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Il leghista convertito all’austerità punta alla grande fuga. Giusto in tempo per evitare di doversi impiccare agli impegni del nuovo patto di stabilità che lui stesso ha firmato.

Giancarlo Giorgetti ieri ha smentito le parole a lui attribuite da Repubblica: «Preparatevi a fare senza di me» e riferite «ad alcuni funzionari del Tesoro». Punta al ruolo di commissario italiano nella prossima compagine che guiderà la legislatura europea.

L’aurea tecnocratica di Giorgetti è da tempo conclamata. Fu lui a convincere Salvini che «non si può stare all’opposizione di Draghi». E se anche l’ex presidente della Bce non riuscirà a rinascere come presidente della commissione, il suo (autoproclamato) delfino punta a far parte della squadra.

Si tratta di una scelta che ha nel tempismo la caratteristica più importante. In questi due anni da ministro dell’Economia del governo più a destra della storia repubblicana, Giorgetti è riuscito a moderare le tante richieste di aprire i cordoni della borsa statale scagliandosi contro i poveri – cancellazione del Reddito di cittadinanza con risparmio di 9 miliardi annui – e crociata contro il Superbonus tacciato di essere «lo spreco di denaro pubblico più grande della storia» – cancellandone però gli effetti incontestabili sulla crescita e sull’efficentamento energetico.

Le due leggi di bilancio da lui firmate passeranno alla storia come un esercizio sul filo del doppiogiochismo dell’auterità. Ora però il nuovo patto di stabilità europeo che segna la fine dell’epoca Covid e il ritorno all’eterodossia neoliberale della riduzione dei debiti pubblici costringerà il governo Meloni a dover usare l’accetta non solo sulla sanità.

Già a settembre il nuovo patto europeo sottoscritto da Giorgetti prevede di spedire a Bruxelles gli «obiettivi fiscali» per i prossimi cinque anni, da cui non ci si potrà distanziare.

Significa mettere nero su bianco che la prossima legge di bilancio non potrà mantenere le promesse già fatte: rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale (10 miliardi l’anno) e i soldi per finanziare la riforma fiscale a partire dalla flat tax per gli autonomi e il taglio dell’Iperf per i redditi medio alti.

Mesi di ricerca infruttuoso perfino di 100 milioni per il «bonus tredicesime» ha convinto Giorgetti: ormai non c’è più spazio per bluffare.

Per la dipartita di Giorgetti il più felice sarebbe Matteo Salvini – nonostante il suo «questione mai aperta, è il ministro dell’Economia e continuerà ad esserlo» – che da anni continua a prendere in giro i suoi elettori parlando di «abolizione della riforma Fornero» ma che sulle pensioni non ha potuto modificare una virgola del testo più inviso agli italiani.

La scelta la farà il governo di Giorgia Meloni e sebbene la premier possa puntare ad altri nomi, la richiesta del suo ministro dell’Economia avrà certamente conseguenze politiche. Se il suo naturale sostituto sarebbe quel Maurizio Leo caduto recentemente in disgrazia come capro espiatorio della querelle sulla reintroduzione del redditometro – in realtà il viceministro ha semplicemente fatto il suo dovere, evitando un buco legislativo su una questione di pochissima rilevanza reale – l’appetito di Fratelli d’Italia per altre poltrone di potere è tale da non escludere un pronto ritorno in auge del padre della riforma fiscale non in toto condivisa da Giorgetti.

Per la legge del contrappasso sarebbe ironico se a Giorgetti venisse affidato il portafoglio della Concorrenza. Andrebbe a sostituire quella Margrethe Vestager che da quasi un anno blocca la fusione (in realtà l’acquisizione) del gigante Lufthansa con la piccola Ita. Giorgetti ha fatto di tutto per tagliare 5 mila posti di lavoro e far acquisire aerei e slot di Alitalia per un solo euro. Da commissario potrebbe intestarsi questo capolavoro di austerità contro gli interessi dei lavoratori e dei consumatori italiani.

 

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