diMassimiliano Nerozzi
Un percorso di foto, video e cimeli. Il rompicapo ideato da Erno Rubik offre 43 quintilioni di combinazioni, ma si risolve in 18 mosse (il nuovo campione del mondo ci ha messo 3,13 secondi). L’inventore: «I problemi, più entusiasmanti delle soluzioni»
È finito nelle mani del Papa e dei Wayana, l’isolata popolazione indigena che da 4 mila anni vive nella foresta tra la Guayana francese e il Brasile, e nel mezzo è stato manipolato da quasi mezzo miliardo di persone — tanti ne sono stati venduti — alla ricerca di una soluzione tra le possibili 43 quintilioni di combinazioni, una cifra a 30 zeri: l’alba e la leggenda del Cubo di Rubik, una storia iniziata 50 anni fa (era il 1974), vengono raccontate in una mostra che si inaugura oggi a Cuneo, nata da un progetto di Crc Innova, ideato, curato e prodotto dall’associazione culturale Cuadri, in collaborazione con Spin Master e con il contributo della Fondazione Crc.
Già il titolo impone una visita — 50 anni di Cubo. Erno Rubik e il rompicapo che ha incantato il mondo — a una rassegna immersiva, sviluppata su tre sale, tra videowall, linee del tempo, teche ed esposizioni di alcuni rari esemplari di cubo per raccontare le varianti più bizzarre e, quindi, la sua influenza nella cultura pop: aperta al pubblico da domani e fino a domenica 27 aprile 2025, con ingresso gratuito.
«Come Rubik, siamo guidati dalla passione per l’innovazione e dalla volontà di guardare sempre avanti — spiega Andrea Borri, presidente dell’associazione culturale Cuadri — e con questa mostra desideriamo offrire al pubblico l’opportunità di esplorare il mondo affascinante del Cubo di Rubik. Il nostro impegno è rivolto al futuro, proprio come il Cubo che continua, a 50 anni dalla sua invenzione, a ispirare e sfidare le menti in tutto il mondo». Con un successo che mai avrebbe pensato Erno Rubik, oggi ottantenne, che lo assemblò mentre lavorava al dipartimento di Interior design all’Accademia di arti applicate «Moholy-Nagy» di Budapest, sua città natale.
«Non mi era mai passata per la mente l’idea che stessi creando un rompicapo», racconterà nell’autobiografia — uscita anche con il Corriere — e intitolata Il Cubo e io: storia del rompicapo che ha incantato il mondo e del suo inventore. Anche se per lui il Cubo fu «una scoperta e non un’invenzione, fatta di cose che già esistevano, come una forma di vita». E messa insieme per motivi squisitamente didattici: voleva costruire un oggetto fatto di parti rotanti per aiutare i suoi studenti a comprendere la rotazione su un asse e gli oggetti tridimensionali. Ma, come ripeteva Pasteur, la fortuna aiuta le menti preparate, e lo strumento divenne enigma, gioco e, poi, icona. E l’architetto e designer ungherese si ritrovò guru. «Chi ci passa del tempo è in compagnia di un problema, e i problemi sono entusiasmanti, più delle soluzioni», sorrideva lui qualche anno fa a Milano, ospite di una rassegna di giochi.
Nonostante il numero spaventosamente grande di combinazioni, mediamente si può arrivare alla soluzione in 18-20 mosse, il che aumenta il fascino della sfida. Che, con il tempo, si è fatta competizione, tra rassegne mondiali e piccoli geni: fino al record stampato nel giugno dello scorso anno, in California, dal ventunenne statunitense di origini coreane Max Park, che ha finito il Cubo in 3,13 secondi. Battendo il precedente record del mondo del cinese Yusheng Du, che aveva risolto il rompicapo in 3,47 secondi.
«Ma il cubo è un partner, non un avversario — spiegava Erno Rubik — vinci se hai giocato, non se lo risolvi. Aiuta a gustare la vita, non a cercare di schiantare un nemico». Sarà per questo che lui, invece, non ama gli scacchi.
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