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Il termine «shadow banking» (sistema bancario ombra) applicato a fondi chiusi quali Private Equity, Private Debt (prestiti non bancari) e simili produce un’ambiguità non meritata al riguardo di questi strumenti finanziari. Pertanto si pregano i regolatori di modificare la terminologia di individuazione di questo settore finanziario.

Inoltre, appare sorprendente che i vigilanti stiano pensando a nuove regolamentazioni dei fondi chiusi che tipicamente hanno un altissimo grado di trasparenza e raccolgono capitale da investitori istituzionali specializzati.

Il punto: i regolatori devono distinguere selettivamente tra finanza ordinata e trasparente e quella che non lo è – giustamente da regolamentare – evitando di mettere tutta la finanza non bancaria in un unico mazzo.

Il termine «shadow banking» non nasce con un significato negativo, ma di «finanziamento non bancario». Rischia di diventare negativo quando al termine «ombra» si unisce quello «di non regolamentato da regolare».

Ma è una stortura della realtà se non ben specificato. I fondi chiusi sono regolamentati da istituzioni sul piano dell’obbligo di trasparenza e, soprattutto, sono per statuto continuamente sottoposti al giudizio degli investitori. Per esempio, ogni investimento proposto dal team di gestione di un fondo chiuso richiede l’approvazione di un comitato di investitori. Si tratta di una regolamentazione privata nel dettaglio? Certamente, ma va annotato che sono quelli che ci mettono i soldi, quindi molto attenti, a valutare se un investimento è accettabile o meno.

E il team di gestione deve spiegare molto bene con analisi e scenaristica predittiva nonché con consulenze legali e di esperti di settore, in fase di due diligence, le prospettive di un investimento, con un costo per ogni dossier che serve a minimizzare il rischio. Infatti, con un’esperienza di 25 anni nel Private Equity «hands on» (maggioranze di imprese gestite da team con scala adeguata di personale specialistico), mi sento di dire che il rischio di tale tipo di investimento è minimo se fatto come detto.

Ovviamente ci sono differenze tra fondi e queste sono rilevabili dal «track record» di ciascuno combinata con la capacità, appunto, di individuare gli scenari futuri macro e micro. Il personale dei fondi chiusi, tendenzialmente, è sottoposto ad un periodo molto lungo di formazione perché deve unire le competenze dell’investment banking a quello dei trend nei diversi settori economici.

Ed è proprio la concorrenza nel settore degli investimenti che è la miglior regolazione di fatto per ottenere qualità, trasparenza e buoni guadagni. Se i regolatori volessero proprio mettere le mani sul settore, dovrebbero favorire l’ingresso dei piccoli investitori retail nei fondi chiusi con durata di dieci anni, più due di grazia, permettendo un mercato efficiente delle quote senza penalizzazioni di sconto se qualcuno volesse uscire prima della scadenza. Lascio il tema alla competenza dell’Aifi: abolire il termine «finanza ombra».

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