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Il Mase (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) qualche settimana fa, su indicazione del Gestore dei Servizi Energetici (Gse), ha definito le regole che delineano l’operatività delle Comunità Energetiche Rinnovabili (note come Cer). Il documento fornisce un quadro completo ed una guida su come creare e gestire una Cer ed anche le modalità di incentivazione. Ma vediamo cosa sono queste strutture. Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono entità giuridiche costituite da membri come cittadini privati, piccole e medie imprese, enti pubblici locali ed istituzioni, ad esempio anche gli enti di ricerca, che si uniscono volontariamente all’interno di un’area geografica specifica per condividere l’energia prodotta localmente da uno o più impianti di energia rinnovabile.

L’obiettivo principale della partecipazione è l’autoconsumo diffuso, ovvero la condivisione, attraverso la rete di distribuzione, dell’energia che viene prodotta all’interno della comunità, con benefici economici, sociali e soprattutto ambientali per l’area in cui operano. L’energia può essere condivisa fisicamente, ossia ricorrendo a una propria rete (e/o proprie batterie), oppure virtualmente. La condivisione virtuale dell’energia avviene quando l’energia prodotta dagli impianti viene, per quanto non sia direttamente consumata da quelli che sono fisicamente collegati agli impianti stessi, immessa in rete. Ad oggi, secondo i dati del Gse, riportati in un recente report di LegaAmbiente, sono 154 le comunità energetiche rinnovabili che si sono realizzate nel nostro Paese. Questa bassa numerosità senza dubbio è dovuta all’enorme ritardo con il quale sono state approvate le regole dette all’inizio, che erano previste già per il 2022. Se si fossero rispettati i tempi molte realtà avrebbero pagato molto meno l’energia in un periodo così critico dovuto alle turbolenze internazionali. Nel Centro Italia un ruolo importante e meritorio lo sta avendo il programma NextAppennino, coordinato dal Commissario Straordinario alla Ricostruzione del Sisma del 2016, che ha permesso di finanziare una ventina di progetti di Cer.

Ma la notizia rilevante è che da inizio Aprile si è completata la strategia ideata dal Mase, con la pubblicazione di un bando a sportello per il quale i Comuni sotto a 5.000 abitati possono presentare progetti di Cer ed Autoconsumo e ricevere un contributo a fondo perduto significativo, pari al 40% della spesa ammissibile, con uno stanziamento che si aggira sui 2,2 miliardi di euro a valere su fondi Pnrr. I tempi sono stretti per realizzare i progetti, date le scadenze obbligate dal Pnrr, ma l’occasione è ghiotta per far diffondere capillarmente questa modalità cooperativistica di produzione e consumo dell’energia e velocizzare l’attuazione della transizione green. Dato il momento di rilancio di questa strategia verso le Cer, si vogliono ricordare alcuni punti fermi per poterle realizzare. Per essere considerata una Cer è necessario che la comunità rispetti una serie di requisiti previsti dalla legge europea e da quella italiana.

Tra questi i principali sono: a) l’impossibilità di produrre profitti finanziari come obiettivo primario; b) la partecipazione aperta e volontaria dei membri; c) il controllo effettivo della comunità deve essere esercitato dai cittadini, dalle autorità locali, dagli istituti di ricerca, dalle organizzazioni della società civile, dalle piccole e medie imprese; d) la comunità deve essere autonoma; e) infine, le comunità di energia rinnovabile sono tenute a consentire anche ai soggetti che hanno difficoltà economiche di parteciparvi. Relativamente al primo punto, lo statuto della Cer deve stabilire che essa sia tenuta a produrre benefici economici, ambientali e/o sociali. In questo modo, la Cer può anche decidere di distribuire i profitti sotto forma di dividendi tra membri.

Non è corretto ritenere che distribuire dividendi sia vietato dalla legge sulle Cer. Per quanto riguarda l’“apertura” essa non implica che le Cer debbano ammettere chiunque ne faccia richiesta. Nella pratica vi sono infatti tante restrizioni che sono perfettamente permesse dalla legge. Spesso vi sono dei vincoli territoriali nello statuto in forza dei quali i membri, per poter entrare nella comunità, devono risiedere in una determinata area geografica. A ciò si aggiunga che le Cer possono limitare l’ingresso di nuovi membri in base alla quantità di energia prodotta. Le direttive europee, e ancor più la legislazione italiana, ammettono il diritto di uscire liberamente dalla Cer in ogni momento, ma con debito preavviso. Sulla governance della Cer occorre porre particolare attenzione ed evitare che una piccola minoranza dei membri, ad esempio i titolari degli impianti, abbiano la maggioranza dei voti e possano quindi eleggere tutti gli amministratori. Questa modalità contravviene il requisito del controllo effettivo e il Gse, in sede di valutazione, potrebbe non riconoscere tali realtà poiché deve essere la maggioranza dei membri a poter nominare la maggioranza degli amministratori.

Le Cer devono anche essere autonome e ciò significa che la loro sopravvivenza non deve dipendere dalle decisioni di singoli membri; ad esempio, le superfici pubbliche messe a disposizione dal Comune devono rimanere vincolate per il tutto il ciclo di vita dell’impianto, al di là di cambiamenti di indirizzo politico. In definitiva, costruire una Cer è molto importante ed utile per il nostro sviluppo energetico ma è un esercizio complesso perchè richiede anche un cambiamento di approccio culturale, passando dall’individualismo alla completa cooperazione, e questo non è facile dalle nostre parti.

* Referente Trasferimento Tecnologico e Direttore DIISM, Università Politecnica
delle Marche



 

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