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Andare all’università oggi non è alla portata di tutti: basti pensare all’annoso problema dei fuorisede, che hanno a disposizione negli studentati solo un posto letto per ogni 10 potenziali occupanti. Ma, parlando di spese fisse, c’è un’altra voce di bilancio che recentemente sembra, invece, far tirare un sospiro di sollievo a molti: le tasse universitarie.

Come incide la no tax area sul costo delle tasse

Ma, come spesso accade, c’è il rovescio della medaglia. Perché le casse delle università non sempre ce le fanno a sostenere il “costo” degli esoneri. Inoltre, in parecchi casi, per venire incontro alle difficoltà delle famiglie, queste decidono di estendere la “no tax area” a più persone. Così, per tanti che non pagano, ce ne sono altrettanti che devono sborsare più del dovuto: quelli che non hanno diritto ad alcuna agevolazione. A fronte di un costo medio della tassazione che, sempre secondo UdU, dovrebbe oscillare tra i 900 e i 1.000 euro – importo ottenuto dividendo il gettito complessivo per il totale degli iscritti – i “paganti” finiscono per corrispondere, mediamente, quasi 1.500 euro per ogni anno di corso.

Un fronte, quello delle tasse universitarie, che quindi solo apparentemente sembra confortante. Per questo, per avere un quadro più completo della situazione, il portale specializzato Skuola.net ha voluto approfondire nel dettaglio il report Udu.

Come si sono evolute nel tempo le agevolazioni

Partendo dal tema centrale, gli sgravi per le famiglie meno abbienti, per tamponare l’aumento verticale delle tasse universitarie da parte dei singoli atenei, dal 2017 a livello governativo è stata introdotta la già citata “no tax area”, che all’epoca prevedeva un doppio canale di esoneri: totale per chi non superava un reddito ISEE – che indica la capacità economica dei nuclei famigliari – pari a 13mila euro, parziale per chi non andava oltre il 30mila euro. Dopodiché, col tempo, le cifre sono state aggiornate – per adeguarsi all’aumento del costo della vita – arrivando nel 2017 a “cancellare” le tasse a chi aveva un ISEE fino a 22mila euro.

Da allora l’allargamento della platea si è arrestato. Ma, nel frattempo, l’inflazione ha galoppato. Per questo, sono stati gli atenei a prendere l’iniziativa, in alcuni casi portando la “no tax area” totale a 30mila euro di ISEE. È ciò che è avvenuto, ad esempio, alla Statale di Milano, alla Federico II di Napoli, a Padova, Trieste, Urbino, Perugia, nell’Università del Piemonte Orientale. Ma, complessivamente, parecchie strutture hanno rivisto al rialzo la quota che comprende l’esonero: leggendo il rapporto UdU se ne contano una cinquantina.

Quanti sono gli studenti esonerati?

Tutto questo si è tradotto nel seguente assetto. Per l’anno accademico 2022/2023, su 1.909.360 studenti universitari, 600.828 – pari al 31% – sono stati esonerati completamente (31%). Di questi, 572.703 risultavano iscritti negli atenei statali, 28.125 in quelli privati. A loro si devono poi aggiungere 237.456 – pari al 12% – esonerati in modo parziale: 206.696 negli atenei pubblici, 30.760 in quelli non statali. Alla fine, a pagare per intero le tasse è stato il 56% degli iscritti.

Ancora più generose, a vantaggio degli studenti, le proporzioni se si guarda alle sole università statali. Qui la platea degli esonerati totali raggiunge quota 37%, mentre quelli parziali sono il 13%. A pagare per intero, nelle strutture pubbliche, è meno della metà degli iscritti (49%).

Per tanti che non pagano, ce ne sono altrettanti che pagano anche troppo

Ma, paradossalmente, è proprio a questo punto che sorgono i problemi. In teoria, ci dovrebbe pensare lo Stato, ovviamente per quanto riguarda gli atenei pubblici, a coprire l’ammanco delle entrate dovuto alla “no tax area”. Nei fatti, ciò avviene solo in parte. Per i circa 780 mila studenti che usufruiscono di agevolazioni il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) prevede uno stanziamento complessivo di 235 milioni di euro: 175 milioni per gli oltre 572 mila esonerati totalmente, 60 milioni per i quasi 207 mila esoneri parziali.

A conti fatti, sono 305 euro per ogni iscritto che non paga nulla e 290 euro per chi ha uno sconto sulle tasse. Somme del tutto insufficienti: come visto, se tutti pagassero, le tasse si sarebbero di poco sotto i 1.000 euro annui: secondo le proiezioni più ottimistiche 914 euro. Chi mette il resto? Gli studenti e le famiglie che sforano i massimali di reddito. Che finiscono per pagare quasi 1.500 euro, più precisamente 1.452 euro. In media. Perché, dove gli studenti esonerati sono di più, tale cifra è destinata a lievitare.

Si passa, infatti, da atenei che vedono solo uno studente su cinque non pagare alcun contributo onnicomprensivo ad atenei che vedono oltre la metà degli iscritti non versare alcunché. La situazione più complessa per chi non può accedere ad alcun esonero si riscontra nelle università del Sud Italia. Visto che, con la sola eccezione di Siena, le diciotto sedi accademiche col maggior numero di paganti si trovano nel Settentrione; all’opposto, i ventuno atenei con il gettito più basso (e quindi più esonerati) si trovano al Centro e, ancor di più, nel Mezzogiorno.

Ma il quadro è molto più variegato. In base alla quantità e all’ampiezza delle fasce di reddito, a cui corrispondono tassazioni differenti, a volte enormi. Alcuni esempi? Si passa da importi medi davvero minimi, come i 400-500€ previsti a Sassari, Foggia, Napoli Orientale e università della Calabria, a esborsi veramente impegnativi, come i 1400-1600€ richiesti da  Insubria, Politecnico di Milano e dai due atenei di Venezia. Tendenzialmente, dunque, l’ateneo con il gettito più alto percepisce una tassa media che è superiore di tre volte e mezzo quella dell’ateneo con le pretese più basse.

Buone notizie in arrivo?

Qualcosa per riequilibrare la situazione, però, potrebbe essere in arrivo. E assumerà la forma di ulteriori fondi pubblici per il diritto allo studio. Recentemente il Ministero dell’Università e della Ricerca ha infatti rivisto al rialzo sia gli importi minimi delle borse di studio sia i limiti reddituali oltre i quali non si può averne diritto, stanziando la cifra record di 850 milioni di euro per il sostegno agli iscritti, anche a quelli meritevoli ma più benestanti.

Già a partire dall’anno accademico 2024/2025, agli studenti fuori sede che rispetteranno i requisiti richiesti, verranno riconosciuti almeno 7.015,97 euro: una cifra superiore di oltre 350 euro rispetto a quella attuale (per la precisione 359,45 euro). Ai pendolari, invece, andranno 4.100,50 euro (+201,06), mentre per quanti risiedono nello stesso luogo dell’ateneo – gli studenti “in sede” – ci saranno 2.827,64 euro (+144,87) cadauno. 

Contemporaneamente, il limite dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) è stato posto a 27.726,79 euro, in un aumento di 1.420,54 euro. Il tetto dell’Indicatore della Situazione Patrimoniale Equivalente (ISPE) è stato, invece, fissato a 60.275,66 euro, corrispondente a un incremento di 3.088,13 euro. Basterà a dare una boccata d’ossigeno al sistema?

Fonte: 

https://www.tgcom24.mediaset.it/

 

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