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di Giuseppe Gaetano, editor in chief

Sorpresa: nel secondo trimestre del 2024 i criteri di offerta sui prestiti alle imprese “sono stati lievemente allentati per la prima volta dal dicembre 2021“, grazie alla maggior tolleranza al rischio e ai minori costi di provvista.

Lo scrive Bankitalia nell’ultima indagine sul credito bancario diffusa ieri: “Termini e condizioni generali sui finanziamenti – si legge – sono divenuti leggermente più favorevoli, principalmente attraverso una diminuzione dei tassi di interesse“.
Per le famiglie, invece, le politiche di offerta “sono state rese moderatamente meno stringenti per i prestiti finalizzati all’acquisto di abitazioni, per effetto della maggiore pressione concorrenziale, e lievemente più rigide per il credito al consumo“. Per il trimestre in corso “gli intermediari si attendono un ulteriore lieve allentamento dei criteri” nella concessione di finanziamenti alle aziende e sui mutui ipotecari. Criteri che – ricordiamo – non vengono stabiliti a priori dagli istituti ma derivano dalle leggi di vigilanza riguardanti accumulo di deteriorati in bilancio e verifica della reale capacità di saldo dei clienti, messa a repentaglio dalla stessa politica monetaria del board di Francoforte.

L’analisi ricalca quella diffusa contestualmente a livello europeo dalla Bce, secondo cui l’accesso al credito delle imprese del vecchio continente migliora, grazie a un altrettanto “lieve incremento nella disponibilità di finanziamento da parte delle banche e minori ostacoli per ottenerlo“: pur permanendo condizioni essenzialmente restrittive e pressione sui costi, la maggior parte degli imprenditori è più ottimista per i prossimi mesi e diminuiscono quelli che segnalano strette creditizie o riduzione degli utili.
Resta da capire a quanto corrisponda in concreto questo “lievemente” e, soprattutto, se la rondine faccia primavera. Diciamo la verità: al momento, l’encefalogramma del giro d’affari resta quasi piatto. Anche perché – dalla precedente survey condotta da Via Nazionale tra il 20 maggio e il 10 giugno 2024, presso le aziende dell’industria e dei servizi con almeno 50 addetti – i giudizi sugli standard creditizi erano sostanzialmente stabili nella loro negatività.

Facendo un salto indietro, nel primo trimestre 2024 l’Osservatorio Crif ha registrato un -7,5% nel numero di finanziamenti rispetto allo stesso periodo del 2023, che si era concluso invece con un +5,4% trainato dalle società di capitali (+8,7%). La dinamica calante è cominciata subito dopo e anche le società di capitali, nei primi 3 mesi dell’anno nuovo, hanno iniziato a disegnare una tendenza negativa (-5,9%); mai, tuttavia, quanto le ditte individuali (-10,3%). Diminuiscono anche gli importi: -8,9% per le ditte individuali, -6,6% per le società di persone, -3,6% per quelle di capitali.
Del resto costo del denaro e inflazione restano tutt’oggi sostenuti e in realtà, anche a livello geopolitico, l’abitudine alla crisi ormai sviluppata dal comparto non basta a rilanciare davvero fiducia e investimenti; specie se si vuole mantenere basso il tasso di default, che per Crif si riporterà sui livelli fisiologici del 4% solo nel 2026. Certo anche questo trend, in “lieve” risalita, contribuisce a suo modo a creare una sorta di selezione all’ingresso da parte del sistema bancario. Lato erogato, le costruzioni registrano il calo più marcato (-9,3%); all’opposto automotive (+15,8%) e trasporti e logistica (+7,6%), che proprio per questo rischiano però maggiormente l’ipotetico default; viceversa, i settori più solidi risultano consulenza (1,8%) e farmaceutica (2,1%).

A nostro avviso, la vera spina nel fianco del segmento rimangono le garanzie del Fondo Pmi che, dall’emergenza Covid a fine maggio scorso, si sono più che dimezzate riducendosi a 91 miliardi di euro a fronte dei 107 prestati. Contando le garanzie precedenti e successive alla pandemia, legate al caro energia, il totale è pari a 145 mld per 180 di finanziamenti. Da inizio anno il governo ha ristretto le coperture al 60% per la liquidità, restando all’80% solo per gli investimenti, eppure le 2,1 milioni di pratiche in essere non hanno impattato sulle casse dello Stato e la maggioranza delle realtà di ogni settore e dimensione onora i propri debiti (come attesta il tasso medio di deterioramento tuttora attorno all’1,6%), tanto che gli accantonamenti prudenziali del Fondo si sono rivelati perfino eccessivi.
A poco servono le moderne soluzioni iper tecnologiche e le numerose partnership con il pubblico che i grandi player stanno sottoscrivendo in questo periodo per supportare il mercato – non ultime quelle legate al piano Transizione 5.0 del Pnrr – quando il prezzo del rimborso è troppo salato.

Una lucetta in fondo al tunnel l’ha accesa, sempre ieri, uno studio di Cerved Rating Agency ed è rappresentata dal “riciclo”. Un business model all’insegna dell’economia circolare, infatti, converrebbe a tutti: alle imprese, riducendo del 28% il loro rischio di credito (che sale al 68% per le Pmi) con un tasso di default medio del 3,12% contro il 4,37 delle colleghe a produzione tradizionale; e alle banche, perché il miglior profilo di rischiosità si tradurrebbe in circa 4 euro risparmiati ogni 100 erogati.
Tuttavia, secondo un recente rapporto di Morningstar DBRS, le nostre banche hanno continuano a segnalare livelli di costo del rischio in costante miglioramento (33 pb nel 1° trimestre dai 42 dell’anno fiscale 2023), con le riduzioni maggiori in Popolare di Sondrio e BPER. Il formidabile progresso del sistema bancario tricolore, che in 9 anni ha abbattuto gli Npl da 360 a 60 mld, è stato attestato quest’anno direttamente “Risk Dashboard” EBA (per chi non si fida delle relazioni trimestrali dei singoli istituti) e il settore appare assolutamente in grado di fronteggiare lo stock da 150 mld di Stage 2. Insomma, ben venga la circolar economy ma non è certo la minaccia di deterioramento del credito a remare contro il business. Perché, intanto, non fare in modo che le polizze catastrofali e cyber siano più valutate dagli intermediari?

Credito: Imprese e Famiglie, il 2024 dei Clienti Bancari

 

 

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