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Giancarlo Giorgetti

Una valanga estiva: l’estate si chiuderà con 3mila miliardi di deficit pubblico, l’incremento su base annua è di 99 miliardi di euro. Buona parte dell’aumento del debito si deve alla crescita del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche centrali, pari a 13,6 miliardi, con buona pace della spending review. Si è invece ridotto di 300 milioni di euro quello delle amministrazioni locali. Senza questa zavorra il sistema produttivo italiano, e quindi l’economia, sarebbero in grado di imprimere più benessere al Paese, migliorando l’indice della qualità della vita. Non a caso tra le angustie vacanziere di Giorgia Meloni c’è la prossima finanziaria, che è poi il tribolato rituale di tutti i presidenti del Consiglio.

Non esiste bacchetta magica per risolvere il problema ma una o più soluzioni per fare i primi passi e tagliare il deficit bisognerà prima o poi avere il coraggio di prenderla.

Ecco le ricette degli economisti

In che modo intervenire, come ridurre questo moloch che tarpa le ali allo sviluppo? Siamo andati alla ricerca di ricette da parte degli economisti (ma con l’aggiunta dell’IA), un contributo al dibattito che in autunno si farà serrato.

È ovvio partire dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica di Milano, che da tempo effettua il monitoraggio della situazione finanziaria e che ritiene vada innanzi tutto riconsiderata, tra le tante questioni, quella del fiume di denaro che se ne va per pagare gli interessi: «Negli altri Paesi ad alto debito gli spread sono più bassi. In particolare, colpisce che gli spread di Grecia, Spagna e Portogallo siano tanto più bassi: rispettivamente a 80, 76 e 61 punti base (contro i 145 dell’Italia). Lo spread elevato si traduce in una spesa per interessi che è fra le più alte in Europa, pari (nel 2023) al 3,8% del Pil. Secondo i dati del Fondo monetario in Europa solo l’Ungheria registra una spesa più alta, pari al 3,9% del Pil. La spesa per interessi della Grecia è pari al 2,8 %, seguono Portogallo (1,98%), Romania (1,88%) e Spagna (1,87%). Francia e Belgio spendono rispettivamente l’1,7 e l’1,5% del Pil, la Germania solo lo 0,7%».

Bisogna quindi rimodulare debito e interessi in modo da riuscire a fare il compito che ci assegnerà l’Ue: «Le nuove regole europee sui conti pubblici -aggiunte l’Osservatorio- imporranno all’Italia di riportare il deficit sotto il 3% del Pil e di ridurre il deficit pubblico strutturale probabilmente di un quarto di punto all’anno fino a raggiungere l’1,5% del Pil. Non sembra impossibile raggiungere questi obiettivi, in un contesto di moderata crescita economica. Nel periodo 2025-2027 sarebbe necessario non confermare i tagli temporanei di contributi e imposte esistenti nel 2024 (o prendere misure equivalenti per 15 miliardi), mantenendo la spesa corrente primaria reale pro capite in leggera crescita (0,2 % all’anno)».

Occorre tagliare la spesa e puntare sulla sua qualità

Insomma, un primo passo potrebbe già essere compiuto grazie a un risparmio nella spesa per interessi e al rispetto del rapporto tra debito e Pil prescritto dall’Ue. Da un altro punto d’osservazione, quello dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Amenta, che è anche docente di Economia all’università di Palermo, ritiene che la svolta potrebbe avvenire incominciando dalla qualità della spesa pubblica: «I fallimentari effetti reali sulla crescita del Superbonus, i suoi impatti disastrosi sul bilancio dello Stato e l’incapacità di quest’ultimo di prevederne la misura impongono finalmente un ripensamento complessivo dell’idea che la spesa pubblica possa davvero servire a migliorare le condizioni economiche di un Paese. E la diretta conseguenza per salvare il bilancio non può che essere una: tagliare la spesa e rendere più libere imprese e cittadini da imposte e pastoie burocratiche».

Poi, occorre un intervento più complessivo: «Servono più libertà e più concorrenza», aggiunge. «Oltre a dismettere i beni pubblici e creare le condizioni per affidare ai privati i servizi, abbattere le rendite di posizione delle professioni regolate aprendo alla massima competizione, consentire che pure i settori tradizionalmente gestiti dal pubblico quali la sanità e l’istruzione possano trovare le più efficaci forme di partecipazione dei privati».

La distribuzione del collocamento del debito è un’altra questione che andrebbe affrontata. In parte il ministro Giancarlo Giorgetti, è intervenuto, ma occorrerebbe più incisività secondo Gianfranco Polillo, economista di lungo corso nella macchina ministeriale e quindi profondo conoscitore dei meccanismi della finanza pubblica, membro del CdA di Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Sud: «In media il debito italiano è distribuito per il 47,7 % a favore di istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, fondi ecc.), per il 33,3% a vantaggio di investitori esteri e solo per il restante 19 % di famiglie e imprese. Le banche e le altre istituzioni finanziarie sono obbligate o preferiscono acquistare titoli di Stato piuttosto che finanziare i privati, specie nei periodi più turbolenti. Dalle statistiche della Banca d’Italia risulta infatti che, in media, solo il 67,5% dell’attivo delle banche è stato impegnato sotto forma di prestiti ai residenti. E che questa percentuale tende a ridursi, con il crescere dell’interesse corrisposto dai titoli del debito pubblico. Si parla tanto di lotta alle rendite. Ma la rendita più importante, in Italia, è proprio quella che trae origine dalla dimensione del debito pubblico e dalla necessità di garantire il collocamento dei relativi titoli sul mercato finanziario».

La ricetta in 6 mosse di ChatGPT

Infine l’intelligenza artificiale. Abbiamo posto a ChatGPT la domanda: come ridurre il debito pubblico italiano. Ecco i primi sei provvedimenti indicati: «1. Stimolare la crescita economica con investimenti in settori chiave come l’innovazione tecnologica e sostenere le pmi. 2. Controllare la spesa, riducendo gli sprechi e digitalizzando la pubblica amministrazione. 3. Migliorare la riscossione fiscale e rivedere il sistema delle imposte rendendolo più equo. 4. Privatizzare gli asset pubblici strategici e ottimizzare la gestione del patrimonio immobiliare dello Stato. 5. Riformare il mercato del lavoro, implementando politiche attive e introducendo contratti che bilancino flessibilità e sicurezza. 6. Utilizzare i fondi europei in modo più efficace».

Riproduzione riservata

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