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È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo definitivo del D.Lgs. 108/2024, correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 luglio. Tra le varie modifiche, con l’art. 5 il Legislatore ha deciso di intervenire sulla problematica legata al nuovo accertamento sintetico, il cui rientro era stato preannunciato nel mese di maggio e poi subito bloccato per ulteriori approfondimenti tecnici. Dopo questa pausa di riflessione, è tornato operativo in versione corretta l’accertamento sintetico previsto dall’art. 38 DPR 600/73. Tuttavia, mancano ancora alcune specifiche tecniche particolarmente rilevanti per questo tipo di provvedimenti. Inoltre, non è chiaro se questa modifica abbia definitivamente posto nel cassetto il redditometro, come forma di accertamento specifico nell’ambito del più generale accertamento sintetico. Tuttavia, non va dimenticato che la ragione della prima “sospensione” era proprio quella di eliminare il redditometro.

A ben vedere, il famigerato redditometro (in senso stretto), introdotto nel 2010 (DL 78/2010), era essenzialmente basato su parametri predefiniti e tabelle standardizzate che stimano il reddito in funzione di un insieme di spese e beni (catalogati nel DM del 24 dicembre 2012 e suddivisi nelle due macrocategorie consumi e investimenti). Si ricordano gli accertamenti in cui si contestava che, per possedere una macchina di un determinata cilindrata, bisognava almeno avere un reddito di una certa cifra, anche se il veicolo aveva trent’anni e non camminava da molto tempo. Proprio questa predeterminazione tabellare e quasi sempre acritica e stata la principale contestazione di inefficienza e arbitrarietà fatta questo tipo di accertamento, ripresentatasi essenzialmente identica nelle polemiche del maggio scorso che hanno bloccato l’entrata in vigore di queste modifiche.

L’accertamento sintetico, invece, rappresenta una forma di controllo fiscale basata sugli indici di spesa personali non predeterminati a priori, rappresentando ancora uno strumento che, se ben applicato, potrebbe rivelarsi utile per contrastare fenomeni evasivi da occultamento evidente dei ricavi rispetto al dichiarato o addirittura di attività prive di partita iva. Insomma, si tratta di un controllo fiscale utilizzato per determinare indirettamente il reddito complessivo del contribuente, basandosi sulla sua capacità di spesa personale sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati, con un tenore di vita ingiustificato in base alle entrate. La logica di fondo è chiara: il contribuente deve spiegare, se le risorse economiche non derivano da redditi dichiarati, da quale fonte economica deriva il sostentamento del proprio tenore di vita elevato.

Le modifiche in GU: soglie e prova contraria

Il decreto correttivo ha introdotto diverse modifiche in tema di accertamento sintetico.

1)  le nuove soglie di applicazione

La più rilevante riguarda la soglia al di sotto della quale non si può effettuare l’accertamento sintetico. Precedentemente, questa soglia era limitata a un quinto del reddito accertato, impedendo l’emissione di un avviso di accertamento per differenze inferiori al 20%. Ora, ai sensi del nuovo sesto comma, l’accertamento sintetico può essere effettuato solo se il reddito complessivo accertabile eccede di almeno un quinto quello dichiarato (come prima) e, comunque, di almeno dieci volte l’importo corrispondente all’assegno sociale annuo, il cui valore è aggiornato per legge con periodicità biennale, anche sulla base degli indici di adeguamento ISTAT.

Questa nuova formulazione introduce un doppio criterio di irrilevanza: il primo relativo (lo sfasamento tra reddito dichiarato e reddito presunto deve essere superiore al 20%), il secondo assoluto (il reddito accertato deve comunque essere superiore a dieci volte l’assegno sociale). Per far sì che possa scattare l’accertamento sintetico è necessario che siano superate entrambe le soglie, la prima da determinarsi in forma proporzionale rispetto al reddito dell’accertato e la seconda valida in termini valori generali, con un reddito presunto superiore almeno ai 70.000 euro circa (a fronte di un assegno sociale per il 2024 di euro 534,41).

2)  il riordino delle prove contrarie del contribuente

Un’altra modifica rilevante riguarda la prova contraria che il contribuente deve produrre in caso di accertamento sintetico, per far venire meno la presunzione legale in argomento.

Ora, il sesto comma specifica che il contribuente può confutare la presunzione di reddito sintetico dimostrando che:

a) il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, oppure da parte di soggetti diversi dal contribuente;

b) le spese attribuite hanno un diverso ammontare;

c) la quota di risparmio utilizzata per consumi e investimenti si è formata nel corso degli anni precedenti.

Queste disposizioni rappresentano una razionalizzazione delle tipiche prove contrarie già indicate dalla giurisprudenza, ma spesso soggette a interpretazioni oscillanti ed applicazioni non coerenti. In effetti, la prova contraria di cui alla lettera a) rappresenta la forma di giustificazione più tipica per contribuenti che non fanno la dichiarazione dei redditi, ma non sono evasori totali, poiché percepiscono entrate significative derivanti dal patrimonio, specie di natura finanziario, le quali – come noto – sono soggette a imposizione sostitutiva senza obblighi dichiarativi. Questa corretta giustificazione è comune nei casi di accertamenti sintetici più macroscopici, in cui vi vedono spese voluttuarie ingenti e redditi dichiarati esigui, che tuttavia spesso si rivolgono a rampolli di grandi di famiglie di industriali che godono di rendite di capitale per sostenere il loro elevato tenore di vita.

La giustificazione alla lettera b) è di natura tecnico-contabile, affermando che le spese attribuite dall’amministrazione non sono quelle effettive, che invece sarebbero minori.

Infine, la prova contraria della lettera c) formalizza nella disposizione la difesa classica del contribuente che dichiara di aver utilizzato per le spese oggetto di accertamento il patrimonio accumulato negli anni precedenti. Una variante interessante a questa tipologia di controprova riguarda il caso di un contribuente che ammette di aver utilizzato per sostenere il proprio tenore di vita il patrimonio creatosi attraverso forme di evasione ormai non più punibili per decadenza dei termini. Sebbene la norma non entri espressamente su questo tema, il suo tenore letterale suggerisce che il patrimonio accumulato in precedenza, anche in evasione di imposta, possa essere portato come prova giustificativa per un redditometro effettuato negli anni successivi, quando i redditi originari non sono più accertabili.

 

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