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Il mercato del lavoro italiano continua a registrare un elevato gender gap. Come evidenziato dal Rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024”, con riferimento ai dati di Eurostat, il tasso di occupazione femminile tra le donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato del 52,5% nel 2023, un dato significativamente inferiore alla media europea, che si attesta al 65,7%.

Questo divario appare ulteriormente accentuato dalle difficoltà nel conciliare vita lavorativa e familiare: seppur in misura diversa rispetto al passato, le lavoratrici si trovano spesso a dover limitare la loro disponibilità per un impiego a tempo pieno, rendendo più complesso mantenere una carriera stabile e ben remunerata. Per esempio, mentre il tasso di occupazione totale delle donne tra i 25 e i 54 anni nel 2023 era del 63,8%, il valore sale al 68,7% per le donne senza figli e scende al 57,8% per quelle con due o più figli minori. Al contrario, il tasso di occupazione degli uomini della stessa età è del 83,7%, e aumenta dal 77,3% per coloro senza figli al 91,6% per quelli con due o più figli.

Come dimostrano i dati sulle dimissioni volontarie post-genitorialità: a dimettersi sono principalmente le madri, specialmente al primo figlio ed entro il primo anno di vita del bambino. Nel 2022, in Italia, secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si sono registrate 61.391 convalide di dimissioni volontarie di genitori con figli in età 0-3 anni, con un aumento del 17,1% rispetto all’anno precedente. Di queste, il 72,8% riguardava donne (44.699 casi), mentre il restante 27,2% erano uomini (16.692 casi). Non sorprende, dunque, che molte donne scelgano di rimandare la maternità o di non intraprendere questa strada. Il 2023 ha segnato un record negativo per la natalità in Italia, con meno di 400.000 nascite, registrando l’ennesimo minimo storico dopo il picco relativo di 577 nascite del 2008 (Istat, 2024).

 

Oltre al gender gap, esiste una marcata disparità tra mamme dipendenti e libere professioniste. In Italia, il numero di lavoratrici autonome è in crescita, ma la flessibilità del lavoro indipendente porta con sé un elevato livello di incertezza, soprattutto durante la maternità. Sebbene abbiano lo stesso diritto al congedo di maternità delle lavoratrici dipendenti, come previsto dall’art. 64 del Testo Unico, le libere professioniste ricevono un trattamento diverso. Il congedo infatti è riconosciuto per i due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi, oppure per i 5 mesi successivi all’arrivo del bambino in caso di adozione o affidamento, e l’indennità è pari all’80% di 1/365 del reddito medio giornaliero degli ultimi 12 mesi, con possibilità di proroga in situazioni particolari. Tuttavia, il supporto le libere professioniste resta significativamente inferiore rispetto a quella della controparte dipendente. Basti pensare alla mancanza di welfare aziendale e alle limitazioni nell’accesso a diritti, come il raddoppio dell’indennità per un mese aggiuntivo oltre al congedo parentale standard, previsto dalla Legge Bilancio 2024, da utilizzare entro i primi sei anni del bambino. Il congedo parentale per i lavoratori autonomi è infatti di massimo tre mesi ciascuno, da fruire entro il primo anno di vita del bambino. È prevista un’indennità economica per il periodo di astensione dal lavoro pari al 30% della retribuzione.

 

Al contrario, le mamme dipendenti possono spesso godere di contributi aziendali per coprire i costi dell’asilo nido o di babysitter, di giorni di congedo parentale aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla legge o di flessibilità oraria per facilitare il loro ritorno al lavoro dopo la maternità. Alcune aziende includono addirittura nel loro piano di welfare servizi di consulenza psicologica o coaching, supportando le neomamme (così come i neopapà) nella gestione dello stress e delle nuove responsabilità; altre includono nel pacchetto welfare polizze assicurative che coprono la maternità o altre necessità legate alla salute della mamma e del bambino – tutte misure non accessibili alle lavoratrici autonome.

Anche il recente “Bonus Mamme 2024”, introdotto dal governo Meloni, prevede un esonero del 100% dei contributi previdenziali fino a un massimo di €3.000 annuali per le lavoratrici dipendenti con tre o più figli, fino al compimento del diciottesimo anno di età dell’ultimo figlio. Per il 2024, l’esonero è valido anche per le madri con due figli, se almeno uno dei due ha meno di 10 anni. Tuttavia, sono esclude dall’agevolazione le libere professioniste, insieme alle madri di un solo figlio (anche se con disabilità), le lavoratici domestiche, le pensionate, le lavoratrici a tempo determinato, le disoccupate e le collaboratrici occasionali. Per questo motivo, così come per una parziale sovrapposizione con altre misure fiscali, le adesioni sono state inferiori a quanto previsto. Tuttavia, la manovra è attualmente in rimodulazione: si discute di un possibile ampliamento del Bonus, estendendolo alle lavoratrici autonome, attualmente escluse dall’agevolazione, così come della conferma del beneficio per le madri di due figli (di cui uno minore di 10 anni).

 

Un quadro, quello italiano, in cui permangono le difficoltà per le mamme lavoratrici e che rimane ancora più incerto per le libere professioniste mamme, che si trovano spesso a dover colmare il divario rispetto ai benefici del welfare aziendale e quelli statali riservati alla controparte dipendente tramite soluzioni assicurative personalizzate. Esistono infatti sul mercato polizze che offrono coperture per eventi come la maternità, la malattia o l’infortunio, pensate appositamente per chi lavora in autonomia. Questi piani possono essere adattati alle esigenze specifiche delle singole lavoratrici, e della propria prole, permettendo loro di selezionare le coperture più rilevanti. Negli ultimi anni, difatti, il mercato assicurativo ha vissuto una trasformazione significativa: se da un lato è cresciuta l’attenzione verso i bisogni delle piccole e medie imprese, dall’altro si è sviluppata una maggiore sensibilità anche verso le esigenze dei liberi professionisti, e conseguentemente anche delle mamme lavoratrici autonome. Questa evoluzione riflette la necessità di rispondere a un mercato sempre più diversificato e dove i liberi professionisti sono in aumento e alla crescente consapevolezza che il welfare non debba riguardare solo i dipendenti delle grandi aziende, ma anche chi opera in modo indipendente.

 

In conclusione, le iniziative statali recenti, come il “Bonus Mamme 2024”, mostrano che il tema della natalità sia sempre più una priorità ma anche che le politiche attuali non siano ancora sufficienti a garantire equità e supporti sufficienti per le famiglie e le mamme lavoratrici, e l’evoluzione del mercato assicurativo, seppur promettente, non è da sola in grado di colmare il divario esistente. È necessario un continuo miglioramento delle politiche e dei servizi per garantire a tutte le mamme le stesse opportunità di conciliazione tra lavoro e famiglia, indipendentemente dal loro status lavorativo.

Sara Bottino, Head of Marketing & Communication di Lokky 

 

 

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