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In tre anni il mancato gettito per l’Inps ha già raggiunto quota 68 miliardi. E per il 2024 la stima per le agevolazioni contributive (esoneri e sgravi) è di altri 25 miliardi. Perché invece di aiutare, ritarda lo sviluppo del Sud

Profetizzare il default del sistema pensionistico, come molti fanno, è un grande assist al lavoro nero. Pensiamo ai giovani che iniziano oggi a lavorare e che si chiedono, giustamente, perché mai versare i contributi all’Inps se questo ente tra 20/25 anni, prima che io vada in pensione, sarà già in bancarotta? Possiamo dire, invece, con una notevole certezza attuariale che il sistema è sostenibilissimo ed è addirittura in attivo ma che nessun sistema pensionistico è sostenibile con un elevato livello di decontribuzione come quello attuale italiano. 

Il nodo del consenso elettorale

Perché è ormai ritornato di moda negli ultimi 15 anni offrire la decontribuzione a tante platee? Anzitutto per accaparrarsi il maggiore consenso politico. È facile fare i buoni con i soldi degli altri: promettere sgravi a redditi bassi, donne, disoccupati, Sud, apprendisti e chi più ne ha, nella testa dei politici nostrani porta voti. Poi per due altre ragioni, più nobili ma poco corrette: far aumentare l’occupazione e far aumentare i redditi in busta paga. Ma è una strada giusta? Per quanto riguarda la prima ragione (aumento dell’occupazione) i dati sono sconfortanti e dovrebbero essere attentamente studiati dai politici.




















































Le regioni meridionali

Per compensare l’insufficiente livello di sviluppo di alcune aree del Paese, in particolare delle otto regioni meridionali, per oltre 20 anni sono stati in vigore gli sgravi contributivi totali che tuttavia, sulla base delle statistiche occupazionali, non hanno prodotto nuova occupazione o sviluppo. Nel 1994, a conclusione di una procedura d’infrazione in quanto questi sgravi erano considerato aiuti di Stato, il Commissario Karel Van Miert concluse un accordo con l’allora governo Berlusconi ed in particolare con il ministro del Bilancio Giancarlo Pagliarini con il quale tali sgravi furono eliminati progressivamente dal 1995 al 2002. Questi bonus non solo non hanno prodotto vantaggi competitivi, ma hanno ritardato lo sviluppo delle otto regioni del Sud esattamente come le altre assistenze drogando l’economia meridionale, creando solo poca occupazione di sussistenza che si è dissolta quando gli sgravi sono stati vietati. Miliardi di euro sperperati.

La manovra di Renzi

Lo stesso è accaduto con gli sgravi contributivi resuscitati dal governo Renzi nel triennio 2015-2017. Costo 12 miliardi (quasi il doppio secondo stime di Tito Boeri, allora presidente Inps); l’occupazione è aumentata nel triennio di circa 500 mila unità che poi, finiti gli sgravi, si sono perse negli anni successivi. La prima lezione è che l’occupazione la crea il ciclo economico, la domanda aggregata di un Paese che ha uno sviluppo sostenuto, non lo sconto sui contributi.

Gli stipendi

La seconda ragione è quella di aumentare i redditi in busta paga. Come abbiamo visto dai dati Ocse, in effetti, i salari italiani sono diminuiti in valore reale di circa il 6,9% rispetto al periodo pre Covid. I salari da noi sono mediamente inferiori, ma sostanzialmente per un appiattimento verso il basso; infatti la differenza con l’Europa sugli stipendi di importo inferiore è minima mentre per quelli alti è notevole e inoltre quelli italici sopra i 35-40 mila euro, sono falcidiati dai contributi sociali e dalle tasse. Ma per aumentare le buste paga è giusto mettere a carico della collettività che paga le tasse, una parte dei salari? Certamente no. I salari li devono pagare le attività produttive e devono essere aumentati dalla contrattazione tra sindacati e datori non dallo Stato. 

La lista, i costi

Ciò nonostante, il governo vuole insistere anche per il 2025 su una serie di decontribuzioni tanto lunga che occorrerebbe una pagina per elencarle tutte; tra queste: redditi fino a 25 mila euro, sgravi per il Sud, per donne svantaggiate, madri (addirittura finché il figlio più piccolo arriva a 18 anni: una follia), disoccupati, apprendistato, stagionali, giovani e Neet, percettori di Naspi, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, assegno d’inclusione, supporto formazione e lavoro (Sfl), part-time e agevolazioni per le donne vittime di violenza ecc. Ma quanto ci costa la decontribuzione? Secondo l’Osservatorio Inps «complessivamente il valore economico delle agevolazioni contributive (esoneri e sgravi) per i dipendenti del settore privato è risultato nel 2021 pari a circa 20 miliardi, corrispondenti al 13,5% del totale dei contributi sociali dovuti; nel 2022 esso è risultato pari a 23,7 miliardi, corrispondenti al 14,6% dei contributi sociali dovuti». Per il 2024 la stima (che supera di gran lunga quella diffusa da organi di governo) è di circa 25 miliardi.

Il gettito mancato

Sorpresa. In tre anni il mancato gettito per l’Inps supera i 68 miliardi; ne mettiamo altri 25 anche per il prossimo anno? Ma perché i governi puntano sulla decontribuzione anziché su sgravi fiscali magari sui buoni pasto, sui buoni trasporto (che sarebbe ora inserire) sul welfare aziendale, sui premi di produzione, sulla defiscalizzazione degli straordinari o degli aumenti contrattuali 2024/25? Semplice: se operano sul fisco le entrate si riducono subito nell’anno; se anziché gli sgravi contributivi del 2023 si fossero fatti sgravi fiscali, avremmo dovuto contabilizzare oltre 23 miliardi di mancate entrate con pesanti riflessi sul bilancio pubblico e sul Patto di stabilità.

Gli effetti sul bilancio pubblico

Facendo sgravi contributivi è come firmare una cambiale fuori bilancio; un pagherò che non ha effetti contabili sul rendiconto annuale. E così si è sempre proceduto; ma prima o poi i nodi vengono al pettine e i disastri si cominciano a pagare. Se nel 2008 per le decontribuzioni lo Stato trasferiva all’Inps meno di 10 miliardi, lo scorso anno siamo arrivati a 31,55 miliardi che aumenteranno sicuramente con la legge di bilancio per il 2025; un’enormità. Sulla decontribuzione sia Bankitalia sia la Commissione Ue, hanno esposto le loro grandi preoccupazioni per la tenuta dei conti pensionistici. Forse qualche riflessione sarebbe utile e il governo del merito dovrebbe smetterla di beneficiare chi non ha mai pagato a scapito degli ottantenni che hanno sempre fatto il loro dovere.


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28 settembre 2024 ( modifica il 28 settembre 2024 | 14:01)

 

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