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La crescita delle imprese italiane necessita ingenti risorse economiche che non necessariamente devono arrivare solo dal settore pubblico o dal sistema bancario. Il Direct Credit rappresenta, in tal senso, un’opportunità ancora poco conosciuta e utilizzata in Italia.

Con il PIL italiano che cresce, ma di poco. Con l’economia globale alle prese con conflitti geopolitici che stanno rendendo complicati gli scambi. Con le transizioni green e digitale imprescindibili. Oggi le imprese italiane che vogliono restare competitive devono investire. E pure parecchio. Ma dove prendere i soldi?

Le banche? Sì, certo, il sistema bancario resta l’interlocutore principale, ma i tassi restano alti, anche dopo il taglio della BCE di giugno.

Le istituzioni pubbliche? Sì, le iniziative a supporto del tessuto imprenditoriale non mancano, ma spesso non sono sufficienti e talvolta può risultare complesso accedervi.

Ecco allora che il Direct Credit (o Direct Lending) può essere una valida alternativa.

Direct Credit: l’andamento in Italia e nel mondo

Da una recente analisi di Deloitte Italia emerge che, mentre in America del Nord (USA e Canada) e Gran Bretagna oltre il 70% del credito erogato alle imprese proviene da financial sponsor tra cui i fondi di Direct Credit, con la quota rimanente finanziata dal sistema bancario, in Europa la situazione è diametralmente opposta.

In Francia, infatti, il credito bancario è al 55% del totale, in Italia al 47% e in Germania al 37%, contro il 22% degli Stati Uniti.

I volumi di credito diretto non bancario (shadow banking) sono rilevanti e in crescita a livello globale. Il 58% di questo stock è però concentrato in America del Nord, con un capitale disponibile per finanziamenti di Direct Lending che ammonta globalmente a 182 miliardi di dollari, per AUM complessivi pari a 546 miliardi.

Guardando alle attività di investimento, la quota italiana di private debt risulta pari ad appena 2,9 miliardi di euro nel 2023, registrando, secondo Aifi, un calo del 12% rispetto al 2022, con oltre i due terzi dell’erogato concesso a grandi imprese.

Il numero di operazioni è sceso del 37%, passando da 262 a 164, coinvolgendo 109 società. Di queste, il 55% sono stati finanziamenti, il 38% obbligazioni e il 7% di strumenti ibridi. Peraltro, oltre il 30% dei mini-bond è sottoscritto dalle stesse banche, con limitato uso di basket bond (portafoglio di mini-bond diversificato).

Parallelamente, la raccolta degli operatori di private debt attivi in Italia è aumentata nel 2023 del 14%, raggiungendo 1.141 milioni di euro. La raccolta indipendente, che rappresenta il 96% del totale, proviene principalmente dal settore pubblico e dai fondi di fondi istituzionali (46%), seguita dalle banche (19%) e dai fondi pensione e casse di previdenza (16%).

Direct Credit, Cotugno (Deloitte Italia): “Uno strumento flessibile e rapido”

Per comprendere meglio le caratteristiche del Direct Lending e i motivi per cui è ancora poco diffuso nel nostro Paese, abbiamo approfondito l’argomento con Luigi Cutugno, Partner Corporate Finance e Debt & Capital Advisory Leader di Deloitte Italia.

Quando si parla di credito alle imprese si pensa immediatamente al sistema bancario o ai finanziamenti pubblici. Ci si dimentica molto spesso infatti del Direct Credit. Quali caratteristiche ha questa forma alternativa di finanziamento?

Le principali caratteristiche di queste forme alternative di finanziamento – che li differenziano dalle forme classiche di lending bancario – riguardano principalmente la durata, la flessibilità e la rapidità con i quali solitamente questi interlocutori danno un feedback alle controparti.

La duration finanziaria media di questi finanziamenti è più lunga rispetto a quella offerta dal classico canale bancario prevedendo in alcuni casi delle strutture interamente bullet (i.e. ovvero ripagamento del capitale a scadenza) molto adatti in caso di progetti di investimento significativi e/o operazioni di M&A.

Inoltre, riescono ad essere flessibili nel posizionamento all’interno della capital structure di una società fornendo soluzioni che vanno dal senior financing al preferred equity, rispondendo quindi con soluzioni tailor-made alle necessità delle controparti.

Infine, i tempi di risposta sono alquanto rapidi (2-3 settimane) e questo permette alle società di avere velocemente un riscontro sull’interesse e decidere quale strategia adottare.

 Quali sono i punti di forza del Direct Credit e quali le eventuali criticità?

I punti di forza del Direct Credit sono sostanzialmente quelli riportati precedentemente ovvero durata, flessibilità e rapidità. È utile inoltre sottolineare che – nel caso in cui si intraprenda questo percorso alternativo di funding – il fondo di Direct Credit diventa il più delle volte un partner strategico dell’impresa stessa aiutando e consigliando il management anche in quelle che possono essere delle decisioni strategiche.

Le criticità, invece, riguardano il costo del funding, anche se ultimamente il differenziale con il settore bancario si è ridotto, e l’invasività iniziale nel processo di erogazione. Essendo ovviamente degli investitori istituzionali una volta compresa l’opportunità, spendono del tempo per capire con il management il piano di sviluppo ed i relativi fabbisogni finanziari.

Il Direct Lending può rappresentare un problema per il settore bancario o una maggiore offerta di strumenti alternativi può essere funzionale per tutto il mercato del credito?

Il Direct Lending è ovviamente complementare al sistema bancario per due motivazioni principali. Le dimensioni complessive delle masse in gestione che non può coprire del tutto la domanda da parte delle aziende e al tempo stesso per la forma tecnica dei finanziamenti offerti. Gli interlocutori di Private Credit sono interessati in modo particolare a finanziarie operazioni di investimento (quali capex e/o M&A) e di consolidamento della struttura azionaria tramite strutture a medio-lungo termine. Non sono invece attivi nella parte di supporto al finanziamento del circolante, area in cui è e sarà sempre più indispensabile il ruolo delle banche.   

È uno strumento adatto a tutte le tipologie di aziende o ci sono condizioni particolari da rispettare per poterne usufruire?

In linea teorica è un finanziamento adatto a tutte le tipologie di aziende. In pratica però i fondi di Private Credit hanno delle preferenze settoriali legate anche agli impegni presi verso i rispettivi investitori. Inoltre, la maggior parte di questi soggetti ha la necessità di allocare sulle singole operazioni delle soglie minime in termini di capitale e quindi capita spesso che le aziende troppo piccole non rientrino nei loro desiderata come prenditori di finanza.

Per quali motivi il Direct Credit in Italia è ancora poco usato rispetto all’estero?

Il Direct Credit in Italia è poco utilizzato in quanto è un prodotto relativamente recente e perché comunque il canale bancario per le medio-piccole aziende rimane ancora oggi il primo referente. Tutto questo è dovuto ad una interlocuzione iniziale più semplice e diretta ma anche in quanto la dimensione di tali imprese non necessita solitamente di struttura tailor-made di lending.

Chi investe in questo strumento? A quali rendimenti può ambire e a quali rischi va incontro?

Ne Direct Credit investono principalmente i fondi istituzionali, le banche, i fondi pensione e le casse di previdenza. La decisione di investimento in questa asset class è principalmente legata ad una logica di diversificazione. Ovviamente come in tutti gli investimenti vi è un rischio implicito in questi prodotti ma storicamente i rendimenti offerti a scadenza sono superiori rispetto ai classici BTP o Treasury Bond.  

Direct Credit, Scardovi (Deloitte Italia): una soluzione win-win per tutti

Il Direct Credit presenta dunque vantaggi tanto per le imprese italiane (più credito, più a lungo, a costi ragionevoli), quanto per gli investitori (opportunità d’investimento a basso rischio visto che sono pochi i tassi di default registrati, con rendimenti netti interessanti).

A questo punto sorge spontanea la domanda: perché il Direct Credit a complemento del sistema bancario conviene a tutti? Lo abbiamo chiesto a Claudio ScardoviSenior Partner e Private Equity Leader di Deloitte Italia che ha risposto: “Fondamentalmente perché si basa su un arbitraggio regolamentare assolutamente lecito e ragionevole”.

“Le banche – spiega Scardovi – finanziandosi anche da clientela retail e con depositi a vista devono garantire elevati livelli di patrimonializzazione con capitale proprio, esaudendo i requisiti di capitale regolamentare minimo richiesto da Basilea 1-2-3 e oggi siamo al 3+. Per questo motivo hanno un costo opportunità elevato e limiti all’estensione dei volumi, oltre che esigenze di estendere crediti su minori durate per assicurare un ridotto mismatch temporale con le scadenze del proprio passivo, essendo la raccolta tramite depositi a vista”.

“I fondi, raccogliendo denaro sono da investitori istituzionali o da clienti privati molti ricchi e professionali, data la loro esperienza in materia di finanza, non sono soggetti a questi requisiti di natura prudenziale, quindi, possono operare senza un proprio capitale a copertura del rischio di credito ed il mismatch con il passivo non esiste visto che i fondi chiusi operano per policy statutarie su lunghi orizzonti temporali d’investimento. Quindi si tratta di una soluzione win-win per tutti”, conclude Scardovi.

 

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