diGiampiero Rossi
È di 113 milioni di euro la somma investita in cultura delle imprese soltanto nel territorio compreso tra Milano e la sua provincia
Le imprese lombarde investono in arte e cultura. Per la precisione 183 milioni di euro in un solo anno. Effetto dell’Art bonus, che riconosce un credito d’imposta del 65 per cento sulle donazioni a sostegno del patrimonio culturale pubblico, ma anche scelta comunicativa sempre più diffusa e non soltanto tra le grandi aziende. «Un terzo dei bonus italiani per gli investimenti in arte e cultura arrivano in Lombardia e con il passare degli anni le iniziative proposte qui sono diventate il modello di riferimento», spiega Francesco Moneta, presidente del comitato no profit «Cultura + impresa», che organizza anche un premio per le idee migliori, dove i lombardi sono protagonisti.
Ci sono le grandi banche e i colossi del settore energetico, che «nella cultura e nell’arte hanno individuato un proprio pilastro», ma ci sono anche le aziende di provincia che invitano gli street artist per insegnare ai dipendenti come si fanno i murales. E poi ci sono i gemellaggi che legano ospedali a gallerie e pinacoteche, i progetti orientati all’innovazione sociale e all’inclusione e — come è successo a Varese, con il ruolo chiave della Confindustria locale — le alleanze tra industriali per sostenere i musei del territorio. E così ecco che, secondo i dati raccolti da Ales (società controllata dal ministero per il supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale), nel solo territorio milanese sono stati investiti 113 milioni, altri 37 dagli imprenditori cremonesi, 16 a Bergamo e 11 a Brescia.
Ma perché un’impresa sceglie di investire in cultura? «Aiutare le istituzioni d’arte cittadine innesca una dinamica virtuosa che favorisce un ritorno in termini di reputazione e attrattività — dice ancora Moneta — ma che produce anche effetti positivi nelle relazioni interne, con coinvolgimento e motivazione delle persone che lavorano nell’azienda».
Esiste anche una sorta di indice di valutazione di tutto ciò. Si chiama Vaas (Value analisys in arts sponsorship) e aiuta a misurare i vantaggi sulla base di sei voci: comunicazione esterna, relazioni con i dipendenti, rapporti con stakeholders e istituzioni amministrative, reputazione presso le banche e i clienti, impatto sociale ed economico sul territorio, partecipazione agli obiettivi di sostenibilità indicati dall’Onu. Sono queste, dunque le voci che giustificano e a volte incentivano la scelta di investire in arte e cultura. E la tendenza, in Lombardia — terra di imprenditoria — è in costante crescita, «perché sono operazioni che producono valore e benessere sociale — sottolinea il presidente del premio —. Una nostra ricerca ha confermato che le imprese beneficiano di una crescita anche grazie ai territori in cui agiscono e per questo sono motivate a restituire qualcosa alle loro comunità. In passato questo avveniva attraverso la sponsorizzazione della società di calcio, di basket o di pallavolo, adesso si punta più volentieri sui festival, sulle mostre e sugli artisti invitati anche direttamente in azienda, magari per lavorare riciclando materiali di produzione».
E i soldi? I grandi gruppi li hanno, ma le piccole e medie imprese? «Non è detto che siano necessari grandi investimenti, a volte è sufficiente valorizzare su giovani artisti del territorio. E poi succede che un festival, come quello della letteratura di Mantova, diventi un modello imitato e moltiplicato ovunque».
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