Bisogna prendere atto senza pregiudizi ideologici, da una parte e dall’altra, che il Mezzogiorno italiano sta crescendo mezzo punto in più della media nazionale perché in silenzio si è cambiata la macchina pubblica degli investimenti produttivi che recupera lo spirito della Cassa per il Mezzogiorno di Gabriele Pescatore che fece le opere del miracolo economico italiano del Dopoguerra e consentì al Paese intero di raddoppiare il prestito Marshall. Una stagione d’oro che, alla voce fatti, mise al centro degli interventi infrastrutturali diretti a cambiare il contesto ambientale, il Mezzogiorno italiano, facendolo crescere più del Nord e recuperando una parte considerevole del divario.
La nuova stagione, voluta dal governo Meloni con l’intuizione strategica di unire tutte le deleghe europee sotto una sola guida politica, e segnata dall’azione costante svolta dal ministro Fitto sul doppio binario del dialogo con l’Europa e con i soggetti attuatori ministeriali e territoriali concordando priorità e scalette operative, sta oggi recuperando la regia centrale smarrita. Questa regia centrale permette di conseguire per il Mezzogiorno risultati rilevanti come fu nella stagione d’oro del Paese in termini di prodotto interno lordo (Pil) e di occupazione dopo almeno due decenni di Italia fanalino di coda europea e di Sud fanalino di coda italiano. Per la verità, in questo caso, al passo con i tempi, si sta facendo qualcosa di più.
C’è l’azione cruciale di sostegno agli investimenti infrastrutturali energetici che, passando da Sulmona, rompono l’isolamento geografico del Sud collegandolo al Nord produttivo italiano e continentale, e a quelli prevalentemente ferroviari, a partire dal treno veloce che riunisce i due motori industriali e turistici di Napoli e Bari. Questo tipo di interventi restituiscono a Napoli il ruolo di capitale del Mediterraneo e all’intero Sud, guidato da Napoli, il posizionamento internazionale come unico grande hub delle materie prime energetiche e del futuro che collega Africa e Europa.
C’è questo, e molto altro, sulle reti materiali e immateriali arrivando fino a Calabria e Sicilia, come è giusto e sacrosanto. C’è, però, soprattutto, e questa è la novità rispetto alla prima fase della stagione di Pescatore, un sostegno maggiorato per le imprese che investono e operano nel Mezzogiorno in termini di incentivi 4 e 5.0 (riforma fiscale degli investimenti in innovazione e ricerca) oltre ai crediti di imposta e ai bonus per le assunzioni di giovani e donne, che sta aiutando la crescita record dell’export manifatturiero campano, pugliese e, in genere, di tutto il Mezzogiorno ovviamente in termini assoluti inferiori. Questa crescita è complessivamente il frutto di un tasso di innovazione dei processi, di nuovi prodotti e di una capacità reale di flessibilità imprenditoriale sui mercati globali.
Questi sono, a nostro avviso, i fatti che riguardano gli investimenti e si innestano su un risveglio salutare e diffuso dell’apparato produttivo in via di consolidamento al quinto anno consecutivo. Questi, per capirci, sono i fatti che consentono di avviare finalmente la vera perequazione infrastrutturale e sociale tra le due aree del Paese potendo contare su una montagna di centinaia di miliardi di risorse europee e, in parte nazionali, per le quali la regia centrale, che è l’esatto opposto del regionalismo autonomistico delle chiacchiere, consente di destinare al Sud il 40 e non il 34% delle risorse pluriennali di bilancio e del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e l’80% delle risorse europee e nazionali del Fondo di Coesione e sviluppo e della Coesione.
Con un elemento di novità assoluta, rispetto agli ultimi due decenni, che non si dividono più i soldi a Roma Regione per Regione o ministero per mistero dando poi mano libera ai Capi di quelle Regioni e di quei Ministeri per spenderli come meglio credono, ma ad esempio si è già deciso, con il via libera europeo, sul Fondo di Coesione e sviluppo, vergogna italiana per il non uso o il cattivo uso fatto finora da parte di Ministeri e Regioni, che le risorse sono vincolate all’impiego contro il dissesto idrogeologico, per il riciclo dei rifiuti, la tutela e bonifica ambientali, la rigenerazione urbana e il sostegno alle imprese produttive.
Soprattutto sul primo punto è di tutta evidenza quanto bisogno c’è di fare grandi interventi sulle reti idriche che sono addirittura ancora quelle realizzate da Pescatore. Questo, per noi, significa fare politica di riequilibro che, in questo caso, coincide con l’interesse europeo, oltre che italiano, visto che il nostro Sud non è più periferia, ma centro del Vecchio Continente se vuole ritrovare un ruolo nel nuovo mondo. Per questo, di fronte al solito catastrofismo italiano, non possiamo che essere contenti della verifica con esito positivo del conseguimento dei 37 obiettivi della sesta rata del Pnrr, anche in questo caso primo Paese in Europa a richiederla, e dell’avvio dell’attività di verifica e di rendicontazione dei 69 traguardi e obiettivi della settima rata, pari a 18,2 miliardi di euro. Quello che conta, in questo tipo di processo dove la regia centrale dello Stato mette al centro gli investimenti pubblici e privati, è l’avanzamento globale effettivo del processo stesso. Che è esattamente ciò che sta avvenendo.
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