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Andrea Abodi, da quasi 2 anni al manubrio del ministero per lo sport ed i giovani, sta collaudando e mettendo in piedi la più grande manovra concepita dal governo italiano per ristrutturare, costruire e aggiornare gli impianti sportivi. La motivazione è fortissima: giungere preparati al 2032, anno in cui l’Italia ospiterà gli Europei di calcio ma anche altri eventi internazionali che saranno annunciati a stretto giro.

Ministro, le parole di Malagò dopo l’accantonamento da parte dell’Uefa di San Siro per la finale di Champions nel 2027 hanno destabilizzato un po’ tutti. Gli Europei tra 8 anni ci saranno in Italia, giusto?

“Al 100%. Da 4 mesi abbiamo messo in piedi un gruppo di lavoro. Si, mi piace definirlo così evitando la solita etichetta di “cabina di regia”. Il coordinamento sarà nostro, mio e del ministro dell’Economia Giorgetti”.

Ce ne parli…

“Mai nella storia del nostro paese c’è stato un allineamento di questo calibro. Una grande squadra con 6 organismi che collaboreranno: la Cassa Depositi e Prestiti, Invimit, Sace, il Credito sportivo e culturale, Sport e salute e la Federcalcio. Un’architettura strutturata che ha fissato un portafoglio di opzioni: il fondo immobiliare, il fondo equity, le garanzie, i contributi in conto interessi, gli strumenti legislativi, le procedure commissariali, l’elaborazione per un sistema di semplificazione per la vendita dei privati da parte dei comuni e, ultima ma non meno importante, un’ipotesi commissariale.

E allora perché Malagò era cosi turbato?

“Glielo dirò, anzitutto preoccuparsi non serve perfettamente a nulla. C’è chi ha una sfiducia cosmica verso gli altri e chi un’eccessiva fiducia verso se stesso”.

Lo stato di salute per questo iter straordinario che state intraprendendo a che punto è?

“Andiamo avanti sereni e concentrati monitorando il lavoro degli uffici tecnici per presentare in tempo le documentazioni richieste dall’Uefa”.

Ecco, ci sono due scadenze proprio per gli Europei del 2032: Una, non così lontana, fissata per ottobre 2026 con l’elenco definitivo dei 5, o forse più, stadi e l’altra per l’estate del 2027 con l’apertura dei cantieri.

“Saremo tempestivi nella redazione del documento di sintesi da inviare all’Uefa per informarla formalmente di come stiamo operando. Già lo facciamo informalmente. Trasferiremo a loro concretezza e verificabilità del tempo. Tutto questo lavoro viene in qualche modo verbalizzato. Ogni incontro è stato verbalizzato e condiviso”.

Questa grande operazione non è finalizzata solo agli Europei del 2032?

“Vogliamo andare oltre. Sarà una manovra utile per i finanziamenti allo stato a fondo perduto e per effettuare ulteriori indagini ed analisi comparate, in collaborazione con la Federcalcio, tra stadi esistenti”.

Nell’ottica futura quindi quali comuni e club avete ascoltato?

“Abbiamo sostenuto 5 audizioni: Bologna, Firenze, Cagliari, Empoli e Parma. Poi naturalmente nel novero ci sono Milano e Roma con Verona, Bari e Palermo”.

Manca Napoli…

“Con loro siamo nella fase preliminare. Abbiamo avuto due incontri con il Sindaco Manfredi ed il Presidente del club Aurelio De Laurentiis che stiamo sentendo separatamente. Saremo in città il 15 ottobre”.

La vostra agenda su quali punti è fissata?

“Su 4 paletti. L’iter amministrativo, il piano finanziario, il cronoprogramma ed il progetto tecnico”.

C’è un ritardo però effettivo su questi lavori?

“E’ un ritardo strutturale ed infrastrutturale che si è consolidato col tempo. Ci sono però degli esempi virtuosi. Penso a Torino, Udine e Bergamo ed in scala leggermente inferiore inserisco Frosinone”.

Diego Nepi, l’amministrato delegato di Sport e Salute, società in house del governo, ha detto al Corriere della Sera: “Non si possono impiegare 7 anni in Italia per fare un centro sportivo…”

“C’è una mancanza di convinzione profonda nel considerare lo stadio come un patrimonio imprescindibile. Il calcio fornisce un aspetto competitivo sotto soli due punti di vista: coppe europee e mercato. Non c’è stato mai un terzo aspetto che orientasse il lavoro in una direzione che portasse ad una miglioria. Ecco perché il decreto legislativo 120 che ho concepito ha i meriti di aver snellito certe procedure”.

Niente più alibi insomma…

“Assolutamente. In estrema ratio, se entro la fine dell’anno non fossimo soddisfatti sui tempi, potremmo anche nominare in maniera più drastica un commissario che gestisca le procedure. Un riferimento unico potrebbe solo giovare…”

Il nuovo stadio ideale italiano come dovrebbe essere? C’è un modello a cui vi ispirate?

“Da impianto sportivo ad anche comunità energetica che si fonda un concetto triplo: la sostenibilità finanziaria, sociale ed ambientale tra conti legittimi che devono tornare, l’economia del territorio e la questione green sempre più attuale. Ogni impianto avrà connotazioni diverse a seconda della città.

E quale filosofia dovrà accompagnare i nuovi impianti o quelli riqualificati?

“Vorrei stadi educati ed educanti dove chi ci entra deve rispettare un codice rigoroso di comportamento tra i materiali utilizzati e lo smaltimento dei rifiuti. Devono essere strutture educative ed infrastrutture sociali così come gli impianti dedicati alle altre discipline naturalmente”.

Lo sport di base è un altro grande cruccio italiano…

“In molte scuole mancano addirittura le palestre. Mi vengono segnalati continuamente casi di indifferenza e insofferenza verso chi fa sport. Stiamo lavorando con il ministro Valditara per smussare questo aspetto. Decisive saranno anche le competenze dei formatori, degli istruttori, le loro qualifiche. Ci sono delle idee su nuove figure professionali che nasceranno. E poi ripristineremo i Giochi della gioventù che mancano da 8 anni. L’alleanza scuola, università e sport è necessaria”.

Lasciamoci con una chiosa ed una speranza…

“Ho contrastato questo vecchio concetto che per fare le cose bisogna avere una scadenza. Le cose giuste bisogna farle perché sono giuste, stop. Un politico qualifica una candidatura perché ha un’agenda. In Italia ci sono progetti fermi da 10 anni nonostante fossero tutti d’accordo. E in Italia è pur vero che essere tutti d’accordo è il modo per non fare le cose. Questo nuovo gruppo di lavoro, invece, serve a sbaragliare il campo dagli equivoci e dagli alibi…”.

 

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