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«L’Appennino toglie, l’Appennino dà. I vignaioli resistono e guardano oltre». Il pezzo che era pronto per uscire e doveva raccontare un anno e mezzo dopo l’alluvione del maggio 2023 a Modigliana, alta Romagna, è stato spazzato via da una nuova apocalisse.
diverse cantine erano ancora alle prese con strade interdette a camion di imbottigliatori o trasportatori, e a non residenti, quindi potenziali clienti, filari abbattuti e ripristinati a fatica o perduti, contributi vincolati a una burocrazia snervante, ma intanto erano usciti, in questi ultimi dieci giorni, i primi vini figli della vendemmia di quella stessa annata. Eccellenti, era quello il premio dell’Appennino.
L’anteprima era stata come sempre “Stella dell’Appennino”, la manifestazione della prima metà di settembre in cui 9 produttori di questo angolo di Italia del vino di qualità, Fondo San Giuseppe, Casetta dei Frati, Il Pratello, Il Teatro, Lu.Va., Menta e Rosmarino, Mutiliana, Pian di Stantino, Villa Papiano, hanno presentato le novità in bottiglia e quelle di prossima uscita.

Vigneti, lo stato a oggi

«Fra i territori di Modigliana, Brisighella e Casola Valsenio, il 20% dei vigneti è stato compromesso dall’alluvione del 2023 – spiega l’agronomo Francesco Bordini, produttore di vino con l’azienda Villa Papiano e consulente di molte cantine – nel complesso si erano persi circa 300 ettari. A livello globale non se ne accorge nessuno, ma per una comunità locale costituisce una perdita importante». Questo fino alle ultime 48 ore. Che nonostante tutto sembrano per chi ha le vigne in alto meno peggio di un anno e mezzo fa. «A Villa Papiano il pluviometro ha registrato stanotte 220 mm di acqua in sei ore, è roba che non perdona, soprattutto in pianura – aggiornava in queste ore Bordini -.

La piena del torrente Tramazzo che ha esondato in paese, nella sua crudeltà è cosa già vista, perché come tutti i torrenti di montagna sono fatti per le piene violentissime. Ora tutto quello che c’è intorno torna a essere un casino: le strade tutte chiuse di nuovo, il monte Chioda che si era distinto perché non vi era stato fatto nulla è ripiombato nel baratro, nella mia cantina a Villa Papiano si arriva solo a piedi anche se questa volta non ci sono frane colossali, i sassi, quelli grossi, erano venuti giù la scorsa volta. Guarda caso è andata molto meglio nelle strade manutentate, vedi il Trebbio. Insomma, la situazione è brutta ma non è tragica come l’anno scorso, non sono le bombe d’acqua che fanno tracimare i fiumi se gli argini sono a posto. Spero di sbagliare, ma temo che invece sarà molto grave la situazione nella pianura ravennate nelle prossime ore». È già così.

In queste terre alte, dove la vendemmia comincia adesso per molti di loro, il confronto fra agricoltura e selvatico è moltiplicato, il bosco che delimita le vigne è una barriera di protezione da venti e calure, una fonte di nutrimento per terreni magri, un moltiplicatore di sentori verdi e balsamici, ma è anche una presenza incombente, sempre pronta a riprendersi tutti gli spazi se non governata. E quando non è il bosco a “mangiarsi” la terra coltivata, è l’acqua a portarsela via. «La regimentazione dell’acqua è la prima regola che si è persa in agricoltura dal dopoguerra in poi. Erano almeno due generazioni che non si prendeva sottomano la gestione di una pendice collinare, ora questo deve rientrare nel linguaggio comune delle buone pratiche agricole per tutti – diceva Bordini solo qualche giorno fa e questo è attuale in queste ore più che mai- perché dalle frane e dagli acquazzoni ci si tutela con i fossetti ben tenuti, non con opere ciclopiche.  È chiaro che prima c’erano le persone da mettere in salvo ed è stato fatto, molte strade sono state ripristinate, non tutte e ora si dice che lo saranno in tre anni, a partire da quando esattamente? Ma quello che mi lascia perplesso è che la tutela dei crinali nel complesso non venga considerata una questione di somma urgenza. Una frana si stabilizza in dieci anni, ma intanto ci sono tante piccole opere, che costano anche poco, da fare per prevenire eppure non sembra che siano state prese in considerazione, parlo del pubblico ma molto anche del privato, e questo è stupefacente. Non si è imparato nulla».

La beffa dei risarcimenti

Parlando di costi si corre alla questione risarcimenti, quelli di un anno e mezzo fa non erano ancora arrivati, già si dovranno fare nuovi amari bilanci. «Il bando della misura Figliuolo è aperto e finanziato, ci sono soldi e capienza, la macchina è partita e sembra funzionare, ma tutte le norme attuative e le spiegazioni su come formulare le richieste di contributo sono arrivate con una lentezza impressionante perciò fino a luglio non si presentavano ancora domande – spiega l’agronomo Francesco Bordini – Si è perso parecchio tempo. Ora sembra che le prime domande stiano andando a buon fine grazie al lavoro degli uffici tecnici comunali che sono i primi che le analizzano e conoscono bene i territori. Mediamente rispondono in 60 giorni e se viene rigettata ce ne sono altri 130 per ripresentarla. Per le domande che andranno in porto, mi aspetto che il risarcimento arrivi l’anno prossimo, con un anticipo del 50% ad approvazione e il resto a consuntivo».

Già, ma intanto quanti hanno avuto quel 50% da anticipare per i ripristini? Inoltre la domanda stessa è un’ operazione articolata e onerosa (lo stesso costo dei professionisti, agronomo e geologo almeno, è l’8% del valore totale del rimborso). Le aziende meno strutturate sono quelle più in difficoltà, gli affittuari di vigneti devono sottostare alle decisioni delle proprietà che spaventate dalla burocrazia in diversi casi hanno lasciato perdere. Molti si sono accontentati dei tremila euro concessi nell’immediato dalla Camera di commercio, l’unico contributo incassato fin qui, confermano i vignaioli.
«La mia azienda a oggi ha avuto quei tremila euro – conferma Bordini – per una domanda di risarcimento danni da circa 80mila euro, e a me è andata di lusso, ne abbiamo già anticipati 40/50mila. Se aspettavo Figliuolo dormivo male con un altro maggio come quello di quest’anno, si posticipa solo il posticipabile puntando sulla certezza che quei fondi arriveranno».

Lu.Va di Luciano Leoni e Valerio Ciani con l’alluvione ha perso due ettari di vigneto, ancora ha la strada di casa, e dell’azienda, chiusa e devono compiere giri alternativi più lunghi con tratti sterrati e impervi per arrivarci. «Noi abbiamo aderito subito alla misura di risarcimento Sfinge e pare abbiano accettato la nostra richiesta di risarcimento -spiega Luciano -. Nell’immediato l’avevamo quantificata sui 70/80mila euro,ma è ovvio che sul lungo periodo saranno molti di più. Aspettiamo. Intanto siamo andati avanti e non abbiamo pensato più a quello che era successo, anche se la verità è che ogni volta che piove forte qua ci viene il patema» lo dicevano qualche giorno fa, ed evidentemente non era una paura infondata.

«È successo di nuovo eppure non siamo messi male come un anno e mezzo fa. Noi abbiamo dormito fuori casa è vero, ma siamo saliti in vigna questa mattina e l’uva è al suo posto, bella croccante. È successo di nuovo e questo amplifica il problema della lentezza della politica riguardo agli aiuti, un tema che diventa ancor più urticante oggi», dice sintetizza Luca Monduzzi della cantina Il Teatro. «Credo che alla fine potrò conteggiare come risarcimento i 6000 euro per mancato guadagno che mi sono arrivati all’inizio e non ricordo neanche da chi – diceva Monduzzi solo qualche giorno fa -. Mentre per i danni alla casa, visto che è anche agriturismo, benché abbiamo perso quasi un anno di lavoro, non abbiamo potuto chiedere niente. Questo bando poi è per gente ricca. Mi rifiuto di spendere diecimila euro, che servirebbero solo per le perizie, per giocare al superenalotto e vedere nel caso la vincita diluita in dieci anni. Quale impresa spende per un mero ripristino la cifra di un investimento, indebitandosi e bloccando l’azienda per una decina d’anni?». Ma se si parla di vino gli occhi del vignaiolo si rischiarano: «Per il vino l’annata 2023, nonostante i danni dell’alluvione e quelli della peronospera che non si poteva trattare perché le vigne erano inaccessibili, è stata una botta di fortuna, calda in modo giusto ha dato vini immediati, espressivi, che sono già pronti adesso e quindi per noi saranno una buona occasione commerciale per sostenere il 2024 e pensare alla ripresa. Purtroppo ne abbiamo prodotto la metà, ma noi siamo concentrati sul nostro lavoro e sul racconto che deve proseguire».

«Dopo l’alluvione la burocrazia si è abbattuta su aziende piccole che spesso non hanno forze e competenze per affrontare certe procedure, mentre chi ha vigne in affitto deve sottostare alle scelte della proprietà. Il fatto è che il modello di agricoltura che vige oggi non è fatto per l’Appennino» erano Giorgio Melandri della cantina Mutiliana che anziché tre vini nel 2023 è riuscito a produrne uno solo unendo tutte le poche uve, si chiama Ronchi sparsi, uscirà fra un anno e forse resterà un unicum. «Già… il prossimo mi sa che lo dovrò chiamare Ronchi maledetti» riusciva a ironizzare ieri Melandri. «Il modello agricolo attuale ha senso solo per aziende dai 200 ettari in su, dimensioni adatte a scelte industriali e a economie di scala che noi non possiamo permetterci. Nel nostro caso, in Appennino, il territorio è frammentato e cosa facciamo lo abbandoniamo? L’alluvione ci è servita per accelerare la consapevolezza del fatto che uno schema non esiste, la natura ci obbliga a decisioni da prendere al volo» diceva Melandri solo qualche giorno fa.
Oggi è di nuovo un altro giorno: «Con una nuova immensa sfida davanti».

E se domenica non piove qua si vendemmia.

 

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