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Da oggi fino a domenica, a San Costanzo va in scena la versione estiva della Sagra Polentara. Sagra che, quest’anno, a marzo ha celebrato la sua 216 esima edizione. Una sagra storica, è la più antica delle Marche, certificata dalla Regione “Sagra di qualità” che si merita davvero l’appellativo di festa popolare.

La leggenda

C’è una leggenda su questa sagra secondo cui è nata nel Settecento quando i nobili festeggiando il Carnevale nel Teatro della Concordia di San Costanzo, per compensare gli eccessi della festa e con l’arrivo della Quaresima, fecero preparare all’esterno delle tavolate di polenta scondita per servirla al popolo. S’inspira della storia dell’attuale sagra astigiana del polentone del Monastero Bormida che, dal 1573, ricorda la generosità del Marchese Della Rovere che dopo un inverno rigido fece costruire un gigantesco paiolo di rame (tuttora in uso) e sfamò la popolazione ma non ha niente da vedere con le origini della Sagra marchigiana come lo racconta Paolo Vitali, medico di famiglia di professione, storico per passione. «Nacque ad inizio Ottocento dai tanti carrettieri del paese – spiega – perennemente per monti e per valli per trasportare il sale che si estraeva dal bordo mare del Comune, le derrate agricole e il carbone. Vivevano poco con le loro famiglie e, a maggior ragione non partecipavano alla vita del paese. Pertanto, con il contributo dei contadini organizzarono nella piazza principale un momento di festa intorno alla cottura della polenta che offrirono scondita». La festa, che accomunava intorno allo stesso piatto ricchi e poveri, divenne sempre più conosciuta. «Da intima – commenta Vitali – divenne collettiva aiutata dal fatto che a quell’epoca, il paese ospitava tanti villeggianti essendo considerato una stazione rinvigorente per la salubrità della sua aria. Lo scrisse anche quando venne in visita al poeta Giulio Perticari il professore Tommasini, il medico della mamma di Napoleone Bonaparte». La sagra di oggi non ha più lo spettacolare sistema della teleferica a manovella che dalla torre rialzata centrale in piazza portava direttamente ai piani rialzati delle case i piatti di polenta, ma ha conservato la collaudata, logistica delle fascine che bruciano nelle fornacelle; dei caldari, ognuno dalla capacità di 300 porzioni dove cuoce la farina di mais girata in un movimento sincrono da un bastone a due manici da due polentari; e la polenta allargata sulle panare, le spianatoie pronta per essere o non essere condita. Perché qui la polenta è storicamente sorda. «Dal latino sordidus – chiarisce Vitali – ossia povera poiché scondita, poi, solo dopo, si è arricchita dal sugo segretissimo detto dei carrettieri».

La ricetta segreta

Segreta ma in evoluzione poiché la ricetta è affidata a cuochi che hanno dato la loro impronta. Da una trentina di anni è quella di Alfio Tinti alla guida della cucina con adesso il supporto del giovane Moris Canestrari. Dietro alla macchina della sagra ci sono più di 150 volontari della Pro loco di cui presidente è Antonio Calabrese e vicepresidente Massimo Ferretti e intorno alla polenta c’è un programma ricco di intrattenimenti. Da oggi fino a domenica, dalle ore 18 in poi, tenendo bene a mente che questa sera niente farina di mais, il tema è “aspettando la polenta”.



 

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