di Marzia Marchi*
C’è una Ferrara invisibile che vive tra noi e che solo in pochi intercettano nella sua grande ricchezza ma anche nella propria disperazione.
E la città degli invisibili che meritano l’attenzione soltanto se intercettati per fatti di cronaca nera.
Sono i minori stranieri che mangiano, dormono, camminano tra noi senza che la città abbia la sensazione che esistano, salvo se compiono furti, danni o autolesionismi.
Sto parlando dei Minori Stranieri Non Accompagnati (Msna) che arrivano, smistati come pacchi tra le varie prefetture, che li assegnano poi alle varie comunità di accoglienza o li parcheggiano in hotel se nella Comunità non c’è posto.
Esiste una legge in Italia, cosiddetta legge Zampa, che dal 2017 prevede per loro la designazione di un tutore, affinché possano compiere quelle attività che sono diritto di ogni essere umano, soprattutto se minore, ovvero curarsi, avere un documento di identità, frequentare una scuola, elaborare un progetto per il futuro. La legge Zampa ha anche istituito la figura del tutore volontario e le persone di buona volontà che si sono formate e rese disponibili a farlo non mancano, come la sottoscritta che lo è dal 2018. Tuttavia le buone leggi non sono prerogativa di una buona gestione e perciò accade che questi minori siano distribuiti a volte alla rinfusa sul territorio italiano, con repentini e immotivati spostamenti tra una città e l’altra, che siano accolti in strutture inadeguate o impreparate a gestire le loro peculiarità, che lo ricordiamo sono quelle di ragazzi e ragazze vittime prima di tutto di grave sfruttamento. Per capirci sono quelli che ce la fanno ad attraversare il mare o la frontiera balcanica e non diventano, per pura fortuna, morti sui quali esercitare il bavoso cordoglio istituzionale.
Sono ragazzi che a 16 o 17 anni hanno già vissuto una vita intera, nelle sue parti peggiori, che si trovano a confrontarsi con coetanei tirati su a “divano e hamburger” con i quali non hanno in comune nulla se non l’irrequietezza dell’età.
Per questi ragazzi il primo approccio con l’occidente, immaginato come il miraggio del mondo migliore, è – quando va bene – la montagna burocratica da scalare per ottenere una volta maggiorenni, uno status che consenta loro di non finire in prigione o peggio ancora in un Cpr, in attesa di essere rispediti indietro come un pacco indesiderato.
In uno Stato, in una città, che piange per la denatalità e che vuole istituzionalizzare il ricatto morale sulla scelta abortiva, ci si permette di scartare – come rifiuti – ricchissime risorse di giovani che rappresentano il meglio della società da cui vengono, poiché hanno avuto il coraggio di sopravvivere nonostante le ingiustizie cui sono stati sottoposti. Chi lavora con loro sa quanto il film Io Capitano sia non solo realistico ma perfino edulcorato rispetto alla loro realtà.
Qualcuno obietterà che non li mandiamo indietro, che si fanno bandi, uno anche recente, per trovare i posti in cui accoglierli, che ci sono pure i tutori volontari ma che sono loro talvolta a delinquere e a finire al carcere minorile. Tutto vero, non fosse per come si fanno queste cose: il Tribunale dei Minori che nomina i tutori col contagocce, i bandi con condizioni al ribasso, (qui) che mettono in difficoltà i soggetti che operano nell’accoglienza, le procedure burocratiche che rallentano il rilascio dei documenti, il sistema sanitario che interviene in emergenza ma non offre un solido supporto a sostegno dei traumi che hanno subito, il sistema scolastico rigido che non va incontro alle loro esigenze e intanto loro crescono, diventano maggiorenni e nella maggioranza dei casi finiscono nei percorsi dello sfruttamento lavorativo o della clandestinità criminale, di cui ci occupiamo poi tirando su cancelli e vigilando armati.
Sono molte le cose che si possono fare a livello di amministrazione comunale: innanzitutto ripristinare l’ufficio minori stranieri che faccia da punto di coordinamento e di riferimento tra i vari soggetti coinvolti. In secondo luogo l’investimento in mediatori culturali e in generale l’identificazione di maggiori risorse economiche e professionali a sostegno delle strutture d’accoglienza, oltre a prevedere strutture diverse per le diverse tipologie comportamentali di questi giovani. Quindi l’agevolazione del loro accesso all’istruzione fornendo strutture idonee al Cpia, la scuola pubblica di italiano che perlopiù frequentano, ma anche l’accesso alla scuola superiore e infine un accesso agevolato alla casa e a un percorso di sostegno per l’accesso al lavoro.
*tutrice volontaria, candidata del Movimento 5 Stelle
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