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Non si aspetta rilevanti cambiamenti chi sta al fronte dell’emergenza, come Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina d’emergenza e urgenza (Simeu). “Il problema delle liste d’attesa riguarda i pronto soccorso, ma non è fra le principali criticità”, commenta.

“Se si accede all’emergenza per saltare le liste, si rischia di attendere tanto perché non è un’urgenza. Certamente la richiesta influisce sui tempi e sull’efficienza dei pronto soccorso ma i problemi veri sono l’attesa di ricovero, quindi il sovraffollamento e le carenze di personale. Ammesso che il decreto abbia un’efficacia concreta, non mi aspetto una variazione sostanziale su ciò che nei dipartimenti di emergenza e urgenza viviamo quotidianamente”.

Uno spiraglio però il presidente lo intravede nell’articolo 5 del decreto in cui si prevede l’aumento del tetto di spesa per il personale: “si parla – spiega De Iaco – di un aumento del 10%, più un 5% sottoposto a una revisione, previo un nuovo decreto ministeriale.

Mi chiedo se quel 10% in più, fatte salve tutte le condizioni che sono riportate nel testo e che riguardano la situazione finanziaria delle singole Regioni, non possa essere destinato direttamente all’emergenza urgenza, cosa che sarebbe utile. Credo che le carenze più evidenti in questo momento siano le nostre, mentre sarebbe il caso di avere un’attenzione particolare all’emergenza-urgenza visto che siamo il tampone per tutte le criticità. Nel Dl c’è il tentativo da parte del ministero di razionalizzare il sistema e renderlo controllabile. Quello che tutti lamentano è che in assenza di risorse, lo sforzo rischia di rimanere lettera morta.

Il principio per il quale le cose possono migliorare in condizioni di iso- risorse è aleatorio. Siamo convinti che ci siano quote di risparmio ma per le condizioni generali di lavoro non lo raggiungeremo perché ci sono di mezzo burocratizzazione, distanza tra medici di medicina generale e pazienti, incremento della medicina difensiva seguita alla mancata depenalizzazione dell’atto medico. Tutti questi fattori fanno in modo che il nostro sistema sia in stallo, difficilmente migliorabile, a meno di un importante intervento di ristrutturazione generale che immetta risorse. Lo sforzo del ministero è chiaro – conclude – ma temo che la razionalizzazione non sarà così decisiva”.

Da parte di una delle componenti del privato convenzionato, l’Associazione religiosa degli istituti socio sanitari (Aris), che rappresenta oltre il 20% del comparto, c’è attesa nei confronti del decreto legge e in particolare per i decreti annunciati che seguiranno per l’applicazione. “Questo provvedimento – spiega padre Virginio Babber, presidente dell’Aris – ci lascia molto perplessi perché non c’è un finanziamento previsto. Si tratta di soluzioni in divenire e ci chiediamo quando potranno trasformarsi in realtà. Per quanto riguarda le nostre strutture, siamo pronti ad aspettare, anche se – sottolinea – il Cup unico deve tener presente la necessità di mantenere la prosecuzione del piano diagnostico e terapeutico. La persona infatti che si reca in clinica per le terapie non può essere mandata da un’altra parte, ma deve essere curata dalla stessa struttura, nel rispetto della consequenzialità della cura. Questo ancora non si capisce come verrà assicurato. Inoltre, è stato detto che ci sarà un disegno di legge ad hoc e ci chiediamo quando arriverà. Occorrerà vedere cosa faranno le Regioni quando entrerà in pieno esercizio la riforma dell’autonomia differenziata”.

Una via preferenziale

Chiamati in causa in diverse occasioni come nodo cruciale della rete assistenziale, sono i medici di medicina generale che dovrebbero vigilare sull’appropriatezza delle prescrizioni. “Vedremo se le misure potranno funzionare, ma da quello che ho visto, è previsto ciò che è stato già introdotto in passato, dall’aumento dell’offerta ai benefici per il personale. Certo qualcosa in più è meglio di qualcosa in meno, ma non c’è nulla ancora che intervenga sulla domanda”, commenta Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), audito in Senato sulla materia del decreto. “Il prescrittore – precisa – non è il medico di medicina genera- le ma è il medico che richiede la prestazione.

Il medico di medicina generale prescrive e si assume la responsabilità ma spesso prescrive anche esami richiesti da altri specialisti. Sul totale delle nostre prescrizioni, queste ultime indicate su suggerimento degli specialisti, riguardano almeno il 60% e spesso derivano dagli specialisti delle strutture pubbliche”. Quanto all’aumento dell’offerta del privato accreditato, che dovrebbe supplire alle esigenze, Bartoletti punta il dito sui costi: “la spesa aumenterà – commenta – e per questo bisogna mettere in atto misure, come per esempio, facilitare la domanda qualificata di prestazioni in alcune branche critiche, ovvero, l’oncologia, l’infettivologia, la reumatologia e le malattie croniche con percorsi che danno ragione al fatto che la medicina generale ha degli strumenti per evitare alle persone che non possono aspettare di essere subito curate”.

In sostanza, “in base all’analisi del quadro clini- co del paziente e alla sua storia – spiega ancora Bartoletti – il medico di medicina generale e gli specialisti ambulatoriali dovrebbero avere degli strumenti per la gestione della domanda, in particolare, per quelle patologie che hanno la necessità di una diagnosi tempestiva. Di questo, però, nella legge non c’è traccia. Significa ancora una volta contare sulla buona volontà del singolo professionista che si incarica di cercare in maniera autonoma il percorso più breve per far avere al paziente la prestazione. Quello che manca – conclude – è la fiducia nella professionalità nei propri operatori”.

 

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