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Il contributo scolastico non va in vacanza: per le famiglie che hanno figli freschi di licenza media, oltre all’eventuale regalo di promozione è arrivato anche il tempo di versare un “obolo” nelle casse degli istituti che li accoglieranno a settembre.

La richiesta avviene proprio in questo periodo perché, per perfezionare l’iscrizione effettuata a gennaio, bisogna essere in possesso di un “pezzo di carta” fondamentale: il diploma di terza media.

Le segnalazioni delle famiglie

Ma, come confermano le tante segnalazioni raccolte in questi giorni dal portale Skuola.net, ci sono istituti che, contestualmente al certificato comprovante il conseguimento della “licenza”, chiedono anche il versamento di una somma in denaro.

Una cifra che, seppur quasi sempre contenuta – in genere si aggira attorno ai 100 euro, qualcosa in più per i percorsi più “tecnici” e “pratici” – fa storcere il naso a molti genitori.

Il contributo volontario

Di cosa si tratta? Niente di nuovo: è il cosiddetto “contributo volontario”, che da anni scatena il dibattito e le frizioni tra scuole e famiglie. Per questo, per aiutare a orientarsi su questa specie di “tassa”, la stessa Skuola.net – per voce del suo direttore, Daniele Grassucci – ha voluto fare chiarezza sulla natura e sulle finalità del pagamento.

La normativa ministeriale

Iniziamo col dire, sottolinea Grassucci, che “se si va a leggere la circolare ministeriale che regola i processi di iscrizione, viene chiaramente indicato come l’unica somma di denaro che le famiglie sono obbligate a versare sia rappresentata da due tasse: quella di iscrizione e quella di frequenza, il cui ammontare complessivo è di poco più di 20 euro. A cui possono aggiungersi, sul finale del percorso, quelle per lo svolgimento degli esami e per il rilascio del diploma. E, peraltro, da queste imposte sono esonerati gli studenti che provengono da nuclei familiari con ISEE inferiori ai 20.000 euro”. Da questo ne discende che il riconoscimento di qualsiasi altro contributo deve intendersi come una libera scelta delle famiglie.

La richiesta di somme aggiuntive

La stessa normativa di riferimento, comunque, apre esplicitamente alla possibilità per gli istituti di chiedere delle somme aggiuntive, sottolineando però come non possa essere una pretesa. Si legge, infatti, che “i contributi scolastici delle famiglie sono volontari e distinti dalle tasse scolastiche”. E, invece, spesso viene presentato proprio come un obbligo, talvolta paventando addirittura che un rifiuto potrebbe compromettere la frequenza dell’alunno. Ed è qui che nascono gli equivoci. Perché, se da un lato non c’è obbligatorietà, nei fatti quelle cifre risultano essenziali per il corretto funzionamento del percorso scolastico.

Le spese scolastiche coperte dal contributo volontario

“Spesso – spiega il direttore di Skuola.net – il contributo volontario ingloba una serie di voci di spesa che sono strettamente connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico e che vengono anticipate dall’istituto per conto delle famiglie”. Quali sono? Si va, ad esempio, dalle copie del libretto delle giustificazioni, passando per il servizio di registro elettronico e per le polizze assicurative con coperture supplementari. Ma tra questi ‘rimborsi spese’ possono figurare anche le somme necessarie a coprire il funzionamento dei laboratori e dei materiali di consumo: “pensiamo – dice Grassucci – al cibo che serve a un istituto alberghiero o alle materie prime in un agrario”.

L’iscrizione non è legata al pagamento

Resta comunque il fatto che, se non si paga, non succede nulla. “La formalizzazione dell’iscrizione – assicura l’esperto – è sconnessa dal riconoscimento del contributo scolastico, e questo avviene anche negli anni successivi. Se non si fa il versamento non si perde il posto a scuola. Anche perché ciò lederebbe il diritto allo studio, garantito dalla Costituzione”. Allo stesso tempo, se il diritto allo studio comporta che la scuola dell’obbligo sia gratis, i costi extra per ogni singolo studente sono però a carico delle famiglie. “La logica – prosegue Grassucci – è la seguente: io Stato pago i professori e i banchi, tu porti carta e penna”.

Le difficoltà finanziarie degli istituti

Un approccio, questo, che purtroppo alimenta una zona grigia, in cui alcuni istituti sembrano volersene approfittare. C’è effettivamente una sorta di “dolo”? “Non esattamente – sostiene il direttore del portale studentesco – perché alla base ci sono, tranne rarissime storture, motivi prettamente finanziari. Le scuole e gli istituti scolastici, per poter sostenere le spese connesse al proprio funzionamento, come l’acquisto di materiale di consumo che serve alla vita didattica – tra stampanti, fotocopiatrici, laboratori, licenze per software, macchinari e via dicendo – poggiano su dei fondi che vengono assegnati dal Ministero secondo alcuni criteri di riparto. Che non sempre però sono sufficienti, costringendo le scuole a forzare la mano con le famiglie”.

La trasparenza nell’uso dei contributi

Ma, all’atto pratico, a cosa servono questi tesoretti che le scuole accantonano in anticipo? Per fortuna, ovviamente se la scuola agisce in buona fede, le famiglie hanno tutti gli strumenti per capirlo: “Nella sezione ‘Trasparenza’ del sito d’istituto ma anche sulla piattaforma ministeriale ‘Scuola in Chiaro’ – spiega Grassucci – le strutture sono chiamate a rendicontare come spendono i soldi che derivano dalle erogazioni libere delle famiglie”.

Conviene pagare il contributo?

A questo punto un dubbio potrebbe attanagliare i più: conviene pagare oppure no? Il consiglio dell’esperto va in direzione del primo scenario, in quanto “si tratta di denari che servono a migliorare la vita della scuola e, di riflesso, dello studente. E poi non stiamo parlando di cifre enormi, ci si attesta tra gli ottanta e i cento euro nelle scuole superiori. Fanno eccezione, per via della presenza di attività di laboratorio e pratiche significative, gli istituti tecnici e professionali: qui la cifra può arrivare a superare i 250 euro. Non oltre”.

Detraibilità del contributo scolastico

In più, in taluni casi, l’aggravio del contributo sul bilancio famigliare potrebbe essere davvero minimo, dato che è detraibile dalle tasse, nella misura del 19%, “a patto che – evidenzia il direttore di Skuola.net – sia versato con uno strumento di pagamento tracciato e riporti la causale giusta, ovvero quella di una erogazione libera in favore di una o più di queste finalità: innovazione tecnologica, edilizia scolastica e ampliamento dell’offerta didattica e formativa”. Dopodiché bisogna fare attenzione a un’altra specifica: “se l’istituto scolastico ne richiede il pagamento con causali diverse, potrebbe renderne inefficace la detraibilità”.

Come rifiutare il contributo

E se il suggerimento non venisse colto? Se il genitore si rifiutasse di rispedire al mittente la richiesta? “Se una famiglia vuole esercitare il legittimo diritto di non versare il contributo volontario – ricorda Grassucci – ciò va fatto presente alla scuola, in maniera formale, mandando una PEC o una raccomandata, che mostri l’intenzione di saldare solo la parte della somma strettamente legata alle spese che la famiglia è tenuta a rimborsare all’istituto. In questo modo si scorpora ciò che è dovuto da ciò che è assolutamente volontario”.



 

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