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La retroattività dello «spalma-crediti» è limitata al 2024. A ventiquattro ore dall’annuncio del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di voler rendere obbligatoria la rateizzazione in dieci anni dei crediti da Superbonus, il sottosegretario al Mef, Federico Freni, interviene per spegnere la polemica e provare a rassicurare le imprese: «La retroattività», dice a margine dei lavori in commissione Finanze del Senato, dove è in corso l’esame delle proposte emendative al decreto e dove venerdì 10 maggio è atteso l’emendamento del governo, «è limitata alle spese sostenute nell’esercizio fiscale vigente alla data di entrata in vigore della norma: semplificando, a tutte le spese sostenute nel 2024». «Siamo a maggio», spiega Freni, «una spesa di gennaio è retroattiva, ma una spesa di dicembre 2023 non è eleggibile alla rateizzazione obbligatoria in dieci anni». 

L’impatto sul deficit

Così delimitata, la misura è destinata a sgravare i conti pubblici per l’anno in corso di circa 5 miliardi: una cifra, ancora parziale, molto inferiore di quella che si sarebbe avuta ampliando la retroattività dello «spalma-crediti» al 2023, anno in cui il Superbonus ha generato una spesa da 76 miliardi che ha fatto impennare il deficit dal 5,3% preventivato in Nadef al 7,4% «definitivo».

A proposito di deficit, peraltro, nel suo intervento di mercoledì 8 maggio in commissione Finanze di Palazzo Madama, Giorgetti ha spiegato che lo «spalma-crediti» determinerà una correzione del disavanzo di 2,4 miliardi complessivi nel 2025-2026: «Il profilo del deficit a legislazione vigente per il biennio – ha spiegato – è leggermente diverso da quello previsto nella Nadef 2023 per effetto dell’incremento superiore alle attese degli oneri connessi al Superbonus e ad alcune spese in conto capitale». «L’emendamento che il governo intende presentare con la ripartizione in dieci quote annuali dei crediti – ha proseguito – è finalizzato ad allineare l’andamento a legislazione vigente del deficit indicato nel Def 2024 (3,7% nel 2025 e 3% nel 2026, ndr) con quello programmatico della Nadef 2023 (3,6% nel 2025 e 2,9% nel 2026, ndr): a tal fine sono necessari 700 milioni nel 2025 e 1,7 miliardi nel 2026».

Non solo «spalma-crediti»

Nell’emendamento che il governo si prepara a presentare in commissione non ci sarà soltanto lo «spalma-crediti». Tra le misure certamente incluse figurerà l’esenzione per l’utilizzo di crediti d’imposta e sconti in fattura per il terzo settore. A confermarlo durante il confronto in commissione lo stesso Giorgetti, che ha annunciato «l’intenzione del governo di presentare un emendamento volto a costituire un fondo con una specifica dotazione, finalizzato a riconoscere agli enti in questione un contributo diretto per sostenere la riqualificazione energetica e strutturale su immobili di loro proprietà». Il fondo è chiamato a coprire una spesa di circa 120 milioni di euro.

Ancora in forse, invece, la proposta di Forza Italia di estendere il Superbonus alle zone colpite da sismi e alluvioni oggi escluse dalla misura: Molise, Ischia, area etnea ed Emilia-Romagna: «La misura prevista dal decreto è stata oggetto di una precisa quantificazione effettuata dalle autorità competenti – ha specificato in proposito il titolare del Mef – ogni ulteriore estensione dovrà essere adeguatamente valutata sotto il profilo finanziario». Coperture certe (e tetti di spesa), dunque, o niente deroghe: per l’area dei crateri, la spesa prevista è di circa 80 milioni.

Probabile, inoltre, che l’emendamento riprenda la proposta del leghista Massimo Garavaglia di lasciare ai Comuni che volontariamente partecipano ai controlli sui cantieri del Superbonus il 50% delle somme recuperate dall’Agenzia delle Entrate. Chiusa, invece, per ora la ‘finestra’ per correggere gli errori sostanziali sulle comunicazioni legate alla remissione in bonis inviate tra il 30 marzo e il 4 aprile: la proposta, presentata da Fratelli d’Italia, resta in congelatore.

I lavori della commissione Finanze del Senato riprenderanno martedì 14 maggio, quando verranno esaminati gli ultimi emendamenti (compreso quello del governo) e i sub-emendamenti e sarà votato il mandato al relatore in vista dell’approdo del testo in Aula in programma il giorno seguente.

La protesta delle associazioni di categoria

Le parole di Freni placano solo in parte la rabbia e la preoccupazione delle associazioni di categoria. Dopo Ance, Cna e Abi a esprimere perplessità è a anche Alleanza delle Cooperative che paventa il rischio di una «bomba a orologeria» in grado di mettere in ginocchio le imprese alimentando contenziosi tra aziende, banche e famiglie: uno «shock», dice Alleanza Coop, che va assolutamente scongiurato. Ancora più duro il commento di Federcontribuenti, che in una nota a firma del segretario generale Flavio Zanella stigmatizza le «continue variazioni normative peggiorative» e attacca: «Alle imprese non rimane altro che far causa allo Stato per i danni subiti, è l’unica arma per la sopravvivenza di famiglie e imprese».

Non meno duro il commento di Confindustria che, pur comprendendo «le difficoltà del governo per impedire la coda dei crediti metta a rischio il deficit», ribadisce la necessità di escludere la retroattività in nome della certezza del diritto e chiede un tavolo di confronto. Più conciliante, invece la posizione di Confartigianato, che accoglie con favore le rassicurazioni di Freni auspicando «che trovino riscontro nell’emendamento del governo».

Rischio svalutazione

Le proteste delle associazioni nasce da una duplice constatazione in termini economici. La prima è che prolungare la fruizione del credito da quattro a dieci anni finisce per stravolgere e compromettere piani di spesa e lavori nei cantieri. La seconda è che, calcoli del Mef alla mano, i crediti maturati e non recuperati tendono a svalutarsi del 15% rispetto al valore nominale se di durata quadriennale, e di un ulteriore 15% con una durata decennale: questa dinamica implica che, se il governo avesse optato per la retroattività della misura, l’effetto positivo sul debito pubblico (quantomeno fino al 2027) sarebbe costato alle banche – tra le principali detentrici di crediti da Superbonus insieme a Poste e imprese edili – circa 10 miliardi di perdita potenziale in termini di utili. In nome della certezza del diritto, il Tesoro ha scelto di escludere questa ipotesi: una decisione che limita i danni e il malcontento delle imprese ma finisce per dare ben poco sollievo ai conti pubblici. (riproduzione riservata)

 

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