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* Ringrazio l’Ing. Bocchimuzzo per i commenti a una prima versione del testo.

1. Breve introduzione

La disciplina dei contratti pubblici, quale apparato normativo, è tradizionalmente strutturata e protesa verso quella che potremmo definire la fase “centrale” del procedimento amministrativo contrattuale e cioè l’affidamento del contratto (la c.d. “gara”) o comunque il confronto – pure nel sottosoglia – tra le diverse proposte tecnico-economiche di coloro che “offrono” qualcosa all’Amministrazione. Questo momento, come noto, si conclude con l’individuazione dell’operatore che, una volta sottoscritto il contratto, andrà a svolgere il lavoro, il servizio o la fornitura (oppure a gestire la concessione).

È naturale, quindi, che la maggior parte delle controversie tra stazione appaltante e coloro che partecipano alla procedura siano concentrate e delimitate entro la fase pubblicistica del rapporto, la quale prende avvio con la programmazione, passa attraverso la progettazione (momenti che il legislatore ha rafforzato e “rilanciato” soprattutto in sede di recepimento delle direttive del 2014, prima con il d.lgs. n. 50/2016 e poi con il d.lgs. n. 36/2023) e termina, appunto, con l’affidamento dell’appalto o della concessione (si v. art. 12 d.lgs. n. 36/2023, secondo cui,  per quanto non espressamente previsto nel codice: alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti si applicano le disposizioni di cui alla l. n. 241/1990; alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile).

Da qui deriva il principio base per cui le controversie durante la fase di programmazione-progettazione-affidamento, per tutto quanto non regolato dal Codice, sono demandate al G.A., mentre quelle riguardanti la fase di esecuzione, sempre per tutto quanto non regolato dal Codice, sono appannaggio dell’A.G.O.   
 
Ciò detto, le controversie che possono sorgere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico sono suscettibili di iscriversi in tre categorie principali (una sorta di contrappunto ai tre macro-blocchi in cui si divide la procedura di affidamento di un contratto pubblico).

 Abbiamo, innanzitutto, le “questioni” che riguardano il procedimento amministrativo contrattuale (si pensi, ad esempio, all’impugnazione della legge di gara da parte del concorrente che lamenti la sua contrarietà ai principi in materia di costo del lavoro) e che trovano il loro epicentro nella fase di affidamento propriamente detta (verifica dei requisiti dell’operatore e valutazione delle offerte), contraddistinta dai (complessi) compiti del RUP (si v., attualmente, art. 15 Codice 2023 e artt. 6 e 7 dell’Allegato I.2) e della commissione giudicatrice, chiamata a valutare le offerte tecniche ed economiche (art. 93 d.lgs. n. 36/2023).

Ci sono, poi, le controversie che possono sorgere – oggi – all’interno di quello spazio “intermedio” che va dalla proposta di aggiudicazione (art. 17, comma 5 d.l.gs. n. 36/2023), transita per la fase di verifica della legittimità e conformità all’interesse pubblico della stessa (con i connessi poteri della P.A. di annullamento d’ufficio e revoca), e si chiude con l’eventuale esito negativo dell’approvazione del contratto ormai stipulato (art. 18, comma 8 Codice vigente).

Infine, rilevano quei profili di possibile contesa durante la fase di esecuzione del rapporto, una volta cominciata (ad esempio) l’attività di progettazione (si pensi a un appalto integrato: art. 44) o avviato il lavoro, il servizio, ecc. e che hanno quale base comune l’apposizione (l’iscrizione) di riserve e cioè richieste – essenzialmente di natura economica – dell’operatore economico, correlate: “…all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore” (art. 7, comma 2 all. II.14 Codice).

Le riserve, in quanto tali, sono (però) considerate (e regolate) dal Codice guardando non tanto alla posizione dell’imprenditore e al suo eventuale “pregiudizio” (che la legge non specifica), ma all’interesse della committenza (in merito, a titolo di esempio, si cfr. Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2018, n. 4718). Dal punto di vista teleologico, infatti, servono ad assicurare non all’impresa, ma alla stazione appaltante, durante l’intera fase di esecuzione del contratto: “…il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica, la tempestiva conoscenza e valutazione, sulla base delle risultanze contenute nel registro di contabilità, delle eventuali pretese economiche avanzate dall’appaltatore e l’adozione di ogni misura e iniziativa volte a evitare che i fondi impegnati si rivelino insufficienti” (art. 7, comma 1 all. II.14 Codice).

Tale aspetto, sebbene in apparente distonia con il principio generale oggi codificato nell’art. 9 Codice, è tuttavia coerente con il “momento realizzativo”. Come è stato autorevolmente sostenuto, in sede esecutiva, il risultato da raggiungere non è più quello giuridico (il contratto), bensì quello prettamente economico: “…realizzare l’opera nel tempo previsto e nel modo tecnicamente perfetto, prestare il servizio a sua volta nei tempi e con le modalità previste ecc.” (così V. Cerulli Irelli, “Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale negli appalti pubblici”; il contributo è reperibile in www.giustizia-amministrativa.it).

Le riserve, benché possano avere un contenuto eterogeneo (e tendenzialmente mirino a preservare l’equilibrio dei conti della P.A. e non dell’imprenditore), hanno un denominatore comune. Esse sono il veicolo attraverso il quale chi materialmente esegue il contratto può far valere (ulteriori) pretese economiche nei confronti della stazione appaltante. Da questo punto di vista, in fondo, esse costituiscono uno dei mezzi attraverso cui perseguire la conservazione dell’equilibrio contrattuale di cui all’art. 9 appena citato.

Attraverso la riserva, che deve avere forma scritta ed essere inserita nel primo atto dell’appalto (immediatamente successivo all’emergere del fatto/circostanza pregiudizievole) idoneo a riceverla (ad esempio, il verbale di consegna dei lavori ma non solo), l’appaltatore (con modalità stabilite a pena di inammissibilità e nel rispetto di una procedura che vedremo in seguito) pone alla stazione appaltante una contestazione, ovvero avanza una richiesta – in genere economica ma in teoria di qualsiasi natura e contenuto – contraddistinta da un fattore che deve sempre ricorrere: il (presunto) “pregiudizio” (e cioè la lesione di beni o utilità pertinenti l’impresa), circostanza che poi dovrà essere provata (e quantificata) in esito al contraddittorio con la committenza e tramite le procedure stabilite dal Codice.

Questo (il pregiudizio) può essere frutto di una circostanza che si esaurisce nell’immediatezza dell’evento (si pensi, solo per un esempio, alle ipotesi di errata applicazione di un prezzo: fatto ad effetto “istantaneo”). In altri casi, invece, può rappresentare l’esito di “fatti continuativi” (impossibilità di accedere ad una parte delle aree di cantiere), ossia impedimenti che durano nel tempo e che sono prodotti da una causa costante (a volte) di non immediata rilevanza economica (in questi casi, è onere dell’appaltatore iscrivere riserva una volta che, verificatosi l’evento iniziale, egli abbia avuto la possibilità di “percepire”, secondo ordinaria diligenza e buona fede, l’obiettiva potenzialità dannosa del fatto, salvo procedere alla quantificazione del pregiudizio lamentato al momento della cessazione dell’evento sfavorevole: si v., in tal senso, Trib. Roma, sez. imprese, 31 marzo 2023, n. 5303, secondo cui: “…nei pubblici appalti, anche in relazione ai fatti produttivi di danno continuativo, la riserva va iscritta contestualmente o immediatamente dopo l’insorgenza del fatto lesivo, percepibile con la normale diligenza, mentre solo il «quantum» può essere successivamente indicato, sicché la riserva può essere iscritta successivamente solo ove l’appaltatore abbia la necessità di attendere la concreta esecuzione dei lavori per avere consapevolezza del preteso maggior onere che tale fatto dannoso comporta”; sul punto, già Cass. civ., sez. I, 25 gennaio 2022, n. 2112).

Si tratta, in questi casi, di percezione dell’insorgenza del fatto e non di percezione dei sui effetti, ecco perché rileva la possibilità di “quantificarli” anche successivamente, ma non necessariamente, alla fine dell’evento, se ricorrono le condizioni per presentare la corrispondente “domanda” (ad esempio, gli effetti dannosi di una sospensione sono percettibili e dimostrabili, in termini di fattori improduttivi relativi al fermo cantiere, già mese per mese).

In questi casi, un aiuto lo possono fornire i contratti sottoscritti, i quali possono precisare metodologie anche leggermente differenti, quali, ad esempio, l’obbligo, a pena di decadenza, di formulare la riserva (tramite lettera o altro, e a prescindere dalla sua iscrizione nel primo atto contabile idoneo a riceverla, sempre a pena di decadenza) entro 15 giorni dall’insorgenza del fatto ritenuto lesivo.

Insomma, come illustrato in queste sommarie note preliminari, il contributo analizzerà (in breve) la disciplina delle riserve, istituto che forse più di altri (a causa, da un lato, della limitata codificazione in sede legislativa della fase esecutiva del rapporto tra P.A. e operatore economico e, dall’altro, della “delegificazione” che la materia ha subito vigente il Codice del 2016) ha risentito delle riforme che si sono susseguite negli ultimi anni in materia di contrattualistica pubblica.    

2. Profili ricostruttivi

Prima di passare all’analisi della disciplina del Codice del 2023, sembra utile individuare alcune coordinate ricostruttive di questo interessante istituto della contrattualistica pubblica, che peraltro trova tutela “pratica” non dinanzi al giudice amministrativo, ma nel plesso giurisdizionale ordinario (e segnatamente, per i contratti sopra soglia, dinanzi il Tribunale delle imprese: si v. art. 3, comma 2, lett. f d.lgs. n. 168/2003).  

È la stipulazione del contratto che costituisce la soluzione di continuità tra fasi: la prima, quella del procedimento amministrativo di affidamento, destinata alla tutela dei TAR (e del Consiglio di Stato in appello); la seconda, quella del rapporto tra “pari”, regolata dal contratto (in relazione al quale vengono formulate le riserve), in cui domina il diritto civile e la funzione giurisdizionale ordinaria.

La disciplina delle riserve, dal punto di vista storico, risale alla fine del XIX Secolo.
Nel 1895, nel “Regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici” (R.D. n. 350/1895), venivano delineate agli artt. 54 e 63, rispettivamente, le procedure per l’iscrizione delle riserve sul registro di contabilità (art. 54) e nel conto finale dei lavori (art. 63).

Tale disciplina è rimasta praticamente immutata fino alla fine degli anni ’90 del XX Secolo (il R.D. è stato abrogato dall’art. 231 D.P.R. n. 554/1999 “Regolamento di attuazione della l. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni”).
In particolare, l’art. 165 D.P.R. n. 554, cit. (nel testo della l. n. 109/1994 non veniva regolato il tema delle riserve) stabiliva che l’appaltatore avrebbe dovuto firmare il registro di contabilità, con o senza riserve, nel giorno in cui gli fosse stato presentato. Nel caso in cui l’appaltatore non avesse firmato il registro, sarebbe stato invitato a farlo entro il termine perentorio di 15 giorni (e, qualora fosse persistita l’astensione o il rifiuto, se ne sarebbe fatta espressa menzione nel registro).

Qualora avesse firmato con riserva, l’appaltatore a pena di decadenza, sempre nel termine di 15 giorni, avrebbe dovuto esplicare le sue riserve, scrivendo e firmando nel registro di contabilità le corrispondenti domande di indennità: “…e indicando con precisione le cifre di compenso cui crede aver diritto, e le ragioni di ciascuna domanda” (art. 165, comma 3).
Il direttore dei lavori, nei successivi 15 giorni, avrebbe dovuto esporre nel registro le sue motivate deduzioni. Qualora avesse omesso di motivare in modo esauriente le proprie deduzioni, non consentendo alla stazione appaltante la percezione delle ragioni ostative al riconoscimento delle pretese dell’appaltatore, egli (il direttore dei lavori) sarebbe incorso: “…in responsabilità per le somme che, per tale negligenza, l’amministrazione dovesse essere tenuta a sborsare” (art. 165, comma 4).

Nel caso in cui l’appaltatore non avesse firmato il registro nel termine di 15 giorni (oppure lo avesse fatto con riserva, ma senza esplicare le proprie domande nel successivo termine, sempre di 15 giorni, sopra indicato): “…i fatti registrati si intendono definitivamente accertati, e l’appaltatore decade dal diritto di far valere in qualunque termine e modo le riserve o le domande che ad essi si riferiscono”.

Intervenuto il d.lgs. n. 163/2006 (in attuazione delle direttive comunitarie del 2004), la disciplina delle riserve – di cui non venivano regolati i profili nel testo di legge – è rimasta quella disciplinata dal Regolamento n. 554/1999 (almeno fino al 2011), il quale è stato in seguito abrogato con l’adozione del D.P.R. n. 207/2010 e cioè il regolamento di esecuzione ed attuazione del predetto d.lgs. n. 163/2006 (il regolamento del 1999 è stato abrogato dalla lett. c del comma 1 dell’art. 358 D.P.R. n. 207/2010 a decorrere dall’8 giugno 2011).
Nel D.P.R. n. 207/2010, le riserve venivano regolate essenzialmente nell’art. 152 (relativo alle disposizioni e agli ordini di servizio) e negli artt. 190, 191 e 200, riguardante, quest’ultimo, il conto finale dei lavori.
Le riserve dell’esecutore nel registro di contabilità (art. 190 D.P.R. n. 207/2010) venivano disciplinate, in sostanza, in modo pressoché identico a quanto stabilito dall’art. 165 D.P.R. n. 554/1999.

Il regolamento del 2010, però, prevedeva anche una norma generale in materia (art. 191), rubricata non a caso: “Forma e contenuto delle riserve”. In essa veniva stabilito che: 1) l’esecutore era sempre tenuto ad uniformarsi alle disposizioni del direttore dei lavori, senza poter sospendere o ritardare il regolare sviluppo dei lavori, quale che fosse la contestazione o la riserva che egli avesse iscritto negli atti contabili; 2) le riserve dovevano essere iscritte, a pena di decadenza, sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che avesse determinato il pregiudizio dell’esecutore (poi, sempre a pena di decadenza, le stesse dovevano essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole).

Le riserve non espressamente confermate sul conto finale, chiariva l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 191, cit.: “…si intendono abbandonate”.
Ancora, le riserve dovevano essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali si fondavano. In particolare, dovevano contenere, a pena di inammissibilità, la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore riteneva gli fossero dovute (art. 191, comma 3 D.P.R. n. 207/2010).
La quantificazione della riserva, precisava infine il comma 4 dell’articolo in questione: “…è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto” (circostanza che, a ben guardare, non poteva valere per quelle conseguenti a fatti c.d. “continuativi”).
Apposita disciplina veniva, poi, stabilita per il “conto finale dei lavori”, atto di pertinenza del direttore dei lavori (art. 200).

Nel conto finale, costui avrebbe dovuto indicare: “…le vicende alle quali l’esecuzione del lavoro è stata soggetta, allegando la relativa documentazione, e segnatamente:f) la sintesi dell’andamento e dello sviluppo dei lavori con l’indicazione delle eventuali riserve e la menzione delle eventuali transazioni e accordi bonari intervenuti, nonché una relazione riservata relativa alle riserve dell’esecutore non ancora definite”.
Ricevuti ed esaminati i documenti (il conto finale e i relativi allegati), il RUP avrebbe dovuto invitare l’esecutore a prendere cognizione degli atti, con sottoscrizione da parte di quest’ultimo in un termine non superiore a 30 giorni.

L’esecutore, all’atto della firma, non avrebbe potuto iscrivere domande per oggetti o importi diversi da quelli formulati nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori: “…e deve confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili per le quali non siano intervenuti la transazione di cui all’articolo 239 del codice o l’accordo bonario di cui all’articolo 240 del codice, eventualmente aggiornandone l’importo” (art. 201, comma 2).

Se l’esecutore non avesse firmato il conto finale nel termine sopra indicato o se lo avesse sottoscritto senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, concludeva il comma 3 dell’articolo appena citato: “…il conto finale si ha come da lui definitivamente accettato”.

Di riserve si parlava pure nell’art. 215, relativo al collaudo.
In questo caso, esplicitava il comma 3 della norma: “Il collaudo comprende anche l’esame delle riserve dell’esecutore, sulle quali non sia già intervenuta una risoluzione definitiva in via amministrativa, se iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale nei termini e nei modi stabiliti dal presente regolamento”.
Ai sensi della norma, la documentazione pertinente le riserve non definite in corso d’opera (e cioè ai sensi degli articoli 239 e 240 d.lgs. n. 163/2006) avrebbe dovuto essere trasmessa dal RUP al collaudatore, per esporre il proprio “parere” (art. 225, comma 3 D.P.R. n. 207/2010).
Una volta concluso il procedimento di verifica dell’esecuzione da parte dell’organo di collaudo (artt. 225-232), predisposto il certificato di collaudo, all’atto della sua firma l’appaltatore avrebbe potuto: “…aggiungere le richieste che ritiene opportune, rispetto alle operazioni di collaudo” (art. 233, comma 1), preoccupandosi, con riferimento alle riserve, di formularle e giustificarle nel modo prescritto dal D.P.R. n. 207/2010 (in questi casi, il collaudatore avrebbe poi dovuto formulare le proprie considerazioni in merito ed inviarle al RUP).
Condotte a termine le operazioni connesse allo svolgimento del collaudo, l’organo avrebbe dovuto trasmette al RUP tutti i documenti amministrativi e contabili ricevuti, unendovi anche: “…le eventuali relazioni riservate relative alle riserve e alle richieste formulate dall’esecutore nel certificato di collaudo” (art. 234, comma 1, lett. d D.P.R. n. 207/2010).

A conclusione della procedura, compito precipuo della stazione appaltante diveniva quello di effettuare: “…la revisione contabile degli atti e delibera[re], entro sessanta giorni dalla data di ricevimento degli atti di collaudo, sull’ammissibilità del certificato di collaudo, sulle domande dell’esecutore e sui risultati degli avvisi ai creditori” (art. 234, cit. comma 2).

In caso di iscrizione di riserve sul certificato di collaudo, per le quali fosse stata attivata la procedura di accordo bonario, concludeva l’ultimo periodo del comma 2 appena citato: “…il termine di cui al precedente periodo [e cioè i 60 giorni per la revisione contabile degli atti, per decidere sulle domande dell’esecutore, ecc.] decorre dalla scadenza del termine di cui all’articolo 240, comma 12, del codice [e cioè i 30 giorni dalla proposta di componimento bonario da parte della commissione appositamente nominata o dal RUP]. Le deliberazioni della stazione appaltante sono notificate all’esecutore”.

Come si può notare, il D.P.R. n. 207/2010 dettagliava una disciplina articolata per la gestione delle riserve dell’appaltatore, le quali, sempre nel rispetto delle condizioni di forma e sostanza stabilite nell’art. 191 sopra citato, potevano essere rappresentate (e poi gestite successivamente attraverso gli strumenti deflattivi del contenzioso) in almeno 4 momenti “canonici” dell’esecuzione: in sede di ordine di servizio o comunque in occasione del primo atto di gestione idoneo a riceverle: libretti delle misure, verbali, ecc.; in fase di sottoscrizione del registro di contabilità; all’atto del conto finale e in fase di collaudo (ciò sempre a pena di decadenza e successivamente all’insorgenza o alla cessazione del fatto pregiudizievole).

La disciplina del D.P.R. n. 207/2010 è restata in vigore per alcuni anni (per un tempo minore rispetto alle precedenti), subendo (poi) gli effetti dell’approvazione del Codice del 2016 (d.lgs. n. 50/2016).
Con l’entrata in vigore della riforma (che attuava le nuove direttive europee del 2014 nel frattempo intervenute), l’assetto normativo sulle riserve mutava radicalmente.

L’art. 217, comma 1, lett. u) del decreto legislativo stabiliva l’abrogazione del D.P.R. n. 207/2010: “…dalla data di entrata in vigore degli atti attuativi del presente codice, i quali operano la ricognizione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 da esse sostituite”, prevedendo comunque l’abrogazione immediata di alcune parti del medesimo D.P.R. all’entrata in vigore del Codice (ai sensi dell’art. 220).
Le disciplina delle riserve del “2010”, in particolare, subiva l’espressa abrogazione per effetto del D.M. Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 07/03/2018, n. 49 (pubblicato in G.U. il 15.05.2018 ed entrato in vigore il 30 dello stesso mese), il quale stabiliva, all’art. 27: “…Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, ai sensi dell’articolo 217, comma 1, lettera u), del codice, sono abrogati gli articoli da 178 a 210 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207”.
Quindi, fino a maggio 2018, la disciplina delle riserve rimarrà quella del D.P.R. n. 207/2010, per poi passare alla regolazione del nuovo D.M.
Il Codice del 2016, è bene precisarlo, non conteneva in sé alcuna disciplina delle riserve, ma rinviava – appunto – a norme di attuazione. Tuttavia, neppure le norme del successivo decreto n. 49/2018 conterranno una regolazione compiuta della fattispecie.
Rilevava solo una norma (art. 9), rubricata “contestazioni e riserve”, la quale stabiliva: “Il direttore dei lavori, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”.
In pratica, il D.M. n. 49, cit. non disciplinava specificamente né le modalità di presentazione delle riserve, né il contenuto che le stesse dovevano rispettare (anche) quale requisito di forma. Non venivano neppure riportate le tempistiche entro le quali presentarle, lasciando così alle stazioni appaltanti l’onere di regolamentare pressoché integralmente il fenomeno nel contesto delle procedure di gara.
Non sappiamo se l’intento del legislatore (con la sostanziale delegificazione della materia) sia stato quello di limitare il fenomeno delle contestazioni in fase esecutiva.

Qualunque sia stato l’obiettivo, bisogna dire che certamente è stato mancato.
L’aver lasciato ad una delle parti del contratto la possibilità di regolare le riserve – e cioè quanto di più importante possa contraddistinguere la fase esecutiva con la P.A. – comporterà, oltreché l’alterazione della parità tra contraenti (amministrazione e appaltatore), la formazione di un quadro regolatorio estremamente variegato, con conseguenti contrasti interpretativi tra stazioni appaltanti e imprese. Risulteranno, infatti, frequenti le ipotesi di insufficiente regolazione del fenomeno (fatto anche comprensibile data la complessità tecnica della materia) e i contrasti in sede di compilazione della contabilità, il tutto a detrimento del buon andamento dei contratti.

Emergerà quella che è stata definita la stagione delle riserve c.d. “fai da te” e cioè una disciplina rimessa alla discrezionalità delle amministrazioni pubbliche (si v. quanto si dirà in merito nell’ultimo paragrafo relativamente ai settori speciali). Fino alla prima metà del 2018, la materia troverà riscontro in sede regolamentare (D.P.R. n. 207/210); in seguito, sarà “strutturata” direttamente dalle stazioni appaltanti, con conseguente modifica della “fonte” di produzione delle norme e confinamento in ambito contrattuale (quindi, entro un ambito strettamente “civilistico”).

Proverà a rimettere le mani sulla materia il D.L. n. 32/2019 (il c.d. “Sbocca Cantieri”), il quale, nel modificare in molti punti la disciplina del Codice del 2016, introdurrà, all’art. 216, il comma 27 octies, attraverso il quale, in teoria, la disciplina della contrattualistica pubblica – giunta al termine nell’ottica del legislatore l’esperienza delle linee guida e dei decreti di attuazione (e quindi della regolazione di “soft law”) – avrebbe dovuto “virare” verso un regolamento unico, disciplinante, tra l’altro, le seguenti materie: “…e) direzione dei lavori e dell’esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità;…”.

È fatto noto che il regolamento unico, sebbene sostanzialmente predisposto (in bozze), non sarà mai varato, continuandosi ad applicare in materia (fino all’entrata in vigore del Codice del 2023) il D.M. n. 49/2018 e, più in generale, le linee guida ANAC, quelle del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la disciplina ad hoc predisposta (se predisposta) dalle singole P.A.

3. La regolazione del d.lgs. n. 36/2023

L’attuale Codice richiama l’istituto delle riserve in diversi articoli, tra cui l’art. 115 (controllo tecnico contabile e amministrativo), l’art. 121 (in materia di sospensioni), l’art. 140 (in materia di somma urgenza), l’art. 210 (accordo bonario) e nell’art. 7 dell’Allegato II.14, che regola in modo analitico le modalità ed i termini di iscrizione delle riserve.

In particolare, l’art. 115 stabilisce che le riserve (nei lavori) sono iscritte con le modalità e nei termini previsti dall’Allegato II.14: “…a pena di decadenza dal diritto di fare valere, in qualunque tempo e modo, pretese relative ai fatti e alle contabilizzazioni risultanti dall’atto contabile”.

Per quanto concerne, invece, i servizi e le forniture, è il capitolato speciale che deve contenere (anche) la disciplina delle contestazioni in corso di esecuzione, fatta salva, chiarisce il comma 4 dell’art. 115, cit., l’iscrizione delle riserve: “…secondo quanto previsto al comma 2, secondo periodo”. In pratica, anche per i servizi e le forniture, la disciplina generale delle riserve, con i necessari adattamenti, è quella dell’Allegato II.14 stabilita per le opere.

Riguardo l’Allegato appena citato, la regolazione delle riserve è contenuta nell’art. 7.
La norma, innanzitutto, illustra l’obiettivo che la disciplina delle riserve intende perseguire: “…l’iscrizione delle riserve è finalizzata ad assicurare alla stazione appaltante, durante l’intera fase di esecuzione del contratto, il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica, la tempestiva conoscenza e valutazione, sulla base delle risultanze contenute nel registro di contabilità, delle eventuali pretese economiche avanzate dall’appaltatore e l’adozione di ogni misura e iniziativa volte a evitare che i fondi impegnati si rivelino insufficienti”.
Viene poi precisato, al comma 2, cosa non costituisce riserva (non rilevando quindi un obbligo di iscrizione: “…sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle”): a) le contestazioni e le pretese economiche che siano estranee all’oggetto dell’appalto o al contenuto del registro di contabilità; b) le richieste di rimborso delle imposte corrisposte in esecuzione del contratto di appalto; c) il pagamento degli interessi moratori per ritardo nei pagamenti; d) le contestazioni circa la validità del contratto; e) le domande di risarcimento motivate da comportamenti della stazione appaltante o da circostanze a quest’ultima riferibili; f) il ritardo nell’esecuzione del collaudo motivato da comportamento colposo della stazione appaltante.
Si ricorda, quale cornice alle fattispecie appena indicate, che l’art. 210 d.lgs. n. 36/2023 ha poi stabilito che: “…non sono oggetto di riserva gli aspetti progettuali che siano stati oggetto di verifica [della progettazione ai sensi dell’art. 42 Codice]”.

In merito alle ipotesi del comma 2, cit., è opportuna qualche considerazione sulla lett. e), che non considera riserve le domande di risarcimento motivate da comportamenti della P.A. o da circostanze ad essa riferibili (il riferimento è, probabilmente, alle domande di risarcimento danni extracontrattuali, ma resta qualche dubbio sulla formulazione della norma).
Ci si chiede, in particolare, quali possano (o meglio, quali potranno essere) i confini di tale “esclusione”, essendo pacifico che le ragioni poste alla base delle riserve, in misura largamente preponderante, fanno riferimento (in un modo o nell’altro) a comportamenti (od omissioni), fatti e circostanze (asseritamente) ascrivibili alla committenza. Dunque, sarà importante comprendere se la previsione abbia sancito – e in quali ipotesi – il venir meno delle decadenze normativamente previste (si v. quanto si dirà tra un attimo), con conseguente possibilità per l’impresa di avanzare una richiesta di ristoro in ogni fase dell’esecuzione del contratto, senza incorrere in eccezioni di decadenza per intempestività o di inammissibilità per mancata specificazione.
Le riserve, prosegue la norma in esame, devono essere formulate in modo specifico e indicare, con precisione, le ragioni su cui si fondano.

In particolare, devono contenere a pena di inammissibilità: a) la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore ritiene gli siano dovute (la quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto, salvo che la riserva stessa sia motivata con riferimento a fatti continuativi); b) l’indicazione degli ordini di servizio, emanati dal direttore dei lavori o dal direttore dell’esecuzione, che abbiano inciso sulle modalità di esecuzione dell’appalto; c) le contestazioni relative all’esattezza tecnica delle modalità costruttive previste dal capitolato speciale d’appalto o dal progetto esecutivo; d) le contestazioni relative alla difformità rispetto al contratto delle disposizioni e delle istruzioni relative agli aspetti tecnici ed economici della gestione dell’appalto; e) le contestazioni relative alle disposizioni e istruzioni del direttore dei lavori o del direttore dell’esecuzione che potrebbero comportare la responsabilità dell’appaltatore o che potrebbero determinare vizi o difformità esecutive dell’appalto.

Anche questo elenco appare interessante. L’impresa che, in futuro, vorrà iscrivere riserva dovrà aver cura non solo di indicare le ragioni su cui si fondano le doglianze (e quantificare in modo preciso le somme richieste), ma dovrà anche “incasellare”, “ricondurre”, “condensare” le motivazioni in una o più delle lettere indicate, pena l’inammissibilità dell’istanza.    

Dal punto di vista procedurale, l’art. 7 tratteggia una disciplina analoga a quella (già) regolata dal D.P.R. n. 207/2010 (e, in fondo, riconducibile a quella già stabilita dal R.D. del 1895).
In particolare, ai sensi del comma 2 della norma: “Le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonché all’atto della sottoscrizione del certificato di collaudo mediante precisa esplicitazione delle contestazioni circa le relative operazioni. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono rinunciate”.
L’esecutore dell’appalto, in particolare, all’atto della firma del conto finale (che dovrà intervenire entro il termine di 30 giorni dall’invito del RUP a prenderne cognizione), non potrà iscrivere “domande” diverse per oggetto o per importo da quelle formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori e, per quanto riguarda le riserve, avrà l’onere, a pena di decadenza, di confermare quelle già iscritte sino a quel momento negli atti contabili (sempre che non siano intervenute procedure di carattere conciliativo) (art. 7, cit. comma 3).

Qualora l’esecutore non firmasse il conto finale nel termine di 30 giorni, o se lo dovesse sottoscrivere senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, il conto finale si intenderà come definitivamente accettato (art. 7, cit. comma 4).
In generale, nell’Allegato nulla viene stabilito rispetto al termine di sottoscrizione dei registri di contabilità in relazione alle riserve. Si dispone solamente che queste, da iscriversi a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, dovranno (poi) essere confermate nel registro di contabilità: “…all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole…”.
Non rileva alcunché neanche sul termine stabilito per la loro esplicitazione. Considerato il contenuto del comma 2 dell’art. 7, parrebbe che il dettaglio della riserva (anche sommariamente indicata nel primo atto dell’appalto idoneo a riceverla) debba comunque intervenire (verosimilmente) all’atto della firma del registro in questione, in cui dovrà essere allibrata con la relativa quantificazione (ciò potrebbe generare alcune difficoltà legate al tempo a disposizione per esaminare funditus i documenti contabili sottoposti e formulare – con piena cognizione di causa – dettagliate contestazioni).

Vi è spazio per eventuali riserve anche in sede di collaudo (come già previsto in passato dal D.P.R. n. 207/2010).
In particolare, nella Sezione III del Capo I dell’Allegato II.14 (artt. 13-30) viene descritta la procedura di collaudo e, nell’art. 23, si stabilisce che: “Il certificato di collaudo provvisorio è trasmesso dall’organo di collaudo, per tramite del RUP, per la sua accettazione all’esecutore, il quale lo sottoscrive nel termine di venti giorni. All’atto della firma l’esecutore può formulare e giustificare, con le modalità e gli effetti di cui all’articolo 7 [quindi secondo la disciplina delle riserve], le richieste che ritiene opportune, rispetto alle operazioni di collaudo”.
L’organo di collaudo, precisa il comma 3, riferisce al RUP sulle singole richieste fatte dall’esecutore al certificato di collaudo, formulando le proprie considerazioni (indicando, qualora necessario, pure le eventuali nuove visite che ritenga opportuno svolgere).
Terminate le: “…operazioni connesse allo svolgimento del mandato ricevuto”, l’organo di collaudo, ai sensi dell’art. 26 dell’Allegato in esame, dovrà trasmettere al RUP tutti i documenti amministrativi e contabili ricevuti, unendovi: “…c) le eventuali relazioni riservate relative alle riserve e alle richieste formulate dall’esecutore nel certificato di collaudo”.

A questo punto, la stazione appaltante, esaminati l’operato e le deduzioni dell’organo di collaudo, dovrà deliberare, entro 60 giorni dalla data di ricevimento degli atti di collaudo, sull’ammissibilità del certificato di collaudo stesso, nonché: “…sulle domande dell’esecutore e sui risultati degli avvisi ai creditori. In caso di iscrizione di riserve sul certificato di collaudo per le quali sia attivata la procedura di accordo bonario, la stazione appaltante o l’esecutore si pronunciano entro il termine di trenta giorni, dandone comunicazione al RUP. Le deliberazioni della stazione appaltante sono notificate all’esecutore”.
Sempre nell’Allegato II.14, infine, all’art. 1, comma 2, lett. v), si attribuisce espressamente alla direzione lavori il compito di gestire le contestazioni sugli aspetti tecnici e sulle riserve: “…attendendosi alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”.
Il rimando alle regole stabilite dalla P.A. in sede di capitolato – e dunque alla discrezionalità della committenza – non dovrebbe valere quale ipotesi di deroga alla disciplina di legge stabilita dal Codice e, in particolare, dall’art. 7 sopra commentato, la statuizione confermando (a mio sommesso avviso) solo la funzione attuativa (di “dettaglio”) dell’eventuale regolazione predisposta dalla stazione appaltante.

4. Alcune osservazioni conclusive.

La disciplina del Codice del 2023, per quanto concerne l’Allegato II.14, assume quale base di riferimento il D.M. n. 49/2018, il cui contenuto, in fase di elaborazione della riforma, è stato sostanzialmente trasfuso e ampliato, con l’inserimento di ulteriori norme destinate a colmare le lacune riscontrate in molti istituti della fase esecutiva (tra cui quello delle riserve).

Con riferimento al nostro tema, la disciplina è stata plasmata tenendo conto dei regolamenti previgenti (in particolare, il D.P.R. n. 207/2010) e delle soluzioni elaborate duranti i lavori per la predisposizione di quello che avrebbe dovuto essere (nell’ottica del legislatore del D.L. n. 32/2019) il regolamento unico, come detto mai approvato (si v. la relazione al d.lgs. n. 36/2023, pag. 165).
La disciplina delle riserve nel nuovo Codice, almeno in parte, riprende poi gli approdi della giurisprudenza (si pensi alla codificazione delle finalità cui è ispirata la normativa, indicata nell’art. 7, comma 1, Allegato II.14, su cui si v., ad esempio, Cass. civ., sez. I, 4 ottobre 2016, n. 19802, oppure all’onere di iscrizione della riserva in presenza di fatti continuativi, cui potrà far seguito, in un secondo momento, la relativa quantificazione: art. 7, comma 2, lett. a All., cit.), la quale è sempre stata impegnata, attraverso il “caso concreto”, nel perseguire l’obiettivo di orientare operatori e stazioni appaltanti e supplire alle (evidenti) lacune che la materia ha manifestato successivamente al venir meno del D.P.R. n. 207/2010 (dunque, ancora una volta, con un chiaro ruolo di supplenza nei confronti sia del legislatore che del potere esecutivo).

Innovativa è sicuramente la regola che stabilisce cosa non è riserva (art. 7, comma 1 All. II.14, cit.) – pure se anche in questo caso rilevano precedenti giurisprudenziali – così come significativo è il dettaglio di informazioni che l’operatore deve indicare negli atti contabili per far sì che la stessa sia considerata ammissibile (art. 7, cit. comma 2).

Sul punto (comma 2), probabilmente, la norma appare eccessivamente dettagliata, soprattutto quando evidenzia che, in sede di iscrizione della riserva, dovrà essere indicata: “…la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore ritiene gli siano dovute. La quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto, salvo che la riserva stessa sia motivata con riferimento a fatti continuativi”.

In molti casi, infatti, è difficile che l’esecutore possa conoscere, all’atto dell’inserimento della riserva (pure per quelle che non hanno carattere continuativo), l’esatta quantificazione delle somme da richiedere per fatti che potrebbero, ad esempio, determinare (futuri) vizi o difformità realizzative dell’appalto.
È una norma che si presta a possibili equivoci, laddove la “domanda” deve essere precisa e definitiva, ma non necessariamente “esatta” rispetto alle valutazioni che poi farà chi riceve la riserva (probabilmente, va bene per le riserve di natura contabile, un po’ meno, all’atto pratico, per quelle di natura risarcitoria).

La norma sembra rafforzare quanto già sostenuto dalla giurisprudenza, secondo cui le riserve non possono considerarsi provate per il semplice fatto della loro iscrizione, atteso che l’assolvimento di tale onere non esclude il necessario rispetto della regola posta dall’art. 2697 c.c. – secondo cui chi vuol far valere un diritto (in giudizio) deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2022, n. 27451) – e il dovere di quantificare le pretese che si reclamano, tenuto conto (oggi) del principio del conservazione dell’equilibrio contrattuale.
Problemi in futuro, invece, non dovrebbero più porsi per le riserve a carattere continuativo, dato che l’Allegato in questione, come detto, ha chiarito finalmente in modo espresso come si dovrà comportare l’appaltatore in simili circostanze.

Non è stata, invece, nuovamente introdotta la previsione che consentiva all’appaltatore (secondo il previgente D.P.R. n. 554/1999), nel termine di 15 giorni dalla firma con riserva del registro di contabilità, di esplicitare le riserve medesime indicandone con precisione il petitum.
Come già detto, in futuro, all’atto dell’iscrizione, le riserve (a parte quelle pertinenti fatti continuativi) dovranno essere specifiche e dettagliate, pena la loro inammissibilità (fatto salvo, si spera, il principio per cui la tempestività delle riserve non è richiesta qualora le pretese dell’appaltatore si ricolleghino al comportamento colposo dell’Amministrazione nell’eseguire adempimenti amministrativi che non incidano né sull’esecuzione dell’opera né sulla contabilizzazione dei lavori: si v. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2000, n. 13589).
A smussare la spigolosità della norma potrebbero (forse) provvedere i capitolati approvati dalle stazioni appaltanti, nei quali indicare un termine adeguato per consentire all’appaltatore, in presenza di fatti e circostanze sussumibili nell’art. 7 Allegato II.14, di esplicitare la riserva in un momento successivo alla prima iscrizione (magari entro il termine stabilito per la firma del SAL), dopo aver valutato gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano e ne determinano il valore.

La disciplina delle riserve, infine, come accennato, è stata estesa anche a servizi e forniture. In particolare, l’art. 39 dell’Allegato, cit. stabilisce che: “Per quanto non previsto nel presente Capo [rubricato dell’esecuzione dei contratti di servizi e forniture], all’esecuzione dei contratti di servizi e forniture si applicano le norme del Capo I dettate per l’esecuzione dei contratti di lavori, in quanto compatibili”.
Pertanto, in futuro, salve le norme del capitolato speciale (che dovrà contenere pure le disposizioni riguardanti le contestazioni in corso di esecuzione), per la disciplina della materia dovrà farsi riferimento all’art. 7 dell’Allegato in esame, i cui principi fondamentali (si pensi all’onere di dettaglio della riserva e al suo tempestivo inserimento nella contabilità) si estenderanno pure alle fattispecie che emergeranno nello svolgimento di servizi e forniture.
Sia consentita un’ultima considerazione riferita ai settori speciali, oggi regolati agli artt. 141-152 d.lgs. n. 36/2023. Per tali settori, anche nel nuovo Codice, resta fondamentalmente immutato, in materia di riserve, il sistema del “fai da te”.

Già nel d.lgs. n. 50/2016, in virtù dell’art. 114, la materia dell’esecuzione era fondamentalmente rimessa alla regolazione delle stazioni appaltanti (l’art. 205, se non espressamente richiamato in sede contrattuale, per gli appalti che ancora applicano la disciplina del 2016 non trova applicazione). Attualmente, l’art. 141 si muove nello stesso senso: dispone solo un rinvio parziale alle norme relative all’esecuzione (artt. 113, 119, 120 e 122), non richiamando l’art. 115, in cui, come si è visto, è contenuta la disciplina “primaria” in tema di riserve (poi dettagliata nel predetto Allegato II.14).

Quindi, per i settori dell’acqua, elettricità, servizi di trasporto ecc. – ambiti infrastrutturali assolutamente primari – rimane immutato il ruolo centrale della committenza nell’individuare (in tema di riserve ma non solo) le regole del gioco. Attribuzione che potrebbe confermare le incertezze e problematiche applicative (con ovvi effetti sul contenzioso) già emerse in passato.

 

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