interessi sul suo mostruoso debito pubblico (anche se l’inflazione lo aiutava a ridurlo…).

Insomma è tutta una questione di equilibri difficili da raggiungere e soprattutto da mantenere. Senza dimenticare però una cosa: stare dentro l’euro ci consente di stare dentro una botte di ferro. Ai tempi del vecchio conio, nei primi anni Ottanta l’inflazione superò il 20% annuo … ce lo siamo già dimenticati? E basta guardare appena fuori dai nostri confini per sapere che un’inflazione al 70% sta ad esempio divorando la Turchia. O scoprire che la percentuale della nostra inflazione è la metà di quella registrata nel vicino Regno Unito, peraltro fuori dall’Europa e quindi fuori dall’euro.

Cose da tecnici dell’economia? Assolutamente no. Quello che è certo è che a pagare il costo di inflazione e tassi alti sono stati, sono e saranno anzitutto i poveri e tutti coloro che hanno meno risorse economiche. I ricchi continueranno ad acquistare Ferrari, e non certo a rate.



 

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