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Il D.L. 7 maggio 2024, n. 60 (intitolato “ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, in G.U. n. 105 del 7 maggio 2024) contiene alcune misure specificatamente dedicate al lavoro (artt. da 16 a 28), che si concretizzano innanzitutto in una lunga ed articolata serie di sgravi contributivi in caso di creazione di nuove imprese (artt. 16-21) o di assunzione di giovani e donne (17-24). Si tratta di incentivi che, per un verso, in quanto contenuti in un decreto-legge, dovranno essere confermati dal Parlamento (anche con l’introduzione di eventuali modifiche) e che, per un altro, attendono comunque l’emanazione di una normativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, prima di poter essere effettivamente operativi.
Una prima serie di misure ha riguardo a forme di finanziamento a fondo perduto (in misura fissa per 30mila euro e in misura variabile dal 60% al 75%, per gli investimenti di maggiore rilievo) per la creazione di nuove imprese, ovvero per l’avvio di attività libero professionistiche o di lavoro autonomo. Si tratta di misure che mettono insieme forme di finanziamento già esistenti, integrandole con fondi per le politiche di coesione previste dal PNRR. Il modello che viene preso a riferimento è quello dell’intervento “Resto al Sud”, che già fu lanciato nel 2017 e che ha dato esiti abbastanza positivi, finanziando (dati febbraio 2024) più di 14mila imprese e creando 51.630 nuovi posti di lavoro, grazie anche al ruolo svolto da un’agenzia del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Invitalia), che si è concentrata negli ultimi anni soprattutto verso i giovani, o verso soggetti che altrimenti resterebbero ai margini del mercato del lavoro delle regioni del Sud, per sostenere anche dal punto di vista organizzativo l’avvio e il consolidamento di nuove imprese spesso in settori “green”, come l’agro-alimentare, ma non solo. Il finanziamento era stato già sperimentato per alcuni Comuni ricadenti nel perimetro del sisma che ha interessato Lazio, Marche e Umbria, nonché per tutte le isole minori, anche lacustri della Penisola, e viene ora esteso (seppure con forme di sostegno leggermente ridotte rispetto a quelle ora confermate e ridenominate “Resto al Sud 2.0”) anche nei confronti dei giovani delle regioni del Nord, nonché di tutte le imprese che operano in settori strategici per lo sviluppo di nuove tecnologie e la transizione digitale ed ecologica (artt. 17 e 21 del D.L. n. 60 del 2024).
Altre misure sono dirette, attraverso sgravi contributivi, a sostenere l’assunzione di giovani al di sotto dei 35 anni di età o donne (artt. 22 e 23), seppure nei ristretti limiti in cui le norme di regolazione della concorrenza ammettono questi specifici tipi di aiuto (reg. UE n. 651/2014). Ed invero, non si deve dimenticare che, oramai da almeno due decenni, il rispetto delle regole della concorrenza ha imposto di limitare gli aiuti di Stato ad un ristretto numero di ipotesi, onde consentire a tutte le imprese e i lavoratori autonomi di operare in condizioni di parità all’interno del mercato unico europeo.

Qui gli interventi sono collegati alla recente creazione di una unica zona economica speciale (ZES), che dal 1° gennaio 2024 abbraccia tutte le regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna), venendo così ad unificare le più ridotte otto aree che già si erano istituite in precedenza. Si tratta di una misura pensata in origine per favorire lo sviluppo delle reti europee di trasporto (i cosiddetti “corridoi” che, una volta completati, attraverseranno l’Europa da Lisbona a Mosca, o da Palermo alla Svezia, o da Genova ad Edimburgo).

In questa prospettiva, già il D.L. n. 91 del 2017 e s.m.i. consentiva di istituire zone “franche” intorno alle aree portuali situate nelle regioni, individuate dalla normativa europea come “meno sviluppate” ed “in transizione”, per consentire così lo sviluppo delle imprese ivi operanti, e l’insediamento di nuove imprese. Se fino ad oggi le misure promozionali erano limitate a forme di agevolazione fiscale (c.d. credito d’imposta ZES), il decreto Coesione estende anche agli aspetti contributivi i bonus previsti dall’art. 24, rendendoli disponibili per le imprese che hanno sede in un’area vastissima, quali le Regioni del Sud.

Il decreto Coesione, infine, contiene due misure che intervengono ad integrare norme di recente emanazione.

Innanzitutto, l’art. 28 del decreto Coesione (intitolato “disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del lavoro sommerso) reca una modifica all’art. 29 del D.L. 2 marzo 2024, n. 19, da pochissimo convertito nella legge 29 aprile 2024, n. 56, sostituendone i commi da 10 a 12, per stabilire che, in caso di appalti pubblici o privati per la realizzazione dei lavori edili, prima di procedere al pagamento del saldo finale, il responsabile del progetto, negli appalti pubblici, e il direttore dei lavori o il committente, in mancanza di nomina, negli appalti privati, sono tenuti a verificare la congruità dell’incidenza della manodopera sull’opera complessiva, in conformità alle istruzioni che il Ministro del Lavoro è già chiamato ad impartire mediante un proprio decreto.

Nel caso di appalti pubblici, è previsto che il responsabile della verifica della corretta esecuzione ne risposta sul piano disciplinare, nonché del danno eventualmente arrecato alla stazione appaltante, mentre si applica una sanzione da mille a 5.000,00 euro nel caso di appalti privati, che superino però l’importo di euro 70.000,00.

Questi indici di congruità sono stati sperimentati nel settore dell’agricoltura e sono il risultato di una proporzione fra i lavori effettivamente eseguiti e il numero di dipendenti dichiarati: ove dal rapporto emerga che il singolo lavoratore ha “fatto per due”, si presuppone che vi sia stato ricorso a lavoro in nero. Si tratta, quindi, di una misura che, ove gli indici vengano ad essere elaborati correttamente, non dovrebbe spaventare troppo gli imprenditori onesti o quanti si trovino a svolgere “in economia” (e cioè con gestione diretta degli operai) lavori di manutenzione sulla propria abitazione.

In secondo luogo, gli artt. 25 e 26 del decreto Coesione vengono ad affidare all’INPS un ruolo da protagonista nella gestione del “Sistema Informativo per l’inclusione sociale e lavorativa” (SIISL) e cioè della piattaforma di incontro fra domanda ed offerta di lavoro, creata lo scorso anno per evitare errori e duplicazioni nel pagamento del reddito di cittadinanza (ed ora dell’assegno di inclusione).

La piattaforma aspira, peraltro, al monopolio dei servizi “di collocamento”, tanto che al comma 2 dello stesso art. 26 si prevede che nel sistema gestito dall’INPS «sono inserite anche le posizioni vacanti pubblicate dai datori di lavoro su piattaforme pubbliche nazionali e internazionali» e che ad esso devono essere iscritti anche quanti percepiscono l’indennità di disoccupazione (NASpI) o la DIS-COLL (e cioè il trattamento previsto per i parasubordinati). Pure si ammette che i disoccupati possano accedere alla piattaforma per svolgere le ricerche utili a trovare un impiego.

In questo modo viene altresì consentito anche il monitoraggio delle attività formative svolti dagli enti accreditati (verificando quanto in concreto esse siano utili al reimpiego dei disoccupati) al fine di attribuire ad ognuno di essi un punteggio in termini di performance. Né il sistema resta insensibile alle novità tecnologiche più avanzate, tanto che al comma 3 si prevede l’utilizzo «nei limiti consentiti dalle disposizioni vigenti» di strumenti di intelligenza artificiale per l’abbinamento ottimale delle offerte e delle domande di lavoro inserite sulla piattaforma. In questo modo, dovrebbe venire individuata una più ristretta cerchia di possibilità per operare più facilmente l’incontro fra chi cerca e chi offre lavoro, sulla base di criteri non dissimili da quelli che già da tempo offrono, per es., a chi naviga su internet il link a pagine che trattano argomenti affini rispetto a quelle che al momento si stanno consultando.

L’aspetto tecnologico, come ognuno può intuire, è centrale poiché è solo con la creazione e lo sviluppo di una piattaforma unica che le politiche per il lavoro potranno finalmente far registrare quel passo in avanti che si attendeva da due (o forse tre) decenni, anche se rimarrà sempre la necessità di una corretta “profilatura” dei disoccupati al momento dell’iscrizione al sistema, onde evitare che qualcuno, per trovare in fretta lavoro, spacci competenze professionali di cui è in realtà privo.

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