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Bruxelles – La Corte dei Conti europea boccia la gestione dei fondi Ue per l’Africa. Oltre cinque miliardi di euro che hanno finanziato progetti poco centrati sulle priorità e spesso con risultati sovrastimati. E soprattutto, senza effettive garanzie contro i rischi di violazioni dei diritti umani.

Al centro del rapporto l’analisi del fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (Eutf), istituito dalla Commissione europea nel 2015 e in scadenza nel 2025, attraverso cui Bruxelles è intervenuta con centinaia di progetti nei Paesi del Maghreb, nel Sahel e nel Corno d’Africa. Il fondo Ue si è posto l’obiettivo di affrontare le cause profonde dell’instabilità, della migrazione irregolare e delle crisi umanitarie nel continente africano. Al suo posto, l’Ue ha già implementato il nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale – Europa globale (Ndici), con priorità analoghe.

Già nel 2018 la Corte con sede a Lussemburgo aveva raccomandato all’Ue un utilizzo più mirato dell’Eutf, ma ha dovuto constatare che “i finanziamenti speciali per affrontare la migrazione restano spalmati su una serie di azioni troppo vasta nei settori dello sviluppo, degli aiuti umanitari e della sicurezza“. Bene la flessibilità, ma restando focalizzati sulle priorità. Ecco perché la Corte dei Conti esorta Bruxelles a “concentrare maggiormente i propri interventi su specifiche zone geografiche e su specifici beneficiari scelti sulla base di dati concreti”.

A questo è strettamente legato il monitoraggio dei risultati, fondamentale per prevedere gli effetti degli interventi e allocare così le risorse sui programmi più adeguati. Ma “a causa di un sistema non sufficientemente accurato, i risultati sono sovrastimati“. I progetti esaminati dagli auditori della Corte hanno sì risposto ad alcune necessità, ma non a quelle più urgenti. L’analisi va più in profondità: “Gli indicatori utilizzati per monitorare i risultati non mostrano se i progetti siano sostenibili o se abbiano contribuito ad affrontare le cause profonde dell’instabilità, della migrazione irregolare e degli sfollamenti”. La conseguenza è che la Commissione non è ancora in grado di indicare gli approcci più efficaci.

“Un sostegno frammentato e poco attento alle priorità strategiche non riesce a produrre un impatto”, ha commentato Bettina Jakobsen, membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. Secondo Jakobsen, “sebbene l’EUTF abbia contribuito a mantenere la migrazione in cima all’agenda politica e dello sviluppo, dobbiamo ribadire le nostre critiche, in quanto poco è cambiato”.

Tra le attività non sostenibili, difficili da attuare o non prioritarie, la Corte ha riscontrato alcuni esempi emblematici. La ristrutturazione di un tratto di lungomare a Bengasi e del teatro romano di Sabratha, in Libia, ma colpisce soprattutto la fornitura di attrezzature sportive e da cucina per istituti scolastici con urgenti necessità di infrastrutture di base. “Una scuola non collegata alla rete elettrica ha ricevuto un frullatore per completare la formazione sulla preparazione e conservazione degli alimenti”, ha riportato la Corte.

Dall’Ue poca attenzione ai rischi di violazioni dei diritti umani

C’è poi il fondamentale nodo della mancanza di misure adeguate per identificare i rischi di violazioni dei diritti umani nei progetti finanziati dall’Ue. “Non sono affrontati con attenzione”, è l’accusa che arriva da Lussemburgo. Le condizioni generali di tutti gli accordi di finanziamento prevedono che l’azione sia sospesa se l’Ue individua una violazione dei diritti umani. Ma “non esistono procedure formali” per la segnalazione e la valutazione di presunte violazioni. E nemmeno “orientamenti pratici” per chiarire in quali situazioni il sostegno dell’Ue possa essere sospeso.

Secondo il rapporto, la Commissione ha “compiuto i primi passi” nel monitoraggio dell’impatto delle attività dell’Eutf sui diritti umani. Tra i nuovi metodi elaborati, vengono segnalate le relazioni di monitoraggio esterno introdotte in Libia. Ma questo meccanismo non è ancora stato messo in atto in altri paesi in cui i diritti umani potrebbero essere a rischio. Paesi in cui “la Commissione, gli attuatori dei progetti e gli altri appaltatori hanno incontrato ostacoli simili a quelli incontrati dagli auditor, ad esempio per ottenere accesso a centri di trattenimento per persone migranti e ad altri luoghi che richiedono un’autorizzazione ufficiale”.

La Corte indica a Bruxelles i compiti a casa per garantire il principio del “non nuocere” e non inciampare in imbarazzanti e gravi vicende di violazioni dei diritti umani. Per esempio valutare “sistematicamente” il livello di rischio nella fase di progettazione e tradurre, nel caso in cui un progetti presenti rischi significativi, le misure di mitigazione proposte in attività specifiche o indicatori di realizzazione. O redigere e diffondere procedure interne precise per segnalare e seguire le denunce relative ai diritti umani.

Le conclusioni e raccomandazioni della Corte “possono contribuire a qualsiasi futura azione di sviluppo”, conclude il rapporto. In particolare a quelle intraprese attraverso Ndici-Global Europe, il nuovo Fondo per il Vicinato e la Cooperazione internazionale. Quello con cui, per intenderci, l’Ue sta finanziando le forze di sicurezza tunisine per trattenere i migranti sul proprio territorio nazionale.

 

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