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Come è possibile che il Pil del Paese sia in crescita e le famiglie, invece, in difficoltà? I miglioramenti dell’economia non vanno di pari passo con il benessere delle famiglie, il cui potere d’acquisto viene eroso da inflazione e stagnazione dei salari. La fotografia di un Paese a due velocità: vediamo di spiegare perché.

A fissare questa immagine è il rapporto dell’Istat che si è focalizzato in particolare sul confronto dell’economia italiana con l’Europa e sulla situazione post pandemica. Secondo il rapporto, nel periodo fra il 2019 e il 2023 l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori dell’Unione Europea, recuperando il livello del Pil di fine 2019 già nel terzo trimestre del 2021. A confronto con l’ultimo trimestre del 2019, a fine del 2023, il livello del Pil era superiore del 4,2% in Italia, del 2,9 in Spagna, dell’1,9 in Francia e solo dello 0,1 per cento in Germania.

A marcare la differenza, il fatto che nel 2023 il valore delle nostre esportazioni è rimasto praticamente invariato (mentre è in calo come volumi), ma si è ridotto anche quello delle importazioni. In termini monetari, il saldo commerciale negativo del 2022, in deficit di 30 miliardi di euro, è completamente ribaltato nel 2023, con un segno positivo di 34,5 miliardi di euro. Ma è una situazione provvisoria. L’Istat promuove difatti gli investimenti che “hanno dato un contributo sostanziale all’attività, con un impulso importante del comparto delle Costruzioni, grazie agli incentivi a sostegno dell’edilizia. Nell’ultimo anno, al contributo delle Costruzioni si è associato quello dei Macchinari e altre attrezzature (in particolare dei Mezzi di trasporto) e dei Prodotti di proprietà intellettuale”, ma sottolinea anche come “la crescita vivace dei flussi commerciali del 2021 e 2022 si è arrestata nel 2023. In questo periodo, l’andamento in valore degli scambi ha risentito delle fluttuazioni dei prezzi di energia e altre commodities e dell’andamento della domanda mondiale”. Dunque, alla fine, nel 2023 il Pil italiano è aumentato dello 0,9%, mentre la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,3%”.

A fronte di tutto questo, nello specifico nel periodo post Covid, i bilanci familiari perdevano valore. “Nel triennio 2021-2023 le retribuzioni contrattuali orarie non hanno tenuto il passo dell’inflazione: tra gennaio 2021 e dicembre 2023, sono aumentate del 4,7%, e l’indice armonizzato dei prezzi al consumo del 17,3%. La dinamica delle retribuzioni è tornata a superare quella dei prezzi da ottobre 2023, grazie alla decelerazione dell’inflazione; questa tendenza si conferma nel primo trimestre del 2024″, fa sapere l’Istat. “Tra il 2019 e il 2023, il reddito disponibile delle famiglie a prezzi correnti è cresciuto del 13,5%. A prezzi costanti è, invece, diminuito dell’1 per cento rispetto al 2019. Il mantenimento del volume dei consumi nonostante la riduzione del potere d’acquisto ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3% del 2023, contro l’8,1 del 2019″.

Adesso, secondo l’Istat, la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.728 euro in valori correnti, in aumento del 3,9% rispetto all’anno precedente, trainata dall’ulteriore aumento dei prezzi. Ma se consideriamo i “termini reali”, la spesa media si riduce dell’1,8%. Nel senso che vengono ridotte alcune voci di spesa. E, come mostrano i grafici qui sotto, si risparmia anche sulle spese sanitarie non urgenti.

Anche per questo “l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all’8,5%, e quella individuale dal 6,9 al 9,8%. Rispetto al 2014 sono aumentate di 683mila unità le famiglie in povertà (erano 1 milione e 552mila) e di circa 1,6 milioni gli individui in povertà (erano 4 milioni e 149mila).

A rallentare la crescita, e a mettere in difficoltà le famiglie, contribuiscono altri fattori, oltre all’aumento dei pressi. Se ci riferiamo al cosiddetto “Pil reale”, ci rendiamo conto che a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni, si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Se si confronta il 2023 con il 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna.

Un andamento che è dovuto anche alla “stagnazione della produttività del lavoro“. In volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l’1,3% tra 2007 e 2023, contro il 3,6% in Francia, il 10,5 in Germania e il 15,2 per cento in Spagna.



 

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