Il linguaggio è ostico, ma l’indirizzo è chiaro. L’Ue raccomanda caldamente a tutti i soggetti dei Paesi membri deputati al vaglio delle acque destinate al consumo umano a rinforzare lo strumentario per la ricerca dei temibili derivati del fluoro di origine industriale noti come perfluorati, Pfas o perfluoroalchilici. Il che vale sia per le molecole di vecchia concezione, costituite da lunghe catene di atomi, sia per quelle di sviluppo più recente a catena più corta. Allo stesso tempo, oltre al totale dei Pfas, spesso poco considerato, vanno cercate comunque nel medesimo paniere, anche le sostanze che si ottengono dalla degradazione dei perfluoroalchilici, ossia i Tfa, la cui possibile tosscità, pur non studiata (ne parla Vicenzatoday.it del 3 agosto), preoccupa gli scienziati, che di converso, hanno già acclarato la nocività degli stessi perfluorati. Più nel dettaglio a mettere nero su bianco una raccomandazione dal peso specifico notevole è la Commissione europea (attualmente presieduta dalla tedesca Ursula von der Leyen) con una comunicazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea il 7 agosto 2024.
Si tratta di una novità importantissima. Perché fornisce alle istituzioni dei Paesi membri, ma pure ai rispettivi enti locali, un armamentario amministrativo potenziato affinché la presenza di tali composti sia rilevata con maggiore accuratezza: metodiche, procedure e panoramica sugli strumenti tecnici utili infatti, sono elencati in modo molto preciso. Per quanto riguarda il passaggio sui Pfas totali, la commissione, pur facendo ricorso ad un linguaggio molto specialistico, non fa sconti. «Per comunicare i risultati dell’analisi per il parametro Pfas totale – si legge in Gazzetta ufficiale – è opportuno valutare il contributo dei Pfas a catena ultracorta» noti come «Tfa, nelle acque destinate al consumo umano, in quanto la concentrazione di Tfa potrebbe superare… notevolmente… il valore di parametro della direttiva» sui Pfas totali.
Detto alla grezza l’Ue dice che pur non studiati i Tfa fanno media, o meglio cumulo, quando appunto si cercano i derivati del fluoro nelle acque destinate all’uso umano. Tale considerazione, spinta alle estreme conseguenze, potrebbe portare ad una abbassamento ulteriore de facto delle soglie di tollerabilità: ambito che in buona parte però è pertinenza dei singoli Paesi membri: la materia infatti può essere normata dalla Commissione, dall’Eurparlamento, appunto dai singoli stati europei: ma per molti versi pure a livello regionale o locale, specie con gli strumenti urbanistici.
Tuttavia c’è un altro aspetto che va considerato con attenzione. Questa sorta di piccolo libro bianco in tema di caccia ai Pfas, costituisce, proprio per come è strutturato sul piano logico, anche la base giuridica per ampliare la platea delle ricerche. Il che, se si fa riferimento ad uno dei princìpi cardine dell’ordinamento ambientale continentale (quello appunto del principio di precauzione) fornisce chiaramente alla stessa Commissione, al Parlamento europeo, ai singoli Paesi e giù giù fino agli enti locali, un presupposto oltremodo solido per eventuali strette normative sulla produzione, sulla lavorazione o sull’utilizzo di questi derivati del fluoro.
I quali sono ben noti in Italia perché la Miteni di Trissino, la ditta dell’Ovest vicentino che per decenni li ha fabbricati sversando nell’ecosistema gli scarti di produzione, oggi è al centro di un colossale processo penale per disastro ambientale doloso. Una situazione non troppo dissimile peraltro la si registra in Piemonte ad Alessandria con l’affaire Solvay-Spinetta Marengo.
Singolare è che, almeno fino ad oggi, la gran parte dei protagonisti del dibattito pubblico sui Pfas abbia fatto scena muta rispetto alla novità giunta da Bruxelles. E se la cosa in qualche modo è comprensibile per quanto riguarda l’industria chimica, espressione di una lobby transazionale molto potente, più strano, pur con qualche eccezione, è il silenzio della politica e soprattutto delle reti ecologiste.
Tuttavia, ogni volta in cui si parla di possibili strette sui Pfas, sullo sfondo rimangono le pressioni del complesso militare-industriale e tecnologico affinché il tema dell’inasprimento delle norme venga rimandato sine die. Il che vale sia per l’Occidente sia per le altre potenze come Russia, Cina, India e Turchia che si caratterizzano per una più o meno spiccata proiezione geostrategica: sia a livello globale che regionale.
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