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Presunta truffa ad una cliente senegalese: Cassazione cancella condanna dell’avvocato D’Agata #finsubito prestito immediato


LECCE – La fine di un incubo giudiziario dopo l’arresto (un anno tra carcere e domiciliari), due condanne e la gogna mediatica che spesso accompagna personaggi conosciuti coinvolti in inchieste delicate. La Cassazione ha posto fine all’odissea dell’avvocato Francesco D’Agata, condannato in primo grado a 3 anni e 1 mese e in appello a 3 anni e 6 mesi nell’inchiesta su un presunto (ora rimasto tale) raggiro ad una donna senegalese. La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado sancendo così il verdetto finale. In appello, i giudici avevano ritoccato verso l’alto la sentenza con il contestuale riconoscimento di una truffa come consumata e non più tentata come invece aveva stabilito il dispositivo di primo grado quando il professionista, conosciuto per essere il referente dello Sportello dei diritti ed ex coordinatore provinciale dell’Italia dei Valori, era stato assolto perché il fatto non sussiste dalla vicenda principale e per non aver commesso il fatto dal reato di infedele patrocinio; per la truffa relativa ad un primo ricorso che l’avvocato non avrebbe ritirato in favore di due clienti torinesi era stato disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Nell’inchiesta era rimasto coinvolto anche un collaboratore di D’Agata, assolto al termine del processo di primo grado così come in appello nonostante una richiesta di condanna di 3 anni e 2 mesi.

L’avvocato finì in manette dopo un’indagine condotta dai militari del Nucleo di polizia giudiziaria della guardia di finanza di Lecce, sotto la guida dell’allora colonnello Francesco Mazzotta. La vicenda ruotava attorno ad un risarcimento di 630mila euro liquidato dall’Assicurazione Allianz in favore di una donna senegalese, vittima di un grave incidente stradale. Nei suoi confronti il Tribunale di Trieste (competente per i casi riguardanti il Fondo vittime della strada) aveva disposto un risarcimento di 636mila euro. D’Agata, però, raccontava l’inchiesta, avrebbe raccontato alla sua cliente che la somma stabilita era di circa 300mila euro (di cui la cittadina avrebbe percepito poco più della metà, circa 160mila euro), presentando anche una falsa sentenza. Il professionista avrebbe trattenuto il denaro restante, transitato su un conto aperto a nome della donna straniera, ma gestito di fatto dallo stesso avvocato. Da quel conto D’Agata avrebbe pagato alcune spese legate alla sua professione e personali, come i mobili di casa e un ombrellone in un lido a San Cataldo.

L’avvocato si è sempre difeso sin dall’interrogatorio di garanzia: ha spiegato, carte alla mano, di aver utilizzato solo ed esclusivamente il denaro derivante dal cosiddetto patto di quota lite specificando che quei soldi gli spettavano in base ad un accordo con la vittima dell’incidente stradale. In primo e in secondo grado, però, le tesi difensive non erano state accolte nonostante la remissione delle querele nei confronti dell’avvocato e il colpo di scena di una delle persone offese che ribaltando la prospettiva aveva preso le difese del legale e rivolto atti d’accusa alla procura e alla guardia di finanza con l’apertura di un procedimento del quale ancora non si conoscono gli esiti.

Spazzate via, quindi, ad otto anni dall’arresto, tutte le accuse dalla sentenza della Cassazione che restituisce un pizzico di serenità ad un avvocato che ha vissuto sempre con grande equilibrio la propria vicenda giudiziaria al netto della possibilità di avviare una richiesta risarcitoria che potrebbe essere avanzata dai suoi avvocati Luigi e Roberto Rella.



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