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Il bonus 100 euro nella tredicesima del 2024 annunciato questa settimana dal governo è uno scherzo.

Guardiamo alla proposta così come è stata annunciata con largo anticipo. Sarà il lavoratore a richiederlo (non sarà automatico), sarà solo per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 28.000 euro (con esclusione della pensione), coloro che guadagnano meno di 8.500 euro saranno esclusi in quanto incapienti (il reddito deve essere superiore alle detrazioni spettanti), il lavoratore dovrà avere il coniuge e almeno un figlio a carico (quindi famiglie mono reddito), il bonus sarà tassato al 23%. 

Tutte queste condizioni per accedere alla mancia restringono in modo significativo la platea dei beneficiari, che riguarderà soltanto 1,1 milioni di famiglie. Quindi, parliamo di 100 milioni di euro una tantum. Sicuramente toccherà le famiglie con redditi bassi ma non quelle in condizioni estremamente precarie in quanto queste saranno escluse non percependo un reddito o essendo sotto gli 8.500 euro.

Una mancia, uno scherzo se pensiamo che i consumi in Italia sono circa 1.300.000 milioni di euro. Parliamo dello 0,008%. 

Il paragone deve essere fatto non tanto con gli 80 euro di Renzi quanto con i 200 e i 150 euro di Draghi corrisposti nel 2022 per fronteggiare il caro vita. Il bonus di Renzi era mensile (non solo sulla tredicesima) per i titolari di redditi non superiori a 28.000, aveva in un primo momento natura temporanea ma poi è stato reso permanente. I 200 e i 150 euro di Draghi sono stati invece erogati nel luglio e nel novembre del 2022 per contrastare l’aumento dell’inflazione, il provvedimento ha interessato tutti i lavoratori (compresi gli autonomi) e i pensionati con reddito fino a 35.000 euro. Le persone coinvolte in totale sono state 28 milioni con un esborso complessivo pari a 6 miliardi.  

Altri tempi, vincoli sul bilancio pubblico meno stringenti non c’è dubbio. Non se ne deve dedurre che Draghi sia stato più bravo o più generoso di Meloni. Il dato ci deve portare però a riflettere sulla pochezza della misura.

Veniamo alla sua efficacia nel sostenere le famiglie con redditi medio-bassi, un aspetto che possiamo cogliere valutando il potenziale effetto sui consumi. Parliamo di un trasferimento di denaro di natura temporanea, inatteso ma annunciato con largo anticipo. Cosa ci dice l’esperienza riguardo a questo tipo di interventi?

Un trasferimento temporaneo non atteso (se il governo avesse deciso il trasferimento a gennaio 2025 per lo stesso mese) produrrebbe pochissimo effetto sui consumi delle persone in quanto le stesse non sarebbero in grado di inserirlo nelle loro disponibilità per il mese. Quindi, aldilà delle considerazioni legate alla propaganda elettorale, il governo Meloni ha fatto bene ad anticipare la misura. Le persone, sapendo che avranno 77 euro in più a gennaio 2025, potrebbero essere portate a spendere di più in consumi ad inizio anno e anche prima in quanto le loro disponibilità saranno superiori in futuro. 

Il condizionale è d’obbligo in quanto i consumi reagiscono a variazioni di reddito permanenti piuttosto che temporanee. Il motivo è spiegato dalla teoria economica che ci mostra come ogni persona quando decide quanto consumare non guarda soltanto al suo reddito in quell’istante ma anche a quello futuro in quanto può indebitarsi o investire il suo denaro per gestire il suo vincolo di bilancio in una ottica intertemporale. SI tratta della teoria del ciclo vitale del consumo che è valsa il premio Nobel a Franco Modigliani.  Le abitudini di consumo sono influenzate da variazioni permanenti di reddito e non da variazioni temporanee. Tradotto: il bonus Renzi (permanente) ha un effetto sui consumi e quello Draghi e Meloni no.

Nonostante ciò, numerosi studi mostrano che le variazioni temporanee del reddito hanno un effetto sui consumi maggiore di quanto ci si potrebbe aspettare, la ragione è da ricercare nel fatto che molte persone sono vincolate nel gestire la loro liquidità, cioè a dire non possono avere accesso ad un finanziamento o investire i loro risparmi. 

Questo molto probabilmente spiega l’efficacia dei bonus Draghi che avevano natura ben diversa da quello Meloni. I bonus Draghi erano di entità molto maggiore (6,6 miliardi contro 100 milioni) e intendevano fronteggiare il rialzo dei prezzi dell’energia. Un fenomeno che si sperava transitorio come, solo in parte, è stato. Secondo le stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, i due bonus avrebbero contribuito ad attutire di circa il 30% il rialzo della spesa complessiva nel 2022 per il 20% della popolazione con minori disponibilità. Un effetto transitorio positivo che non riguarda il rilancio dei consumi ma il contenimento del rialzo del costo della spesa assumendo che la stessa sia costante.  

Nel caso dei bonus Draghi siamo dunque di fronte ad una misura di ben altra entità e che, nata per attutire l’aumento dei prezzi, ha tutto sommato lavorato bene temporaneamente. L’effetto dell’aumento dei prezzi energetici permanente ha pesato e pesa invece ancora sui bilanci familiari. Nel caso dell’intervento del governo Meloni invece l’obiettivo è sostenere le famiglie con stipendi medio-bassi. L’intervento è insignificante sia per l’entità che per le restrizioni sulla platea dei beneficiari. L’unica possibilità che abbia un qualche effetto è che di qui a dicembre sia reso permanente e non limitato soltanto alla tredicesima come promesso dal governo Meloni. Si tratta di trovare 1-2 miliardi di euro, un obiettivo difficile da raggiungere.

 

 

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