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Il potere politico dei partiti non ha più la forza che aveva nella Prima Repubblica. Il carisma della leader o del leader per tradursi in potere d’influenza ha bisogno di una sostenibilità finanziaria sostanziosa che in Europa per decenni si è aggrappata al contributo statale. Ma culturalmente la gestione dei finanziamenti è vissuta in maniera diversa da Paese a Paese. L’Italia da Mani pulite in poi è stata ciclicamente colpita da scandali elettorali che hanno contribuito a diffondere un profondo senso di sfiducia nei confronti dei partiti. Uno scetticismo culminato con l’onda antipolitica promossa dal Movimento 5 stelle e con l’abolizione dei finanziamenti pubblici approvata dal governo Letta nel 2013, su pressione di Matteo Renzi, allora segretario del Partito democratico.

Molti rimpiangono il contributo statale e pochi si chiedono cosa abbia lasciato nei fatti quest’inversione di rotta che rende l’Italia una delle anomalie del panorama europeo. Ha obbligato a indirizzarsi verso altre fonti di finanziamento, tutte di natura privata: donazioni di soggetti esterni, contributi associativi, opere di bene dei candidati stessi o dei funzionari di partito. Entrate su cui ogni Paese dell’Unione europea ha imposto particolari requisiti di rendicontazione e propri massimali, e che negli ultimi dieci anni si sono dimostrate un sussidio indispensabile per i partiti che oggi corrono per il Parlamento europeo, e sono diventate un motore anche per il consolidamento di partiti populisti, di destra e di estrema destra.

La natura delle donazioni private di per sé non implica alcuna illiceità, ma soprattutto quando fatte in forma anonima inducono a tenere in chiara considerazione la possibilità di influenze o pressioni esterne sul partito. Che non essendo verificabili né rendicontate non possono essere scansate a priori. L’assenza di trasparenza in questi casi contribuisce ad alimentare eventuali sospetti difficili da dissipare. 

Secondo i dati raccolti dal report Transparency gap della piattaforma investigativa olandese Follow the money, dal 2019 al 2022 un quarto di tutte le donazioni private, centocinquanta milioni di euro, sono andate a forze e partiti estremisti, di cui novantasette ai partiti di estrema destra in Ungheria, Polonia, Italia e Francia, che si trovano al vertice di questa classifica. Non stupisce affatto che si tratti di forze politiche euroscettiche, sensibili alle influenze del Cremlino, o apertamente filorusse. 

Nel complesso lo studio stima che in questo lasso di tempo i circa duecento partiti politici europei esaminati abbiano ricevuto più di novecentoquarantadue milioni di euro in donazioni, di cui un settanta per cento in forma anonima, circa seicentosessanta milioni. Per questi non è disponibile alcuna rendicontazione. Sono solo sette gli Stati membri che richiedono esplicitamente di indicare l’identità dei propri donatori privati, e si tratta in larga parte di Paesi dell’Est Europa, tra cui la Bulgaria, la Repubblica Ceca e la Lettonia.

In Ungheria, l’estrema destra di Fidesz, il partito del primo ministro Viktor Orbán, ha raccolto il cinquantacinque per cento di tutte le donazioni private fatte nel Paese. La disciplina nazionale impone di indicare il nome di tutti i donatori che erogano un contributo superiore ai cinquecentomila fiorini, circa milleduecento euro. Ma non l’indirizzo o la data di nascita, una mancanza che spesso impedisce di individuare chi sia l’effettivo donatore. Inoltre in Ungheria esiste anche un’altra consuetudine poco ortodossa e molto italiana. Figure esterne come organizzazioni non governative, associazioni locali ma anche influencer simpatizzanti del governo Orbán, benché formalmente indipendenti dal partito, partecipano in maniera diretta, anche economicamente, all’organizzazione delle campagne elettorali. 

La Germania, che sul fronte del finanziamento pubblico continua a essere un modello invidiabile, non offre però alcuna trasparenza in materia di donazioni private. La disciplina del Bundestag impone di mettere a bilancio solo quelle che superino i diecimila euro. Ma la gran parte dei contributi, da parte di singoli, di società o di associazioni sono generalmente inferiori a questo tetto. Secondo il report i partiti tedeschi hanno ricevuto seicentoquaranta milioni in donazioni private tra il 2019 e il 2022, di cui più di trecentoventi da parte di imprese e cittadini, e trecentodieci da parte dei candidati stessi. L’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD) grazie a questo sistema è riuscita a racimolare più di 6,4 milioni di euro, di cui solo 1,3 milioni da parte di una fonte identificabile. L’Unione cristiano democratica (Cdu) nella stessa finestra tra il 2019 e il 2022 ha ricevuto contributi e donazioni individuali per un totale di trentasei milioni di euro, di cui l’ottantasette per cento rimasto anonimo.

Di tutte le donazioni anonime fatte in Unione europea nello stesso periodo il settantacinque per cento è stato sborsato in Germania, una percentuale molto alta a cui contribuisce anche il massimale posto a diecimila euro, ma che non giustifica l’assenza di trasparenza.

L’Italia, invece, che richiede ai partiti di rivelare tutti i contributi superiori a cinquecento euro rimane comunque un caso singolare. Dopo l’entrata a regime dell’abolizione dei finanziamenti pubblici nel 2017 si è tentato l’escamotage delle fondazioni e delle associazioni politiche, ma nel 2019 anche per quelle è stato richiesto di incontrare obblighi di trasparenza. A tutte si è imposto di comunicare, alla presidenza della Camera dei deputati, i contributi o i finanziamenti ricevuti che superassero i cinquecento euro. Da quel momento la creatività organizzativa dei candidati ha fatto il suo.

A nutrire l’antipolitica si è arrivati a un sistema che benché abbia favorito la carriera dei movimenti populisti continua a essere ricco di scandali elettorali e indagini della magistratura. Lo spiega a Linkiesta Lorenzo De Sio, professore di Scienza politica alla Luiss e direttore del Centro italiano di studi elettorali (Cise): «L’abolizione dei finanziamenti pubblici ha reso la politica italiana più debole. I partiti per portare avanti una politica seria e professionalizzata hanno bisogno di un’organizzazione, che invece ora sul territorio è completamente evaporata. L’idea originaria di lasciare agli elettori il compito di finanziare la forza politica è un auspicio impossibile da realizzare, un impegno che ormai neanche i partiti più grandi riescono a sostenere». E continua: «In questo modo i partiti hanno perso autonomia, sia in termini di risorse economiche che in termini di policy. Su molti temi invece, anche i più importanti, sono diventati oggetto delle influenze dei gruppi di interesse, che seppur in forme totalmente lecite hanno iniziato a contribuire alle fondazioni dei singoli esponenti politici, alle loro campagne elettorali o sono arrivati anche a proporre policy preconfezionate».

L’Italia nel complesso, nonostante sia ben più povera rispetto ai partiti politici degli altri Paesi, in termini di trasparenza si attesta in una posizione anomala, ma non particolarmente allarmante. Il quadro europeo invece, soprattutto sul fronte occidentale lascia aperte diverse incognite.

Un ingresso massiccio di finanziamenti privati anonimi, soprattutto a partiti di destra ed estrema destra, in un contesto politico di continue interferenze elettorali non lascia ben sperare per l’elezione del nuovo Parlamento europeo, e nemmeno per la qualità politica dei suoi nuovi membri.

 

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