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Il turismo comunitario che protegge le popolazioni locali e le foreste in Ecuador #finsubito prestito immediato


Passo fermo e machete alla mano, Diana Torres avanza decisa nel “culunco”, un sentiero lungo il quale i suoi nonni contrabbandavano alcolici cinquanta anni fa. Una coppia di turisti europei la segue incerta.

Torres conosce ogni metro di questo antico cammino che si addentra dalla piccola comunità di Yunguilla nelle viscere del bosco nuvoloso, nel cuore delle Ande ecuadoriane. All’improvviso alza la mano, intimando di fermarsi. Nelle frasche davanti a loro si sta muovendo un tucano, e questa potrebbe essere l’unica opportunità di vederlo. “La prima volta che dei turisti mi hanno pagata credevo che i soldi fossero per il ristorante, non per me”, ride Torres, 28 anni, raccontando come ha iniziato a lavorare come guida. 

Yunguilla è una comunità meticcia di cinquanta famiglie, a circa 90 chilometri da Quito. Sorge sulle pendici di un’area riconosciuta dall’Unesco come Riserva della biosfera, ovvero uno dei polmoni del Pianeta e un sito ad alta biodiversità. Qui vivono 270 specie di mammiferi, 210 di rettili, 200 di uccelli e 130 di anfibi. L’orso dagli occhiali è la preferita di Torres. 

Per molti anni la comunità si è dedicata all’abbattimento di alberi per il legname. Solo nel 1995 si è resa conto dell’importanza della zona. Grazie all’aiuto della cooperazione, Yunguilla ha creato così un progetto di riforestazione ed educazione ambientale. Ma servivano altri finanziamenti. Una risorsa scarsa, in una comunità contadina delle Ande. 

Proprio in quei giorni, il Paese ospitava però alcuni ricercatori stranieri che gli hanno suggerito di aprirsi ai turisti. “Fino a quel momento, per noi il turismo era stato solo quello dei luoghi famosi e delle grandi città”, racconta Galindo Parra, rappresentante della Corporazione di microimprenditoria locale. 

© Michele Bertelli

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© Michele Bertelli

Parra ancora ricorda la sorpresa quando vide il primo gruppo di olandesi scendere dall’autobus e iniziare a scattare foto a tutto ciò che li circondava. “Con l’arrivo dei turisti, la gente ha aumentato la propria autostima, per la prima volta ci siamo sentiti valorizzati, dato che le comunità dell’area rurale sono sempre state marginalizzate”.

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Oggi Yunguilla offre alloggio in dieci case familiari completamente rinnovate e ristrutturate, organizza escursioni nel bosco primario e sessioni di avvistamento della flora e della fauna locale. Nel 2019, ottomila turisti hanno condiviso il tetto con le sue famiglie. 

In Ecuador sono oltre 508 le comunità attive nel “turismo comunitario”. Il termine indica quei progetti che ambiscono a usare il turismo come una leva per lo sviluppo economico sostenibile locale e la conservazione dell’ambiente. La Federazione plurinazionale del turismo comunitario (Feptce) ne raggruppa circa 400, da Sacha Ñampi nel cuore dell’Amazzonia ad Agua Blanca sulla costa di Manabì. 

Negli anni Duemila molte comunità videro il turismo come un’alternativa alla povertà. Però diverse rimasero frustate dalla scarsa risposta e si persero d’animo, racconta ad Altreconomia Xavier Contreras, assessore tecnico della Feptce. 

“La maggioranza aspirava a convertirsi in una destinazione turistica per il semplice fatto di essere una comunità. Pensavano a un’alternativa socioeconomica, ma hanno trascurato la parte tecnica e commerciale del turismo”, spiega Contreras, che sottolinea come sia necessaria una formazione in comunicazione e marketing. Ma che lamenta anche la mancanza di linee di credito pubbliche specifiche per il modello comunitario. 

Quando la pandemia da Covid-19 è arrivata in Ecuador, molti progetti hanno dovuto affrontare una prova durissima. Secondo il ministero, le entrate nazionali del settore turistico sono crollate da 2.193 milioni di dollari nel 2019 a soli 703 nel 2020. La Feptce stima che ben l’80% delle imprese comunitarie operanti prima della pandemia non siano riuscite a riprendere le attività a causa della diminuzione dei turisti o per il mancato mantenimento all’infrastruttura. “Dopo che la pandemia ci ha sommerso, credo che abbiamo imparato a non essere vincolati unicamente al turismo, perché purtroppo non dipende solo da noi”, ammette Parra. 

“Durante gli anni in cui quest’attività ha generato delle entrate ci siamo pagati per i servizi offerti, ma con i risparmi ottenuti abbiamo reinvestito in nuovi progetti”. Così, la corporazione ha aperto un ristorante con vista, una piccola fabbrica di latticini e marmellate, un laboratorio artigianale e un negozio comunitario. Ora sta finanziando la coltivazione biologica di avocado e pianifica di aprirsi al mercato dei crediti di carbonio. Inoltre, le famiglie si dedicano anche all’allevamento di maiali, galline e trote.  

Grazie a queste attività, gli abitanti si sentono più preparati ad affrontare una eventuale diminuzione del turismo internazionale. Una minaccia che si sta concretizzando, a causa dell’aumento della criminalità nel Paese. Un tempo considerato uno dei luoghi più pacifici dell’America Latina, dal 2018 l’Ecuador è diventato infatti uno snodo nel traffico di droga internazionale. 

Nonostante l’80% degli omicidi con arma da fuoco si concentri in sole sette province, tutte ben lontane da Yunguilla, la percezione dell’insicurezza sta avendo conseguenze anche qui. Ad agosto del 2023, per esempio, dopo che il candidato presidenziale Fernando Villavicencio fu assassinato, tre gruppi internazionali cancellarono le loro presentazioni nel corso della stessa notte. 

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© Michele Bertelli

Secondo Valeria Andrade Garcia, ricercatrice dell’Università centrale dell’Ecuador, il segreto del successo di Yunguilla risiede proprio nell’integrazione di vari servizi. “Si è fermata un po’ l’emigrazione. Si sono aperte altre attività produttive. Si è avviato un processo di emancipazione locale. Sono sorti nuovi leader di base. E ora c’è tutta una nuova generazione che ha ottenuto un livello educativo superiore”, spiega ad Altreconomia. 

Andrade ha calcolato che, nel 2012, le attività produttive collegate al turismo hanno generato entrate per cinquanta dollari mensili a famiglia. Nello stesso periodo, il salario minimo mensile per chi aveva un lavoro regolare ammontava a 292 dollari. 

La ricercatrice crede però che ci siano anche altri aspetti da tenere in considerazione. “Si sta generando un circolo virtuoso che permette che la comunità abbia altre entrate e un miglioramento della qualità di vita, ma anche che attori storicamente relegati ai margini, come le donne e i giovani, possano prendere migliori decisioni”.

Diana Torres ha iniziato a formarsi come guida nel 2012, studiando in organizzazioni per la conservazione dell’ambiente come la vicina Maquipucuna. In questi anni ha anche lavorato nella fabbrica di latticini, nel vivaio, e come cuoca. Ma quello che più le dà soddisfazione è passare il proprio tempo immersa nel bosco nuvoloso. 

“Nel 2020 feci la mia ultima guida pochi giorni prima di partorire, e quindi credo che anche mia figlia sarà una ‘chasqui’, una donna di montagna”, racconta. Prima di riprendere il cammino, Torres si ferma un attimo a riflettere. “Io spero soprattutto che mia figlia non dimentichi da dove viene. Dobbiamo sempre tenere ben presente che la nostra è una comunità che lotta”. Si calza il cappello e afferra il machete. Mancano ancora due ore di cammino prima di arrivare alla fine del sentiero. 

Secondo Parra, questo orgoglio è il maggior successo del progetto. “Ci aiuta a lottare contro una delle più grandi forme di povertà diffusa nelle comunità: la migrazione delle persone che vedono l’unico sviluppo possibile nelle città”. 

© riproduzione riservata



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