Le pensioni stanno per salire ancora. Quest’anno, infatti, nonostante l’inflazione sia stata sotto controllo rispetto al 2023, i prezzi sono lievemente saliti. A gennaio, così, scatterà nuovamente la perequazione, con il governo che ragiona su una riforma degli attuali tagli agli aumenti.
Pensioni, aumenti in arrivo
Costando di meno l’adeguamento all’inflazione per le casse dello Stato, infatti, potrebbe essere ampliata la platea di coloro che riceveranno una perequazione al 100% o addirittura stabilire che tutti riceveranno gli aumenti quasi con la stessa percentuale, a prescindere dagli importi previdenziali. La percentuale dell’aumento sarà stabilita a inizio del prossimo anno in base all’inflazione media del 2024. Quella già acquisita per l’anno è attorno all’1%: la cifra finale dovrebbe essere inferiore al 2% (probabilmente all’1,6%). Vediamo quindi nel dettaglio cosa cambierà e per chi.
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Rivalutazione delle pensioni, cosa cambia nel 2025
Tutti gli anni le pensioni vengono adeguate al costo della vita con lo strumento conosciuto come perequazione, disciplinato dalla legge n.448 del 1998. Mentre gli stipendi godono dei rinnovi di contratto, per le pensioni non può essere così. Per questo è stato previsto un adeguamento automatico che, tenendo conto dell’inflazione, va ad aumentare l’importo dell’assegno.
Negli ultimi anni si è deciso di tagliare le perequazioni visto che, con l’inflazione arrivata a livelli record, lo Stato doveva impiegare molti soldi per pagare l’operazione. Nel 2025, essendo come detto la percentuale di aumento probabilmente inferiore al 2%, si potrebbe tornare seguire le regole originarie di rivalutazione, con le quali in proporzione all’aumento spettano più soldi.
Il meccanismo nel 2024
Nella legge di Bilancio 2023 l’esborso dovuto per la rivalutazione delle pensioni era decisamente alto, visto il tasso di inflazione pari all’8,1%. Si è optato così per una serie di tagli, stabilendo che:
- Fino a quattro volte il trattamento minimo (nel 2024 salito a 614,77 euro): 100%;
- oltre 4 e fino a 5 volte il trattamento minimo: 85%;
- oltre 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo: 53%;
- oltre 6 e fino a 8 volte il trattamento minimo: 47%;
- oltre 8 e fino a 10 volte il trattamento minimo: 37%;
- oltre 10 volte il minimo: 22%.
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Il monito della Corte costituzionale
La perequazione ordinaria prevista dalla legge del 1998 prevedeva invece:
- Per la parte di pensione il cui importo non supera di 4 volte il trattamento minimo la rivalutazione pari al 100% del tasso di inflazione accertato;
- per la parte compresa tra le 4 e le 5 volte al 90% del tasso;
- infine, per la parte che supera le 5 volte al 75% del tasso.
Considerando che il tasso di inflazione medio quest’anno sarà attorno all’1,6%, si potrebbe optare per il ritorno al dettato di legge del 1998, con una rivalutazione in proporzione più alta per chi guadagna oltre le 4 volte il minimo dell’importo previdenziale. Più volte, infatti, la Corte costituzionale ha specificato che i tagli della rivalutazione non possono essere reiterati senza motivo. Ragion per cui tutto sembra far pensare a un ripristino delle vecchie regole.
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