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Fondi Jtf, tempi troppo stretti: l’allarme delle imprese joniche #finsubito prestito immediato


Sui soldi del Just Transition Fund (796 milioni di euro per la riconversione dell’area di Taranto), la preoccupazione più grande delle imprese sono i tempi. Ritenuti troppo stretti, al limite dell’utilizzazione delle risorse.

Per i sindacati, invece, la preoccupazione maggiore è data dagli esuberi che transizione e decarbonizzazione porteranno nei prossimi anni a partire dal siderurgico, con un numero enorme di posti di lavoro a rischio, stimato dai 3mila ai 6mila. L’incontro di ieri in Provincia sul JTF con il partenariato sociale (imprenditoria, sindacati, associazionismo), più attento e partecipato di quello del giorno prima con i Comuni, incontro convocato per spiegare come funziona e cosa finanzia il Fondo per la transizione giusta, ha confermato la significatività e l’unicità delle risorse. E il primo arrivo è previsto tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, dopo l’approvazione del piano operativo da parte dell’autorità nazionale. Ma l’incontro ha anche messo in luce come il percorso sia tutto in salita. Incombono le scadenze: il 70 per cento dei soldi andrà impegnato entro il 2026, perché il JTF segue il PNRR, mentre per il restante 30 la spesa deve avvenire entro il 2029 con rendicontazione a marzo 2030.

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I progetti

Il Comune ha già opzionato una fetta importante delle risorse: oltre 245 milioni. Che andranno a quattro interventi approvati ieri dalla giunta. Si tratta di “Sea Hub” (55 milioni di euro per riorganizzare e rilanciare in chiave sostenibile il sistema produttivo legato al mare); 90 milioni per la “Green Belt”, intervento su 230 ettari per il recupero di aree verdi, riforestazione o nuova forestazione, creazione di parchi urbani o loro riqualificazione (ma una parte è già finanziata con altre misure, per cui sul JTF è caricata solo la parte restante); la Biennale del Mediterraneo (arte e architettura) per 40 milioni e 700mila euro; infine, l’Istituto Ionico di Ricerca e Innovazione (IRIIS) per 60 milioni. L’insieme dei 796 milioni è invece finalizzato a tre obiettivi di transizione declinati in otto azioni specifiche: l’ambiente (si rilancia l’idrogeno verde), l’innovazione industriale e produttiva (nuove attività e nuove filiere sostenibili), l’inclusione sociale (riqualificare e formare chi perde il lavoro e chi il lavoro non ce l’ha).

«Al netto degli investimenti pubblici – dichiara Mattia Giorno, consigliere del presidente Michele Emiliano per il Piano Taranto – una buona parte riguarda gli investimenti delle imprese che attingeranno a bandi già impostati. La quota a fondo perduto, ma non per tutto, può arrivare ad un massimo del 70 per cento. Poi ci sono i mutui, che avranno la possibilità di un 20-30 per cento di fondo perduto e il resto a tasso agevolato». Ne consegue, per Giorno «che adesso il territorio deve spingere dal basso verso l’alto, con cittadini, privati e imprese che devono fare la loro parte. Se il JTF finanzia solo le schede pubbliche e non c’è la quota delle imprese, non produce niente di permanente per il territorio. Dobbiamo quindi diventare operativi, altrimenti la transizione non la facciamo».

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E Mino Borraccino, anch’egli consigliere del presidente Emiliano per il Piano Taranto, aggiunge: «Non concentriamoci sulle misure che ci sono già ma cogliamo le novità e le specificità del JTF. Come Regione disponibili ad incentivare la cabina di regia per dare il massimo supporto al territorio». Mentre Giorno propone uno sportello JTF alla Camera di Commercio (che raccoglie la sollecitazione) per un supporto professionale di consulenza alle imprese “a giorni fissi”.

Tutte cose che la platea condivide, ma che non eliminano il dubbio: come si possono spendere questi soldi in così poco tempo? Lorenzo Ferrara, di Confindustria Taranto e presidente del Distretto pugliese dell’ambiente, dice che Taranto ha diversi progetti candidabili al JTF ma il vincolo temporale, con scadenza al 2026, è una mannaia, anche perché i tempi di autorizzazione sono incerti «e servirebbe anzitutto un atto di indirizzo della Regione verso le varie amministrazioni, a partire da Arpa Puglia, affinché siano snelliti». «Ma avete idea di quanto occorra per sviluppare un progetto di ricerca, sperimentarlo e industrializzarlo?» domanda provocatoriamente Piero Chirulli di Confindustria Taranto, mentre Vincenzo Cesareo, presidente della Camera di Commercio, chiede una serie di chiarimenti. Ovvero, se un investimento già avviato può essere sostenuto dal JTF, se sono integrabili risorse mancanti e se dal Programma integrato di agevolazione (Pia) si può passare al JTF.

«Dobbiamo riqualificare le filiere per arginare la perdita di posti di lavoro» propone Giovanni D’Arcangelo della Cgil, mentre Gianfranco Solazzo della Cisl avverte: «Abbiamo realtà da ristrutturare, per cui è importante capire la formazione. Ci vuole però tempo per riqualificare».

E qui tornano in ballo le scadenze stringenti del JTF. Si riuscirà a modificare qualcosa? Pasquale Orlando, dirigente della Regione Puglia, annunciando che il programma sarà rivisto e aperto alle grandi imprese, conviene sul fatto che «i percorsi di transizione richiedono tempi adeguati di attuazione se vogliamo ricadute». Ma la possibilità di tenere più aperta la finestra temporale, rileva Giorno, al momento è legata a quanto si riuscirà ad ottenere col Pnrr.

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