Le stime Istat per il 2051: la natalità decresce e non ci sono i soldi per pagare le pensioni ai più giovani.
Non sono belle notizie quelle che vengono dal Presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli che, davanti alla Commissione Bilancio di Camera e Senato, ha lanciato un preoccupante allarme. Da un lato c’è una buona notizia: l’aspettativa di vita media è aumentata, e le persone vivono più a lungo rispetto al passato. Dall’altro lato però c’è la pillola amara: l’Inps non può pagare la pensione per più anni rispetto a quanto abbia fatto finora. Dunque, è necessario che l’età per andare in pensione si innalzi. Ma quando andremo in pensione?
C’è uno squilibrio tra il numero di nuovi nati, sempre più ridotto, e l’aumento della popolazione anziana. Questo significa che non ci saranno abbastanza lavoratori per finanziare le pensioni dei futuri anziani, costringendo questi ultimi a continuare a lavorare. Fino a quando? Oggi andiamo in pensione a 67 anni. Anche nello scenario migliore, passeremo a 67 anni e 3 mesi dal 2027, a 67 anni e 6 mesi a partire dal 2029 e a 67 anni e 9 mesi a decorrere dal 2031, per arrivare a 69 e 6 mesi dal 2051.
L’aspetto più critico, tuttavia, sarà il rapporto decrescente tra gli individui in età lavorativa (15-64 anni) e quelli invece in età non attiva (cioè da 0-14 anni e da 65 anni in su). Tra meno di sette anni, nel 2031, la popolazione con un’età tra 15 e 65 anni potrebbe scendere al 61,5% del totale, per poi passare al 54,4% nel 2050. Tutto questo avrà gravi ricadute sul mercato del lavoro e sul sistema di welfare. Non si tratta più, quindi, di un problema di creare occupazione, ma di capacità fisiche per lavorare più a lungo. Quindi è inutile dire che la ricetta è trovare nuovi posti di lavoro. Anche avviare una politica di incremento della natalità non risolverà il problema nel medio periodo. Si pensi che il numero medio di persone per famiglia oggi è di 2,25: cioè ogni quattro coppie c’è un figlio. E nel 2031 si arriverà a 2,18.
Questi sono i dati dell’Istat che chiaramente non individua la cura anche se la cura c’è e agli italiani non piace sentirla: accettare che a ripopolare l’Italia siano gli immigrati. Immigrati regolari ovviamente, perché contribuiscono al sistema previdenziale, aumentando il gettito per l’INPS, mentre quelli irregolari non versano contributi. Questa via viene indicata da molti esperti come l’unico rimedio che, nel breve periodo, potrebbe risollevare la situazione delle pensioni italiane e consentire alle generazioni future di non ritirare l’assegno pensionistico. Ma è chiaro che, per fare questo, c’è bisogno di una politica di controllo sui flussi migratori. Ed eventualmente di una sanatoria per chi, sino ad oggi è stato irregolare che così potrebbe avere il permesso di soggiorno, come già è avvenuto in passato.
Vediamo ora come si calcola la pensione.
Se un tempo si poteva correntemente usare l’espressione “calcolo della pensione”, oggi, per molti lavoratori, non è più così. Solamente chi è molto vicino a raggiungere i requisiti pensionistici può avere “un calcolo”. Per tutti gli altri, soprattutto per i giovani e – in generale – per chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996 (sistema di calcolo contributivo), la pensione oggi si può solo “stimare”, con una forchetta di variabilità che si riduce all’avvicinarsi della pensione.
Ecco una spiegazione semplice per capire come stimare la propria pensione.
Immagina un salvadanaio dove, per ogni anno di lavoro, tu e il tuo datore di lavoro mettete dei soldi. Questi soldi sono i contributi previdenziali. Più contributi versi e più anni lavori, più grande sarà il tuo salvadanaio al momento della pensione.
Esistono due sistemi principali per calcolare la pensione:
- sistema retributivo: esso considera i tuoi stipendi degli ultimi anni di lavoro. Più hai guadagnato, più alta sarà la tua pensione. Questo sistema si applica a chi ha iniziato a lavorare prima del 1996;
- sistema contributivo: si basa sui contributi versati nel tuo salvadanaio. I contributi vengono trasformati in pensione attraverso una formula matematica che tiene conto di quanti anni hai versato i contributi e della tua età al momento della pensione. Questo sistema si applica a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996.
Molte persone hanno una pensione calcolata con un sistema misto, perché hanno lavorato sia prima che dopo il 1996.
Per andare in pensione, devi avere una certa età e un numero minimo di anni di contributi. Questi requisiti cambiano nel tempo in base alle prospettive di vita. Inoltre, ogni governo adotta dei provvedimenti di pensionamento anticipato. Sono proprio queste baby pensioni però che hanno fatto saltare in passato i conti dell’Inps e che oggi noi stiamo ancora pagando.
L’INPS offre un servizio online chiamato “La mia pensione futura“, che permette di simulare l’importo della tua pensione. Inserendo i tuoi dati (età, anni di contributi, stipendio), puoi avere un’idea di quanto sarà la tua pensione.
Ecco alcuni fattori che influenzano la pensione. Ti devi chiedere:
- quanti anni hai lavorato? Più anni lavori, più alta sarà la tua pensione;
- quanto hai guadagnato? Stipendi più alti significano contributi più alti e quindi una maggiore pensione.
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