Se, nell’ambito di una cessione di ramo d’azienda avvenuta tra società extra UE senza stabile organizzazione in Italia, ma solo identificate ai fini IVA, vengono cedute delle rimanenze di magazzino presenti in Italia, tale operazione va considerata come autonoma cessione di beni, territorialmente rilevante in Italia e quindi soggetta ad IVA.
Non è dunque possibile considerare tale cessione come parte integrante di una cessione di ramo d’azienda avvenuta all’estero, esclusa da IVA ai sensi dell’art. 2 c. 3 lett. b e/o lett. f DPR 633/72.
La risposta delle Entrate
A sostegno della propria tesi, l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che la Cassazione, recependo i principi elaborati dalla Corte di Giustizia UE, per distinguere una cessione d’azienda da una mera cessione di beni, ha chiarito che si ha cessione d’azienda quando oggetto del trasferimento è un complesso organico unitariamente considerato, per il quale emerga ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all’esercizio di impresa (Cass., n. 13580/2007; Cass. n. 9162/2010; Cass. n. 9575/2016; Cass. n. 33495/2018).
Nel caso concreto, invece, non è individuabile, in Italia, un complesso aziendale, ma solo uno stock di beni oggetto della cessione.
In sostanza, l’Agenzia delle Entrate non ha riconosciuto la neutralità ai fini IVA al trasferimento di alcuni beni situati in Italia, in quanto facenti parte di un complesso aziendale ceduto fuori dall’UE. La circostanza che la Società fosse localizzata fuori dal territorio unionale ha, infatti, precluso la possibilità di considerare ricompreso nel concetto di universitas un bene situato in un Paese diverso da quello di localizzazione del restante compendio aziendale.
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