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La Francia aumenterà le tasse sui ricchi, un esperimento che sconvolge il Paese #finsubito prestito immediato


Anche i nostri cugini d’Oltralpe si ritrovano a doversi destreggiare, come sta succedendo in Italia, con la Manovra fiscale, in un turbinio di leggi e proposte di legge che promettono di far quadrare i conti. E mentre il nostro ministro dell’economia Giorgetti ci dice senza mezzi termini che dovremmo fare tutti dei sacrifici, in Francia pensano a un’altra soluzione.

Il governo di Michel Barnier ha alzato il sipario su un bilancio che promette di raccogliere 60,6 miliardi per risanare le finanze pubbliche, nel tentativo di riconquistare la fiducia degli investitori. Il pacchetto, un mix di tagli alla spesa e aumenti delle tasse, arriva mentre l’esecutivo si trova a fronteggiare un parlamento ostile che potrebbe facilmente costringerlo alle dimissioni.

Il primo ministro francese però non si tira indietro e gioca con il fuoco. La sua proposta di alzare le tasse per i super-ricchi nel bilancio 2025 potrebbe innescare un vero e proprio esodo di patrimoni dalla Francia, come avvertono consulenti fiscali e patrimoniali. Chi ha già un piede fuori dalla porta potrebbe approfittarne per fare il grande passo, e chi stava considerando di trasferirsi a Parigi potrebbe ripensarci.

La proposta di legge per tassare i ricchi, stangata in arrivo

Il ministro delle Finanze, Antoine Armand, ha definito il piano “uno sforzo fiscale mai visto”, con due terzi dei risparmi che arriveranno da una riduzione delle spese statali, locali e della sicurezza sociale. Il resto sarà coperto dall’aumento delle imposte, che colpiranno grandi aziende, ricchi e il settore energetico. Tra le misure, è prevista una tassa temporanea su circa 440 imprese che generano oltre 1 miliardo di entrate all’anno, per un totale di 8 miliardi nel 2025.

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Non saranno solo le aziende a sentire il peso di queste politiche. Circa 65.000 famiglie con redditi elevati dovranno affrontare una nuova tassa. Chi guadagna più di 250.000 euro all’anno vedrà applicata un’aliquota minima del 20%, una misura pensata per contrastare i benefici dei paradisi fiscali.

Tre anni di questa “cura dimagrante” fiscale dovrebbero portare nelle casse dello Stato circa 2 miliardi di euro il prossimo anno. Un boccone amaro per molti, soprattutto per chi ha già iniziato a mettere in discussione la propria permanenza in Francia.

Il disegno di legge potrebbe subire modifiche durante il dibattito nell’Assemblea Nazionale, dove il governo di Barnier cammina su una fune molto sottile. Da una parte la sinistra vorrebbe andare ancora più a fondo con le tasse, dall’altra la destra dura chiede meno compromessi. Tra i tanti, c’è chi ha già alzato bandiera bianca. Xenia Legendre, partner dello studio Hogan Lovells ed esperta fiscale, ha così commentato a Bloomberg: “Alcuni dei più ricchi sono già pronti ad andarsene, stanchi dell’instabilità”. L’insicurezza fiscale sembra essere diventata una costante che pochi (i più ricchi) sono disposti a tollerare.

Un debito in crescita e l’incertezza dei mercati

Dietro il bilancio si nasconde un panorama economico tutt’altro che roseo. Il debito pubblico francese è schizzato al 114,7% del Pil previsto per il 2025, e il deficit è stimato al 5%. Pur cercando di ridurre il disavanzo, il governo dovrà vendere obbligazioni per un valore record di 300 miliardi, con il costo del servizio del debito che salirà a 54,9 miliardi. Gli investitori, già preoccupati dall’instabilità politica, hanno fatto schizzare il differenziale tra i titoli francesi e quelli tedeschi a quasi 80 punti base.

L’eredità di Macron e il ritorno del populismo

Tutto questo affonda le radici nella campagna elettorale di giugno, che la sinistra ha vinto per un soffio. All’epoca, l’opposizione attaccava Macron, accusandolo di essere il “presidente dei ricchi” per aver ridotto la portata della tassa patrimoniale. Le sue politiche fiscali avevano attirato a Parigi investitori post-Brexit, ma al prezzo di un calo delle entrate fiscali, stimato in 4,5 miliardi di euro. Tuttavia, quel regime aveva anche contenuto le fughe dei super-ricchi, almeno fino ad ora.

Il dilemma dei super-ricchi francesi

Oggi, Barnier punta a far cassa sui grandi patrimoni per risanare i conti pubblici, sperando di evitare – giustamente – di mettere mano alle tasche della classe media. Ma non tutti sembrano disposti a pagare di più. Tra i colpiti dalla nuova tassazione ci sono nomi illustri come Bernard Arnault (che fattura come il Pil di un paese europeo), Françoise Bettencourt Meyers e le dinastie Dassault e Wertheimer. Anche il colosso dei container Cma Cgm, di proprietà della famiglia Saade, dovrà sborsare 500 milioni di euro nel 2025. Bruscolini, se consideriamo che nel 2023 la compagnia di trasporto marittimo e logistica ha fatturato 47 miliardi di dollari. Un aumento delle tasse dovrebbe fare loro il solletico, eppure, molti di questi super-ricchi farebbero volare stracci pur di mantenere il comodo status quo.

Evelyne Brugere, vicepresidente dell’Association Francaise du Family Office, addirittura ha voluto mettere in guardia il governo: “Nessuno vuole essere schiacciato dalle tasse. Anche chi è profondamente legato alla Francia potrebbe finire per fare le valigie”. Il rischio è concreto e, con l’incertezza politica che incombe, il “wait-and-see” sta diventando un mantra per molti.

Le preoccupazioni delle imprese

Le aziende francesi, rappresentate dalla Medef, la più grande associazione imprenditoriale del paese, hanno già lanciato quello che definiscono un vero e proprio allarme. Secondo Patrick Martin, capo della Medef, migliaia di posti di lavoro sono a rischio se il governo andrà avanti con i tagli agli sgravi fiscali sui lavori a basso reddito, una misura che dovrebbe far risparmiare 4 miliardi. Martin ha dichiarato: “Le imprese sono nel mirino. Se queste misure andranno avanti, danneggeranno la nostra competitività e l’occupazione”.

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Con meno agevolazioni fiscali e maggiori imposte, le aziende cercherebbero di scaricare i costi su salari e occupazione per mantenere la loro competitività e redditività.

Il ragionamento delle imprese rappresentate dalla Medef è complesso, ma può essere semplificato così: se il governo aumenta le tasse e toglie gli sgravi fiscali, le aziende, comprese quelle guidate dai miliardari, si troveranno a fronteggiare maggiori costi operativi, soprattutto sui lavoratori a basso reddito.

Gli sgravi fiscali, in questo caso, riducono il costo del lavoro per le imprese, rendendo più conveniente assumere personale, soprattutto per posizioni meno pagate. Se questi sgravi vengono rimossi, le aziende dovranno pagare di più per mantenere lo stesso numero di dipendenti, senza ricevere alcun beneficio fiscale.

Di conseguenza, per compensare i costi aggiuntivi derivanti dall’aumento delle tasse e dalla perdita degli sgravi, le aziende potrebbero cercare di ridurre le spese in altri modi. Una delle prime opzioni che viene considerata è quella di pagare di meno i dipendenti, tagliare i posti di lavoro o ridurre le assunzioni. Questo è il timore espresso da Patrick Martin della Medef.

Una bomba fiscale pronta a esplodere

Mentre i super-ricchi soppesano le loro opzioni, il governo si trova a fronteggiare una possibile ribellione fiscale. Benjamin Haddad, ministro degli Affari Europei, ha chiarito in un’intervista a Bloomberg Tv: “Il vero problema è l’effetto che il debito e il deficit avranno sulla sovranità e sul futuro economico del nostro paese”. Se il messaggio del governo era volto a calmare le acque, sembra aver sortito l’effetto opposto.

Il dibattito globale: è ora che i ricchi paghino di più

In Francia, il dibattito sulle tasse per i più ricchi non è solo una questione economica, ma anche sociale e politica. Nonostante le proteste di parte dell’elettorato, c’è un altro fronte, meno rumoroso ma che merita comunque una voce in capitolo, che pensa che i ricchi debbano effettivamente pagare di più.

Questo non è solo un dibattito interno alla Francia. A livello globale, c’è una crescente richiesta, proveniente dagli stessi milionari, per un sistema fiscale più equo. Un sondaggio condotto dal gruppo Patriotic Millionaires tra oltre 2.300 milionari e miliardari, ha mostrato che il 74% di loro è favorevole a tasse più alte per finanziare servizi pubblici migliori e ridurre la disuguaglianza economica. Questo riflette una consapevolezza che i vantaggi del sistema attuale sono stati sproporzionatamente accumulati nelle mani dei più ricchi, e che un cambiamento è necessario per garantire una maggiore stabilità sociale.

In una lettera aperta firmata da oltre 250 super-ricchi durante il World Economic Forum di Davos, figure come Abigail Disney e Brian Cox hanno sottolineato che la disuguaglianza è arrivata a un punto critico. La loro richiesta ai governi è semplice: “Tassateci di più”. Hanno ribadito che questo non influenzerebbe il loro stile di vita (ma questo lo dimostrano anche delle semplicissime proiezioni), ma potrebbe invece fare una grande differenza per la collettività.

In Italia, la questione dell’imposizione fiscale sui più ricchi è altrettanto sentita. Il sondaggio condotto da Patriotic Millionaires nel 2023 ha rivelato che il 79% dei milionari italiani è favorevole a una tassa sui patrimoni. Questa proposta prevede aliquote che arriverebbero fino al 2% per i patrimoni più elevati, una misura che potrebbe contribuire alla redistribuzione della ricchezza e al finanziamento di progetti pubblici.

La richiesta trova supporto anche tra i cittadini: un sondaggio del 2021 commissionato da Millionaires for Humanity e Tax Justice Italia ha mostrato che due terzi dei rispondenti sono favorevoli all’introduzione di un’imposta sui grandi patrimoni, con la destinazione del gettito alle famiglie più bisognose e alla ripresa economica post-pandemia.

A livello europeo, il sostegno a un maggiore prelievo fiscale per i più ricchi è altrettanto forte. Secondo una ricerca della Commissione Europea del 2022, il 67% dei cittadini dell’Ue si è dichiarato a favore di un incremento delle tasse sui più abbienti.

La situazione in Italia

In Italia, l’opposizione all’introduzione di una tassa sui grandi patrimoni e sugli extraprofitti delle banche è fortemente legata a timori economici. Forza Italia e altri partiti di centro-destra hanno più volte espresso preoccupazioni sul fatto che tassare di più i ricchi e le banche potrebbe danneggiare le piccole e medie imprese, riducendo l’accesso al credito e scoraggiando gli investimenti. Raffaele Nevi, deputato di Forza Italia, ha dichiarato che tassare gli extraprofitti delle banche equivale a “affondare le imprese”, poiché il sistema bancario è essenziale per sostenere il sistema produttivo nazionale.

L’1% più ricco della popolazione italiana detiene circa il 12% del reddito nazionale, ma paga, proporzionalmente, meno tasse del restante 99%. Uno studio condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Università di Milano Bicocca ha rilevato che il sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo e addirittura regressivo per il 5% degli italiani più abbienti, con un’aliquota effettiva che scende al 36% per chi guadagna oltre 500.000 euro all’anno.

Nonostante queste cifre, le proposte vengono spesso respinte con l’argomentazione che tasse aggiuntive sui patrimoni e sugli utili bancari potrebbero innescare la fuga di capitali all’estero e compromettere la fiducia degli investitori internazionali. Questo scenario è già stato evidenziato quando il governo ha dovuto ritirare o rivedere drasticamente un decreto sulle banche a causa delle forti pressioni del settore finanziario e della Banca Centrale Europea.

Serve veramente un aumento delle tasse sui ricchi?

Il dibattito sull’efficacia di un aumento delle tasse sui ricchi è acceso e coinvolge visioni contrastanti. Da un lato, economisti e premi Nobel come Joseph Stiglitz e Esther Duflo sostengono che una tassazione più alta sui patrimoni potrebbe essere necessaria per ridurre le crescenti disuguaglianze economiche. Il loro ragionamento si basa sull’idea che la maggior parte della ricchezza dei super-ricchi proviene da rendite, non da attività che contribuiscono direttamente al benessere della società. Secondo loro, tassare maggiormente questa fascia della popolazione aiuterebbe a finanziare servizi pubblici e a rafforzare le democrazie, messe a rischio dai crescenti divari economici e sociali.

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D’altra parte, c’è chi ritiene che aumentare le tasse sui ricchi possa avere effetti negativi sull’economia. L’Opinione mette in evidenza come politiche fiscali troppo gravose potrebbero rallentare la crescita, ridurre gli investimenti e soffocare l’innovazione. Secondo questa visione, è il libero mercato che, premiando merito e iniziativa privata, crea opportunità e crescita per tutti. Tassare eccessivamente i ricchi rischia di penalizzare chi crea valore e di ostacolare la competitività del sistema economico.

C’è anche da considerare che i patrimoni dei super-ricchi sono spesso collocati nei paradisi fiscali, sfruttando regimi che permettono di ridurre o evitare completamente la tassazione. Secondo uno studio del Global Tax Evasion Report 2024, circa 200 miliardi di euro sono stati trasferiti all’estero da contribuenti italiani, rappresentando circa il 10,6% del Pil nazionale. Questa cifra include capitali in forma di conti bancari, azioni, obbligazioni e proprietà immobiliari, spesso collocati in paesi come Svizzera, Lussemburgo, Irlanda ed Emirati Arabi Uniti.

Il fenomeno riguarda sia individui che grandi società, che utilizzano pratiche elusive o di elusione fiscale, come la creazione di entità societarie in giurisdizioni con tassazione favorevole. Questo genera una grande perdita di entrate per lo Stato italiano, stimata intorno al 2% del gettito fiscale annuo. Anche se il segreto bancario è stato ridotto in molti paesi, i veri ricchi riescono ancora a nascondere parte della loro ricchezza attraverso questi meccanismi, riducendo la loro contribuzione al fisco e aumentando le disuguaglianze economiche.





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