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Le società si lamentano. I calciatori che diventano degli esuberi guadagnano troppo e vanno messi alla porta – e alla berlina – il prima possibile. Alla Juventus è successo spesso nell’ultimo periodo. Da Szczesny, che ha risolto il contratto dopo aver rifiutato un anno fa il Bayern Monaco per rimanere a Torino, al conosciutissimo affaire Chiesa, con il giocatore che ha deciso di tirare talmente tanto la corda da non rinnovare, venendo poi bocciato da Thiago Motta. L’Inter ne ha altri due in attacco come Arnautovic e Correa, oramai fuori dall’idea di progetto ma che hanno uno stipendio talmente alto da non potere essere rivendibili a un livello medio. La Roma non è riuscita a vendere Dybala, come non riesce a cedere Abraham – che prende 6 milioni di euro, ma almeno ha il Decreto Crescita – oppure Smalling, altri 4.

Come potere ovviare a questo problema? Bisognerebbe rivedere i contratti in materia calcistica? Perché se è evidente che un calciatore non può vivere solamente a premi – e probabilmente questo darebbe problemi nell’attirare giocatori di primo livello – dall’altro lato non è nemmeno possibile pensare che un giocatore che quattro anni fa era titolare fisso dopo tre stagioni in panchina prenda gli stessi soldi. Forse implementare un modo di offrire stipendi a scaglioni sarebbe una buona scelta. Questo però non dovrebbe essere veicolato dall’alto, ma dovrebbero essere i club, in una sorta di gentleman’s agreement, a pagare tutti allo stesso modo, con le stesse “modalità”. Non gli stessi stipendi, perché è ovvio che Correa all’Inter debba prendere più di Barozzi in una neopromossa, ma far divenire appetibile economicamente un “esubero” di una big per una neopromossa dovrebbe essere la missione del nostro calcio.

Invece tutti continuano a spendere, tanto, anche per le riserve. Anche il Milan, che negli anni ha cercato di condurre una politica sostenibile, ha tanti giocatori che non hanno intenzione di andarsene, ma che potrebbero alzare il livello finendo in una squadra media. È un circolo vizioso: se solo tre o quattro squadre dello stesso livello si possono permettere un profilo, appena finisce in panchina diventa inservibile per chiunque e diventa, di fatto, un esubero. Quasi automaticamente, anche se dopo tre o quattro mesi.

Le società si lamentano, parte seconda. C’è il grande giocatore che ha già più espresso il manifesto di andare via, ma nonostante alcune offerte non c’è l’intenzione di cederlo. Giustissimo, per carità, ma sono gli stessi club che poi si lamentano perché non riescono a vendere chi non è più appetibile per lo stipendio che ha. Chiaro che Koopmeiners sia prigioniero della sua gabbia dorata da 2,5 milioni – più bonus – all’anno fino al 2027. Ancora tre anni di contratto e nessuna possibilità di scappatella sul contratto, con i Percassi che potrebbero anche, ipoteticamente, rimanere sulle proprie posizioni e non cederlo. Anche qui sarà difficilissimo non succeda, ed è anche giusto così. I contratti si rispettano: meglio litigare prima, nel momento della firma, che non dovere contare i cocci dopo, quelli rotti, perché prigionieri di loro stessi.

Insomma, i club vorrebbero avere sempre la moglie ubriaca e la botte piena. Non è (quasi) mai possibile, loro lo sanno benissimo e ci provano lo stesso. Tanto alla fine sarà colpa di qualcun altro per le spese pazze durante un anno.



 

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