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Cronaca 10 Mag 2024 15:42


ROMA – Cosa cambia nel turismo italiano con l’apertura al pubblico di 25.000 cantine? A questa domanda ha cercato di dare una risposta il seminario “Evoluzione dell’offerta turistica e necessità formative” tenutosi ieri all’università Lumsa di Roma a cui hanno preso parte, moderati dal giornalista Tiberio Timperi conduttore di I fatti vostri su Rai 2, la ministro del Turismo Daniela Santanchè, il prorettore Lumsa Gennaro Lasevoli, i presidenti dei corsi in Mediazione Linguistica Anna Isabella Squarzina e in Economia Giovanni Ferri, il condirettore Master food & wine management e docente in Tourism Management all’Università Lumsa e padre della normativa nazionale su Enoturismo e Oleoturismo Dario Stefàno insieme agli specialisti del vino e del turismo del vino come Riccardo Cotarella presidente Assoenologi e Donatella Cinelli Colombini produttrice di Brunello di Montalcino e ideatrice del Movimento Turismo del vino e di Cantine Aperte.

Nel corso del seminario è stata annunciata la imminente operatività di un apposito Centro studi sul turismo del vino e dell’olio, all’interno dell’Università Lumsa.

La necessità di un Centro studi e di una struttura formativa con l’obiettivo di formare giovani capaci di trasformare l’evoluzione del turismo del vino e dell’olio in sviluppo sostenibile, nasce dalla brusca accelerata, in investimenti e business, delle wine destination negli ultimi 10 anni. Essa viene rilevata con chiarezza da Nomisma – Wine Meridian nell’indagine effettuata nel 2023 su 265 cantine e 145 città del vino. I dati sono pubblicati nel manuale “Enoturismo 4.0” firmato da due dei relatori del seminario: Donatella Cinelli Colombini e Dario Stefàno.

Va sottolineato che la stragrande maggioranza delle cantine turistiche sono piccole: il 29% ha un business inferiore a mezzo milione di Euro e il 30% sta fra 0,5 e 2,5 milioni di fatturato. La divisione delle cantine in 6 tipologie, basate sul loro profilo caratterizzante, riconferma questa caratteristica. Il 39% delle cantine si definisce infatti “piccola e con accoglienza familiare” seguono quelle con rilevanza storica, i marchi famosi, quelle con bellezze paesaggistiche o che puntano sull’organizzazione di incoming e sull’innovazione (tutte fra il 14 e l’11% del totale). Nonostante la loro piccola dimensione, o forse proprio per quella, le imprese del vino, negli ultimi 10 anni hanno investito massicciamente sull’incoming turistico. Esso genera tra il 6 e il 14% del giro d’affari delle cantine ma in termini di marginalità vale il doppio. Oltre a costruire punti vendita e sale da degustazione troviamo il 72% che offre pranzi e fra loro un terzo ha il ristorante. Il 32% delle cantine turistiche offre anche pernottamenti. Contemporaneamente il turismo ha creato un’economia parallela in molte delle città del vino dove un terzo degli occupati e del PIL dipende dai viaggiatori. Questo spiega perché luoghi come Barbaresco o il vicino comune di Treiso sono fra quelli dove la media delle dichiarazioni IRPEF è più alta.

In questo clima molto propositivo c’è un grosso freno: la mancanza di manodopera formata e capace di dare slancio a imprese e territori. Il 44% delle cantine e quindi delle città del vino, sono fuori dai flussi turistici e enoturistici. Si tratta soprattutto delle zone interne verso cui, invece, bisognerebbe spingere una parte dei visitatori che sovraccaricano alcune destination come Venezia, Firenze, Roma … creando il cosiddetto “overtourism” che genera crescenti disagi alla popolazione con un effetto inverso sulla sostenibilità economica. Per decentrare i percorsi di viaggio verso i territori del vino servirebbe personale formato in uffici turistici, assessorati e Strade del vino, ma non c’è.

Nelle cantine i problemi sono diversi ma altrettanto seri: Il 74% ha difficoltà a reperire personale formato con una punta oltre il 90% in Veneto. Le imprese del vino fanno fatica a diversificare le proposte e nella stragrande maggioranza offrono, con piccoli distinguo, la visita guidata con la spiegazione dei processi produttivi e un piccolo assaggio. Per questo il 65% degli enoturisti dice che le cantine “sono tutte uguali” e il rischio che l’enoturismo “venga a noia” è dietro l’angolo perché il turista è un “amante infedele”. Inoltre le imprese non riescono a trasformare i visitatori in clienti abituali come avviene invece in California e infatti il 52% delle cantine vorrebbe assumere ma non riesce a trovare persone competenti in marketing enoturistico.

In relazione al bisogno di addetti competenti è bene sottolineare che i turisti mondiali sono sempre più interessati all’enogastronomia tipica e meno formati sull’arte e la storia, per cui hanno bisogni diversi dal passato. Per questo l’enogastronomia sta rubando all’arte il podio della prima motivazione di viaggio verso l’Italia. Ma nonostante questo, nel programma didattico degli Istituti turistici, presenti in tutte le provincie italiane, ci sono 66 ore all’anno di arte e territorio e 0 ore su wine and food. Come se i turisti di oggi fossero gli stessi del 1990.

Questa è la sfida formativa condivisa con i relatori che un ateneo come Lumsa vuole raccogliere costruendo un Centro studi sul turismo del vino e dell’olio.


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